Data Pubblicazione:

Progettare parametricamente

E’ indubbio che pensare alla progettazione “parametrica” porta immediatamente al software, e immediatamente dopo a forme basate su superfici parametriche, spesso popolate da componenti costruttivi e formali ripetuti con leggere variazioni da uno all’altro. Una matrice formale, o meglio formalistica, dura a morire. 

Progetti di qualità prodotti in questa chiave formale ce ne sono, sia chiaro, tanti esempi si trovano nei padiglioni per la Serpentine Gallery di Londra, da quello di Toyo Ito a quello di Siza e Souto Moura, entrambi in collaborazione con Cecil Balmond.  A ben guardare tuttavia anche in questi esempi, più semplici di un edificio, emerge un carattere più fondante di questo tema che è quello delle connessioni: un progetto concepito e poi agito parametricamente è quello che “fa parlare le proprie parti”. 

Un progetto che fornisca una struttura, prima concettuale e poi di dati, in cui le diverse parti possano innanzitutto entrare e poi variare, agire e interagire nella forma complessiva. Nel caso dei padiglioni, le parti che dialogano, e che emergono sono quella costruttiva e materiale, strettamente legate a quella strutturale, in una forma che le accoglie e le plasma, le forza ma tenendo conto della loro reazione. Volendo dunque usare una definizione per esclusione, un progetto di questo tipo è esattamente opposto a uno autoreferenziale. A uno, insomma, che parta e resti in una sola prospettiva, inclusa quella geometrica. 

E’ ovvio che in un progetto esistono componenti non “numerabili” come quella simbolica, ad esempio. Ma questo non significa che non possano entrare in un sistema come punti fissi, che vanno precisandosi, e attorno ai quali il resto possa variare, muoversi, agire appunto.

 

Progettare parametricamente

 

L’epoca degli specialismi da un lato, è però simmetricamente anche quella in cui grande valore aggiunto è dato da proposte integrate, in tutti i settori, che mettano insieme architettura, idea di investimento, capacità di attuazione, ingegnerie. E allora un modello, un ambiente digitale che consenta di “avere più risposte” diventa strategico.

Paradossalmente, prima ancora che dalla struttura digitale in senso stretto di questo ambiente o modello (ammesso che la cosa si possa separare) la parametricità di un progetto va giudicata a partire da quanti attori siano effettivamente in esso integrati. Il metodo attuato, ma anche l’attore che lo agisce è un attuatore del dialogo, e soprattutto della sua frequenza.  

 

La progettazione parametrica come “BIM Freedom”

La sollecitazione ricevuta da INGENIO nel parlare di progettazione parametrica in un contesto dedicato al BIM riapre un vecchio e forse mai sopito conflitto.  

Il BIM infatti ha spesso sofferto, agli inizi, la sindrome del “fratello minore” di una progettazione a oggetti ma di maggiore forza d’urto e complessità geometrica. Innanzitutto per via di un diverso set di operazioni possibili: semplici nel BIM, complesse, procedurali, “scriptiche” (neologismo tra programmazione e cripticità) invece in ambienti parametrici, per molti all’epoca irraggiunigibili per costo, e diffusione. 

Si parla dell’epoca, ad esempio, a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e gli anni 2000 in cui i convegni “Smart Geometry” promuovevano l’uso del sofisticato modulo Generative Components, prodotto per Bentley da Robert Aish e usato dai “gruppi computazionali” di alcuni dei maggiori studi internazionali, da Foster a KPF fino a Greg Lynn, ma anche ricercatori di punta, come Axel Kilian. Ricerca e “alta professione” si incontravano in un contesto senza dubbio d’élite.

L’apertura di tale mondo a un uso allargato è presto avvenuta, tuttavia, guidata dalla diffusione di Explicit History, divenuto Grasshopper in Rhinoceros, e, a seguire, da un uso sempre più allargato di software BIM e dalla loro evoluzione verso un assemblaggio sempre meno rudimentale e sempre più sofisticato di parti.  Gìà perché il “BIM” era tacciato proprio di rudimentalità.

David Fano, fondatore di CASE a New York, una delle prime società dedicate alla “consulenza digitale alla progettazione” si caricò tra i primi di traghettare il BIM nel mondo “nobile” della progettazione parametrica con il suo corso alla Columbia University di New York dal titolo esemplificativo, “Rethinking BIM”. 

In sostanza, si trattava Revit, “il BIM” con il punto di vista della progettazione parametrica, fatta di strutture geometriche progettate, progettabili, flessibili, non subite. E Fano partiva, infatti, dal componente, distinguendolo poi dal montaggio successivo. Part e Assembly, i due poli della modellazione (e della progettazione) parametrica.

Del resto i suoi sodali, Federico Negro e Steven Sanderson, venivano da ShOP Architects, lo studio che forse ha più incarnato il tentativo di interpretare i nuovi modi da subito nella propria pratica architettonica, e che la esprimeva in una “vibrazione formale dei componenti”: un linguaggio architettonico che punta sul disegno delle sue parti, anche lasciando loro una certa indipendenza formale.

I “padri nobili” della progettazione e della modellazione parametrica hanno in questo periodo iniziato a dedicarsi alla produzione di “strutture di progettazione” dentro ai software BIM, a iniziare da Ian Keough, che da fondatore del gruppo computazionale CRAFT, dentro a Buro Happold, mentre lavora a progetti come l’ingegnerizzazione e il collegamento alla produzione delle grandi reti della scultrice Janet Echelman si appassiona alla generazione di codice per Revit fino a convergere nelle prime bozze di Dynamo, motore di Visual Scripting anche per questo ambiente. 

E tali strutture crescono, proliferano, iniziando la ibridazione dei due mondi.

Essa però deve ancora rompere molte barriere non tanto verso il controllo geometrico, ma verso i modelli semplificati, utili alle valutazioni ingegneristiche e simulative. Il “ponte”, diventa proprio questo ambiente mediale nato per ibridare BIM e modellazione generativa e parametrica. 

Sono dunque dei “codici”, anche se visuali, a permettere di portare nel mondo geometrico delle analisi di varia natura, a spostare dati. 

Sembrano quasi, in prospettiva, diventare essi stessi il cuore dello sviluppo geometrico di un progetto. E Rhinoceros, con la sua geometria semplificata, un partner ideale. 

E dunque, in questa inversione parametrica, il modello “di dettaglio”, il modello a oggetti diventa, da sorgente, destinatario. La progettazione generativa diventa “placing”: collocazione delle componenti dove le strutture geometriche sovraordinate del progetto le collocano. E prende nuovo senso anche, dunque tutta la “automazione”, che non si attua tanto allo sviluppo del progetto (che invece avviene in un ambiente di “risposta veloce” data a una ipotesi che è necessariamente arbitraria) ma al suo “sostanziarsi”.  Quella che durante le ricerche dello Stevens Institute of Technology veniva definita form resolution. 

 

Stefano Converso

Research Fellow - Parametric Design in Contemporary Practice, Adjunct Professor of Parametric Design, Università degli Studi Roma Tre - Dipartimento di Architettura

Scheda