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Proteste sul clima sospendono gli U.S. Open durante le semifinali

Una manifestazione senza precedenti a difesa del clima ha portato a una pausa prolungata durante le semifinali degli U.S. Open, mettendo in luce l'urgente chiamata globale all'azione contro il cambiamento climatico. Mentre il mondo del tennis si è fermato, i manifestanti hanno catalizzato l'attenzione internazionale sulle loro preoccupazioni ambientali. L'epicentro della protesta si è verificato quando un manifestante ha utilizzato un adesivo per incollare i suoi piedi al cemento dell'Arthur Ashe Stadium, costringendo un'interruzione di quasi 50 minuti. Ecco alcune riflessioni.

Cosa è successo all'Arthur Ashe Stadium

Durante un'intensa semifinale degli U.S. Open, il match tra Coco Gauff e Karolina Muchova è stato improvvisamente interrotto da una manifestazione di protesta climatica. L'atmosfera elettrica dell'Arthur Ashe Stadium è stata momentaneamente messa in pausa quando un manifestante, con un gesto audace, ha utilizzato un adesivo per incollare i suoi piedi al cemento del luogo, attirando immediatamente l'attenzione di tutti.

Gauff, nel pieno controllo della partita con un vantaggio di 6-4, 1-0, è stata forzata a interrompere la sua performance.

Durante la pausa, entrambe le tenniste sono state viste allontanarsi dal campo, cercando di mantenere la concentrazione mentre il caos regnava negli spalti.

Immagini della Protesta US OPEN (Autore: MIKE SEGAR, Ringraziamenti: REUTERS)

E' giusto interrompere un evento sportivo per una protesta climatica ?

Sebbene la finale tra Gauff e Aryna Sabalenka catturi l'attenzione principale, l'irruzione dei manifestanti ribadisce con vigore l'urgenza delle problematiche ambientali nel contesto mondiale, esortando a un intervento immediato.

Di fronte a ciò, emerge una riflessione cruciale: è legittimo che questioni di tale rilevanza interrompano manifestazioni sportive? Questo interrogativo può estendersi anche a situazioni in cui opere d'arte vengono temporaneamente vandalizzate o il normale flusso del traffico viene interrotto.

Quanto può una protesta sociale incidere sulla vita quotidiana dei cittadini?

Se riteniamo accettabile che le esigenze televisive modifichino le dinamiche sportive per favorire gli sponsor, allora dovremmo anche ponderare altre questioni di maggiore gravità.

Personalmente devo sottolineare che credo fermamente nel principio del rispetto reciproco e sulla possibilità di manifestare in modo forte senza violare i diritti di altri.

Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso

A tal proposito, mi viene in mente l'evento delle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico: sul podio, Tommie Smith e John Carlos hanno alzato un pugno guantato di nero, gesto divenuto un simbolo potente contro la discriminazione.

La protesta alle olimpiadi del 1968

E non posso non ricordare Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers, che ha affermato: "Non mi alzerò per mostrare orgoglio per la bandiera di un paese che opprime la gente nera e le altre minoranze. Per me questo è più importante del football, e sarebbe egoista da parte mia guardare da un’altra parte. Ci sono morti nelle strade e gente stipendiata che uccide e la passa liscia!". Kaepernick ha innescato una forma di protesta simbolica, inginocchiandosi durante l'inno nazionale americano. Una protesta che venne poi ripresa in molti altri sport, generando un vero e proprio movimento di opinione.

Cosa fu più incisivo su un tema fondamentale come quello della lotta al razzismo: le proteste e le distruzioni violente iniziate nell'area metropolitana di Minneapolis-Saint Paul, nel Minnesota il 26 maggio 2020 e diffuse nel resto degli Stati Uniti dopo la morte di George Floyd oppure l'azione pacifica, ma estremamente evidente, del movimento Black Lives Matter? 

A mio parere è dunque possibile protestare, mettendo in luce questioni cruciali, ma sempre nel rispetto dei diritti altrui. Se ognuno di noi, mosso dalle migliori intenzioni, decidesse di trasgredire i diritti altrui per far valere un punto di vista, non solo agiremmo erroneamente, ma alimenteremmo l'opposizione alle stesse cause che vogliamo difendere.

Ma non è sempre così.

Bisogna considerare che in contesti oppressivi manifestare pacificamente può non essere un'opzione.

A questo proposito, prendo come esempio il caso tragico di Mahsa Amini. Aveva solo 22 anni e proveniva dalla regione del Kurdistan iraniano. Durante una vacanza con la sua famiglia a Teheran, fu arrestata dalla polizia morale, la Ershad, perchè non portava il velo. Dopo essere stata rinchiusa in un centro di detenzione, venne trasferita in ospedale in condizioni critiche e morì poche ore dopo. Questo evento sottolinea la brutalità e le restrizioni che alcune persone affrontano nel cercare di esprimere le loro opinioni e lottare per i loro diritti. In contesti simili, la definizione di "protesta civile" assume sfaccettature ben più complesse e sfumate.

In un mondo che sembra restio a rompere vecchie abitudini e che sottovaluta l'urgenza di questioni vitali come la lotta al cambiamento climatico, il razzismo, la violenza di genere e le restrizioni alla libertà femminile, determinare il giusto metodo di protesta diventa una sfida ardua.

La vera rivoluzione inizia quando ciascuno di noi decide di non normalizzare tali ingiustizie e, attraverso azioni quotidiane, eleva queste problematiche a priorità indiscutibili.

Questo impegno può manifestarsi nell'educazione dei nostri figli, nelle nostre decisioni professionali e nel tempo libero, attraverso gesti significativi, nelle nostre inclinazioni politiche e nella nostra presenza sui social media.

Attenzione ai muri del bagno che non hanno scritte

Bob Dylan

In conclusione, dobbiamo guardarsi dall'essere superficialmente moralisti, evitando una mentalità che privilegia il giudizio su ciò che è stato fatto, senza realmente impegnarci a comprendere le ragioni e la necessità di affrontare la questione.

La nostra memoria dovrebbe preservare l'immagine del Rivoltoso Sconosciuto di Piazza Tienanmen, quell'anonimo cinese che, il giorno dopo le proteste del 5 giugno 1989 a Pechino, si fermò coraggiosamente davanti a una colonna di carri armati, bloccandone la marcia.

L'uomo che fermò i carri armati

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