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Prescrizioni per un’illuminazione che favorisca la sincronizzazione dei ritmi biologici

Nel mondo dell’illuminazione si è recentemente diffuso l’acronimo HCL (Human Centric Lighting), per considerare, in modo integrato (integrative lighting), tutti gli effetti che la luce produce sugli esseri umani. Principale obiettivo è quello di illustrare molto sinteticamente quali sono le attuali metriche consigliate dalla comunità scientifica e dalla CIE (Commission Internationale de l’Éclairage) e quali requisiti sono proposti per la progettazione degli ambienti luminosi.

Requisiti illuminotecnici: (HCL) l'uomo al centro del progetto

Negli ultimi anni, nel mondo dell’illuminazione si è ampiamente diffuso l’acronimo HCL (Human Centric Light), con l’obiettivo di considerare, nella progettazione e realizzazione di ambienti luminosi, tutti gli effetti che la luce produce sugli esseri umani. Nello specifico, se fino a qualche tempo fa i requisiti illuminotecnici erano finalizzati “semplicemente” all’ottenimento di condizioni che favorissero le prestazioni visive ed il comfort visivo, secondo i dettami dell’HCL entrano in gioco anche gli effetti non visivi, non solo quelli relativi alla sincronizzazione dei ritmi circadiani, ma anche quelli sull’umore e sullo stato di vigilanza.

La Commission Internationale de l’Eclairage (CIE) ha introdotto il termine “integrative lighting”, preferendolo ad HCL, in cui l’aggettivo “integrative” vuole sottintendere una illuminazione che integra, bilanciandoli opportunamente, i requisiti visivi e quelli non visivi.

Insieme all’HCL, è nata una nuova terminologia e sono state proposte nuove grandezze. Alcuni dei nuovi termini utilizzati sono impropri, anche se diffusi, come ad esempio “luce circadiana” o “luce melanopica”, alcune delle nuove grandezze proposte da diverse fonti possono portare confusione e disorientamento tra i progettisti. Obiettivi del presente articolo sono di fare chiarezza sulla nomenclatura e di illustrare sinteticamente quali sono le attuali indicazioni pratiche fornite dalla comunità scientifica e acquisite da alcuni standard e protocolli. Senza pretendere di descrivere tutto in dettaglio, si vogliono fornire ai progettisti alcune informazioni che li inducano ad orientarsi verso una progettazione integrativa o HCL.

Effetti visivi e non visivi

Il principale effetto non legato alla visione, determinato dalle radiazioni che ricadono nell’intervallo “visibile”, è il contributo dato alla regolazione dei ritmi circadiani. La luce è vista come “zeitgeber”, datore di tempo e l’alternanza giorno/notte ossia luce/buio, favorisce tutte le attività che scandiscono i nostri ritmi biologici con periodo giornaliero: il sonno e la veglia, l’andamento della temperatura corporea, la pressione sanguigna, le funzioni metaboliche, ecc.

La mancanza di sincronizzazione dei ritmi di tali attività può portare ad effetti negativi sulla salute degli individui, in primis a disturbi del sonno, o favorire, insieme ad altre concause, l’insorgere di diverse patologie (diabete, obesità, depressione, malattie cardio-vascolari...).

Per una buona regolazione dei ritmi circadiani è necessario ricevere un’adeguata dose di luce durante il mattino, durante le ore serali è opportuno ridurre lo stimolo luminoso, mentre durante il sonno notturno la condizione ideale è il buio o, al massimo, un ridottissimo stimolo. Durante le ore diurne, sarebbe opportuno stare all’aperto, ma le attuali abitudini di vita e lavoro fanno sì che, soprattutto nei paesi più sviluppati, gli individui trascorrano gran parte del loro tempo in ambienti interni. Di contro, durante le ore serali, i livelli di illuminamento e luminanza, in particolare negli ambienti interni, possono essere prossimi a quelli attinti durante il giorno.

Dal punto di vista pratico, occorre quantificare lo stimolo circadiano e porre dei limiti alla dose di radiazione ricevuta dal sistema visivo durante i diversi periodi della giornata. L’approccio più semplice sarebbe quello di porre delle soglie ai valori di illuminamento valutato in corrispondenza degli occhi, da mantenere per una certa durata di tempo durante le varie fasi del giorno. Purtroppo, però, la sensibilità spettrale dei fotorecettori responsabili delle risposte non visive non è uguale a quella che caratterizza gli stimoli visivi, rappresentata dalla curva di sensibilità fotopica V(λ).

Occorre infatti ricordare che tutte le grandezze fotometriche sono basate su tale sensibilità spettrale e sono ottenute “pesando” le analoghe grandezze spettrali radiative rispetto alla funzione V(λ). A titolo d’esempio si consideri una generica superficie ed una certa irradianza, espressa in W/m2, ed incidente su tale superficie con una certa distribuzione spettrale nell’intervallo visibile. Come determinare il corrispondente illuminamento, espresso in lux?

A titolo d’esempio in Fig. 1 è riportata la funzione V(λ), che assume il massimo valore, pari ad 1, in corrispondenza di 555 nm, insieme all’irradianza spettrale prodotta dalla luce naturale “standard”, denominata D65 (funzione D65(λ)), espressa in W/m2nm. L’area al di sotto della funzione D65(λ), indicata con Ee, può essere calcolata integrando tale funzione e rappresenta l’irradianza, espressa in W/m2.

Figura 1. Come calcolare l’illuminamento Ev a partire dall’irradianza spettrale. Esempio riferito allo spettro dell’illuminante standard D65, caratteristico della luce naturale.
Figura 1. Come calcolare l’illuminamento Ev a partire dall’irradianza spettrale. Esempio riferito allo spettro dell’illuminante standard D65, caratteristico della luce naturale.

In particolare, nel caso di Fig.1, l’irradianza Ee è pari a 2,34 W/m2. La distribuzione spettrale che concorre alla valutazione dell’illuminamento deve tenere conto della sensibilità alla luce del sistema visivo umano ed è ottenuta dalla irradianza spettrale, moltiplicando ciascuna ordinata del diagramma per il corrispondente valore V(λ), funzione VD65(λ).

L’area al di sotto di quest’ultima funzione, indicata con V, è proporzionale all’illuminamento.

Nel caso in esame V = 0,732 W/m2. L’illuminamento si ottiene moltiplicando V per il valore costante Kmax = 683 lm/W. Sempre nel caso in esame di Fig.1 l’illuminamento è dunque: V*Kmax = 0,732 * 683 = 500 lx.

Per quanto riguarda invece gli effetti non visivi, la sensibilità spettrale è principalmente legata ad altri fotorecettori, nello specifico alle cellule gangliari intrinsecamente fotosensibili contenenti un foto-pigmento denominato melanopsina, la cui sensibilità spettrale, indicata con m(λ) è differente dalla funzione V(λ), come riportato in Fig. 2.

La diversa sensibilità dei fotorecettori responsabili della visione fotopica – su cui è stata definita la funzione V(λ),- rispetto a quella dei fotorecettori responsabili degli effetti circadiani pone quindi la questione se introdurre o meno nuove grandezze fisiche. Data la differenza tra le due curve di sensibilità (o spettri d’azione), è indubbio che due diverse sorgenti che producono lo stesso illuminamento in corrispondenza degli occhi, possano determinare differenti stimoli “circadiani”.

Figura 2. Spettri d’azione melanopico m(λ) e fotopico V(λ).
Figura 2. Spettri d’azione melanopico m(λ) e fotopico V(λ).

Talvolta è stata impropriamente denominata “luce circadiana” o “luce melanopica” una grandezza ottenuta dall’irradianza spettrale pesata secondo la curva m(λ), in modo simile a quanto fatto per l’illuminamento.

Nel passato si è infatti parlato di “lux circadiani” e, per ottenere valori simili a quelli degli illuminamenti come ordine di grandezza, si sono effettuate diverse proposte, con il risultato di appesantire il numero di grandezze fisiche e corrispondenti unità di misura.


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