Progettazione nel futuro o futuro della progettazione?
Alcune interessanti riflessioni di Roberto Nascimbene sull'evoluzione della progettazione che dal periodo in cui l'ingegnere usava l'ingegno" si è passati all'uso sempre più diffuso dei software di calcolo.
Il termine ingegneri trae le proprie origini dall' "ingegno" che rinvia all'ingegnosità, ossia alla capacità di inventare, di trovare soluzioni. E' questo il senso che la categoria degli ingegneri non deve mai perdere. L'arrivo, in questi anni, di calcolatori e software sempre più sofisticati e potenti ha consentito e consente di analizzare situazioni prima impensabili. La cosa importante è non perdere mai la capacità di "elaborare il progetto" prima di tutto con il proprio "ingegno" fatto di conoscenza, di studio, di formazione ed esperienza senza correre il rischio di affidarsi ciecamente a queste "scatole" spesso troppo facili da usare.
Ricordo molto bene le ore in aula passare molto velocemente nell’ascolto del Prof. Giorgio Macchi, Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni, ora meritatamente in pensione. Era la seconda metà degli anni novanta, erano appena uscite le “Norme tecniche per il calcolo, l'esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato” (il meglio noto DM 1996) e si viveva, ragionava, calcolava ancora molto serenamente nel mondo delle tensioni ammissibili. D’altronde, Intel rilasciava il processore Pentium a 75 MHz, Microsoft presentava Windows 98 e Iomega presenta Zip, un drive esterno con capacità di lettura e scrittura su supporti removibili con una capacità di memoria di 100 MB.
Insomma, in noi ingegneri della vecchia laurea quinquennale c’era poco spazio (e anche poco tempo) per modelli ad elementi finiti tridimensionali della struttura da poter lanciare in analisi modali con spettro di risposta.
C’era al contrario molto spazio (e molto tempo) per pensare al fatto che ci chiamiamo “ingegneri” perché dobbiamo obbligatoriamente usare l’”ingenio” che nella sua etimologia propria dal latino vuol proprio dire “carattere naturale, indole”. Eh già, perché era questo che emanava il Prof. Macchi, una naturalezza nell’insegnare la tecnica delle costruzioni che ti spingeva necessariamente a riflettere sulla struttura, sugli schemi statici, sui percorsi di carico, ancora prima che a calcolare ogni singolo elemento, modellare ogni connessione e alla fine comunque dichiararla verificata !!
Esco dall’Università lungo questa scuola di pensiero che il master ed anche il dottorato comunque non mutano o meglio non scalfiscono. Cioè la convinzione che con una calcolatrice portatile, un foglio, una penna e qualche equazione semplice (che magari contiene un 5/384 esimi oppure un pl2/8 senza mai scordarsi un σ = N/A) si possa progettare con tranquillità una gradevole palazzina.
Insomma, si respira una sicurezza che tutto sommato proviene anche dalla accumulata esperienza dei nostri punti di riferimento dell’ingegneria civile che progettano da anni, realizzano ed alla fine fotografano (con una Canon ancora in pellicola) le loro opere per poi farle stampare ed appenderle nei loro studi di progettazione. Sembra quasi un mondo, quello dell’ingegneria civile e degli ingegneri, quasi perfetto che lungo questa “tradizione” può superare ogni tempo e spazio.
L’OPCM 3274 del 2003 e l'approccio prestazionale multilivello
Poi un evento che ci ha scosso violentemente nel fisico e nella coscienza. Alle 11.32 del 31 ottobre 2002, un terremoto con epicentro situato in provincia di Campobasso contribuisce al crollo di una scuola a San Giuliano di Puglia (27 bambini ed una maestra). Tutto ciò non può che scuotere anche il normatore. Se fino alla fine degli anni novanta si erano viste solo norme prestazionali a singolo o doppio livello, con l’introduzione dell’OPCM 3274 del 2003 (e la trafila seguente che ha portato poi alle NTC 2008 e quindi 2018) si è passati alle norme prestazionali multilivello.
L’approccio prestazionale multilivello rappresenta la naturale evoluzione della filosofia di progettazione agli stati limite (e prima alle tensioni ammissibili) e scaturisce dalla necessità di definire, accanto agli stati limite di danno ed ultimo, una soglia di danneggiamento ammissibile anche per livelli intermedi dell’intensità sismica, in modo da combinare considerazioni di carattere economico a quelle di sicurezza e salvaguardia delle vite umane.
Non basta più la sola calcolatrice portatile, il foglio e la penna
...oramai servono programmi di calcolo sempre più versatili che sappiano fare analisi lineari e anche non lineari, analisi statiche ma soprattutto dinamiche.
Questo perché ? Non per il piacere di “runnare” modelli ad elementi finiti, ma perché alla fine sarà necessario verificare, progettare e quindi disegnare e dettagliare in modo sempre più accurato particolari costruttivi capaci di garantire duttilità, oppure resistenza e rigidezza, forse anche una certa capacità dissipativa.
E questo è un po’ l’inizio del sonno dell’”ingenio” e dell’affidamento cieco su una “black-box” che un risultato lo fornisce sempre, una relazione la scrive sempre ed un progetto/verifica lo confeziona sempre.
E’ facile quindi parlare del passato vissuto a fianco di grandi maestri dell’ingegneria pavese, ed è altrettanto semplice raccontare l’attuale situazione del presente che vede nella progettazione BIM un solutore di tutti i mali, più difficile è vedere nel futuro della progettazione degli edifici nuovi ma anche nel miglioramento ed adeguamento del patrimonio di edifici esistenti di cui l’Italia è molta ricca.
Per rispondere, o almeno provare a dare una indicazione o forse anche un auspicio sul futuro della progettazione, concludo da dove sono partito all’inizio di questo articolo, da due parole magiche “ingenio ed esperienza”. Mai fu più profetica la scelta operata da Dari di dar nome alla sua rivista proprio con il termine che meglio descrive il futuro roseo dell’ingegneria civile. Nel canto IV del Paradiso, leggiamo così
Così parlar conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia d’intelletto degno.
Che forse sia un modo più o meno delicato di ricordarci che l’esperienza, non solo nostra ma di tutti i nostri maestri, sia la somma di tanti errori e che quindi il buon operare, e quindi il buon progettare, sia un insieme ben amalgamato di ingenio, intelletto, studio, formazione, confronto e non semplicemente di un modello numerico ?
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