Professionisti: perchè utilizzare Internet in una strategia di sviluppo professionale
Internet e professionisti: un rapporto ancora stranamente complicato
Che cos’è Internet? Una domanda banale, fuori tempo massimo in un’epoca in cui essere connessi non è più una scelta. Eppure, nel 2017, questa domanda non sempre trova risposta consapevole e naturale tra i professionisti, anche i più affermati, di molteplici categorie.
Per alcuni è un semplice dato di fatto della normalità e, come tale, non prioritario. Per altri è il futuro e, come tale, rimandabile. Per altri ancora, un fenomeno delle generazioni contemporanee e, come tale, questione di altri. Per pochi invece, una opportunità di sviluppo professionale consapevole e progettuale, che necessita di una strategia personale.
Gli scenari delineati dalla trasformazione digitale, le innovazioni da essa portate nei processi di lavoro e le evoluzioni nei modelli di business rappresentano ormai un presente dinamico che si avvia verso il passato acquisito, eppure in molti non ne hanno colte le molteplici opportunità che, ancora, in Italia circolano libere e non sfruttate.
Un cambio paradigmatico avvenuto da tempo, che può consentire di colmare la scarsità di risorse per avviare scenari di crescita economica paradossalmente ancora inesplorati. Un report di Confindustria Digitale 2016 conferma come il nostro Paese, pur crescendo dopo anni di contrazione, non stia ancora correndo davvero. Un esempio su tutti: 25 miliardi in meno rispetto alla media europea in termini di investimenti per innovazione tecnologica. Non è solo un fatto strutturale, ma una attitudine che nasce soprattutto da un approccio non sempre attento verso un fenomeno che per tutti è certamente quotidianità, solo per pochi vero strumento di innovazione e crescita professionale, sul quale investire e impostare una strategia che si adatti giorno dopo giorno ai cambiamenti, misurando minuto dopo minuto il ritorno sull’investimento.
In Italia oltre il 63% della popolazione è attiva online e quasi 13 milioni di persone acquistano abitualmente bene e servizi su Internet o comunque prendono online le loro decisioni di spesa.
I clienti non aspettano più le mostre, le fiere, gli showroom o i venditori per trovare informazioni, perché viviamo nell’epoca in cui la Treccani definisce il termine googlare. Non contattano più aziende e professionisti solo tramite telefono o email, ma con Whatsapp e Messenger. Non subiscono più soltanto il fascino dei media tradizionali per indirizzare le loro intenzioni di acquisto, ma si fidano dei consigli dei blogger specializzati, a cui spesso si rivolgono direttamente come clienti per acquistarne le prestazioni.
Una sfida che passa dalla voglia di conoscenza e, per alcuni, persino dal coraggio di affrontare un cambiamento avvenuto. Perché viviamo in un mondo in cui l’informazione e le opportunità di business vivono sempre più all’interno di una dimensione digitale che si manifesta sempre meno in casa o ufficio, ma in ogni momento e contesto quotidiano attraverso gli smartphone e potenzialmente persino attraverso tutti gli altri oggetti con il fenomeno della Internet of things.
Un mondo di opportunità professionali in cui non basta avere un sito web per dire di esserci, perché ad oggi è solo uno degli oltre 1.1 miliardi di siti esistenti (oltre 3 milioni in Italia) e se non si conoscono le regole per promuoverlo e renderlo rilevante attraverso i motori di ricerca o non si possiede una versione fruibile da uno smartphone, un sito diventa utile al pari di una vecchia fotocopia dimenticata in un cassetto.
Un mondo in cui non serve avere un profilo Facebook se non si ha la consapevolezza di far parte del più potente mezzo pubblicitario mai esistito, che dà accesso ad una base di oltre 1.8 miliardi di potenziali clienti (31 milioni in Italia), ognuno di essi raggiungibile attraverso il più avanzato sistema di profilazione mai esistito, dove per chiunque è possibile investire in autonomia anche piccoli budget (da 5 euro in su) per creare campagne di Digital Advertising intercettando le persone con una combinazione e selezione chirurgica di età, località, interessi, comportamenti, professione, stato civile, abitudini e molto altro. Una piattaforma di advertising che si estende anche ad Instagram.
Un mondo in cui Youtube è il secondo motore di ricerca del pianeta dopo Google, sul quale vengono visti oltre 5 miliardi di video al giorno, non solo per svago, ma anche per avere informazioni e scoprire continuamente servizi, prodotti e aziende non solo tramite offerte commerciali, ma sempre più spesso attraverso le storie che raccontano in video. E ancora Linkedin, per tanti ancora sconosciuto, per qualcuno un semplice luogo in cui appoggiare un curriculum vitae, solo per pochi uno dei luoghi migliori in cui costruire o ampliare una reputazione professionale e stabilire connessioni con potenziali clienti e partner, attraverso una rete sociale che solo in Italia conta oltre 9 milioni di iscritti e 140 mila aziende, dove l’87% dei suoi utenti lo considera una fonte fondamentale per prendere scelte di business.
Un elenco che potrebbe proseguire a lungo, per uno scenario in cui ogni professionista dovrebbe saper costruire un proprio ecosistema digitale, fatto di reputazione, posizione, comunicazione, linguaggi, contenuti, tecnologia. Una necessità anche per coloro che sostengono “a me non serve”, affermazione forse ancora veritiera per qualcuno oggi, ma che dimentica che le nuove generazioni, quelle che nascono con un DNA intriso di digitale, saranno presto (prima di quanto si pensi) non solo dei nuovi potenziali clienti a cui non si sarà capaci di parlare, ma anche dei potenziali competitor che rischiano di ritrovarsi con un immenso vantaggio competitivo.
Una sfida in realtà più accessibile di quanto possa sembrare ed in grado di garantire successi inaspettati.
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