Preparazione per il riutilizzo dei rifiuti: con il DM 119/2023 partono le procedure semplificate
Il presente articolo analizza la disciplina recentemente introdotta dal DM 119/2023, che, per la prima volta, fissa le condizioni per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo dei rifiuti “in forma semplificata”. Il regolamento in esame, atteso da anni, attua così l’art. 214-ter del d. lgs. 152/2006 e si pone l’ambizioso obiettivo di agevolare, attraverso la semplificazione delle relative procedure autorizzatorie, la diffusione di questo fondamentale tassello del più ampio quadro di misure volte a favorire la transizione verso l’economia circolare. Particolare attenzione viene riservata agli aspetti (ivi compresi quelli critici) di specifico interesse per il comparto dell’edilizia e delle costruzioni.
La preparazione per il riutilizzo (PPR) alla prova della semplificazione
Con il decreto n. 119 del 10 luglio 2023, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica ha adottato l’atteso «Regolamento recante determinazione delle condizioni per l’esercizio delle preparazioni per il riutilizzo in forma semplificata, ai sensi dell’articolo 214-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
Il predetto regolamento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 204 del 1° settembre 2023 ed è perciò entrato in vigore il 16 settembre 2023.
Esso introduce, per la prima volta, una disciplina dedicata allo svolgimento delle operazioni di «preparazione per il riutilizzo» dei rifiuti (nel prosieguo, per brevità, «PPR») in “forma semplificata”.
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Il decreto del 10 luglio 2023 del MASE reca il Regolamento per le condizioni di esercizio delle preparazioni per il riutilizzo in forma semplificata, ai sensi dell'articolo 214-ter del T.U. Ambiente. Trovi anche il testo da scaricare.
Occorre ricordare che la PPR si trova in cima alla cosiddetta “gerarchia dei rifiuti” (l’art. 179 del d. lgs. 152/2006 la colloca, infatti, subito dopo la prevenzione e prima del riciclaggio) e rappresenta dunque una delle soluzioni di gestione dei rifiuti preferibili sotto il profilo ambientale, perché in molti casi ne consente una più immediata valorizzazione o, quanto meno, di ritardare il momento in cui gli stessi dovranno essere sottoposti alle più impattanti operazioni di riciclaggio o smaltimento; per questo motivo va incentivata il più possibile, anche attraverso l’introduzione di semplificazioni burocratiche.
In che cosa consiste la semplificazione?
Nel caso di specie, la semplificazione consiste nella previsione di un regime autorizzatorio incentrato su una semplice “comunicazione di inizio attività” (sulla falsariga delle procedure semplificate per il recupero di rifiuti già previste dagli articoli 214 e 216 del d. lgs. 152/2006 e, prima ancora, dal d. lgs. 22/1997, cosiddetto “decreto Ronchi”) e il DM 119/2023 ha assolto il compito di stabilire a quali condizioni le operazioni di PPR possono essere svolte avvalendosi di questo nuovo regime.
È bene precisare, infatti, che le operazioni di PPR erano esercitabili già prima dell’entrata in vigore del DM 119/2023, ma richiedevano necessariamente l’ottenimento di una autorizzazione “ordinaria” al trattamento di rifiuti secondo la gravosa procedura di cui all’art. 208 del d. lgs. 152/2006 (regime autorizzatorio che, ovviamente, potrà comunque essere ancora utilizzato ogniqualvolta non si intenda – o non si possa – esercitare le operazioni di PPR in conformità alla speciale disciplina introdotta dal regolamento in esame, ad esempio per tipologie di rifiuti non previste dal DM 119/2023 o per quantitativi annui superiori).
Prima di addentrarsi nella disamina del DM 119/2023, è opportuno formulare alcune puntualizzazioni, anche allo scopo di inquadrare il contesto in cui esso si inserisce.
In via preliminare, si precisa che, in questa sede, verrà posta particolare attenzione ai profili di interesse per il comparto dell’edilizia e delle costruzioni, tralasciando, invece, gli aspetti specialistici concernenti la PPR dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (cosiddetti “RAEE”, settore che attendeva da tempo delle opportune semplificazioni e nel quale il DM 119/2023 troverà presumibilmente grande applicazione).
In proposito, giova del resto segnalare che già dieci anni fa la Commissione europea aveva rilevato che l’edilizia genera circa un terzo di tutti i rifiuti prodotti nell’Unione europea e si è proposta di promuovere «un uso più efficiente delle risorse usate dall’edilizia commerciale, residenziale e pubblica» anche attraverso misure utili per ridurre il consumo di risorse e i relativi impatti ambientali durante l’intero ciclo di vita di un edificio (compresa la sua ristrutturazione), quali – appunto – il riutilizzo dei materiali e dei prodotti utilizzati nella costruzione e nell’uso degli edifici (cfr. Comunicazione n. 445 del 1° luglio 2014 intitolata «Opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia»).
Le definizioni di «riutilizzo» e «preparazione per il riutilizzo» dei rifiuti
Ciò premesso, occorre anzitutto fare chiarezza sui concetti di «riutilizzo» e «preparazione per il riutilizzo» dei rifiuti, partendo dalle definizioni che troviamo nel d. lgs. 152/2006 (noto anche come “Codice dell’ambiente”) e, prima ancora, nella direttiva 2008/98/CE (“direttiva-quadro” sulla gestione dei rifiuti, recepita in Italia con il d. lgs. 205/2010).
L’art. 183, comma 1, d. lgs. 152/2006 definisce:
- il «riutilizzo» come «qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti» (lett. r);
- la «preparazione per il riutilizzo» come «le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento» (lett. q).
Mentre il riutilizzo riguarda i prodotti (o i loro componenti), e si colloca pertanto a valle della gestione dei rifiuti, la PPR (operazione, quest’ultima, che è evidentemente funzionale alla prima) ha ad oggetto dei materiali qualificati (giuridicamente) come “rifiuti”.
Solo la PPR, conseguentemente, deve essere debitamente autorizzata in applicazione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti.
Essa, più precisamente, si colloca a pieno titolo all’interno della “famiglia” delle operazioni di recupero di rifiuti. Nello specifico, come espressamente stabilisce lo stesso comma 1 del citato art. 183 alla lett. t-bis), rappresenta (al pari del riciclaggio) un tipo di «recupero di materia», vale a dire una operazione di recupero di rifiuti «diversa dal recupero di energia e dal ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o altri mezzi per produrre energia».
Coerentemente, l’allegato C della Parte Quarta del d. lgs. 152/2006 precisa che le operazioni di recupero di rifiuti R3 («Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche»), R4 («Riciclaggio/recupero dei metalli e dei composti metallici») e R5 («Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche») “comprendono” l’operazione di PPR.
Le sopra riportate definizioni dell’art. 183 del d. lgs. 152/2006 ricalcano, in buona sostanza, quelle contenute nell’art. 3 della direttiva 2008/98/CE, secondo cui, rispettivamente, «‘re-use’ means any operation by which products or components that are not waste are used again for the same purpose for which they were conceived» (punto 13) e «‘preparing for re-use’ means checking, cleaning or repairing recovery operations, by which products or components of products that have become waste are prepared so that they can be re-used without any other pre-processing» (punto 16).
ATTENZIONE
Si noti però che, mentre la norma italiana (ivi compresa la versione in lingua italiana dell’art. 3 della direttiva) utilizza inspiegabilmente, nell’elencare le attività (controllo, pulizia, smontaggio e riparazione) di cui consta l’operazione di PPR, la congiunzione copulativa “e”, la versione in lingua inglese (ma, per quanto è stato possibile verificare, anche quelle nelle altre lingue dell’Unione europea) utilizza più appropriatamente la congiunzione disgiuntiva “o”, chiarendo che la PPR non richiedere necessariamente lo svolgimento di tutte le attività di cui sopra (si anticipa che, come si vedrà, il DM 119/2023 si discosta, in proposito, dalla formulazione letterale dell’art. 183 del d. lgs. 152/2006, stabilendo che le operazioni di PPR in forma semplificata debbano consistere in «almeno una» delle attività di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione, e dunque che non occorra eseguirle tutte).
L’art. 181 del d. lgs. 152/2006, a propria volta, fissa, al dichiarato scopo di «rispettare le finalità del presente decreto e procedere verso un’economia circolare con un alto livello di efficienza delle risorse», gli obiettivi non solo per il riciclaggio di particolari frazioni di rifiuti, ma anche per la PPR delle stesse. Per quanto di specifico interesse in questa sede, la citata disposizione fissava al 2020 il termine per il raggiungimento dell’obiettivo del 70% (in termini di peso) per «la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale (…) di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi (…)».
Il regolamento in esame si inserisce pertanto nel contesto di cui sopra e, come ha del resto sottolineato lo stesso Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica quando ha sottoposto il primo schema di decreto al Consiglio di Stato per l’ottenimento del necessario parere, il suo scopo è quello «di promuovere la transizione verso un’economia circolare in linea con la politica comunitaria - Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare" - nonché di raggiungere gli sfidanti obiettivi in tema di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio, posti dall'articolo 181 del TUA».
Da questo punto di vista, esso rappresenta «un tassello di non poco rilievo nel quadro della semplificazione delle procedure volte ad accelerare processi virtuosi di recupero e riutilizzo dei rifiuti, in una logica di economia circolare, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) di cui al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 (Missione 2: rivoluzione verde e transizione ecologica - C1. Economia circolare e agricoltura sostenibile)» (in questi termini si esprime il Consiglio di Stato nel proprio parere interlocutorio n. 638 del 22 marzo 2022).
L’iter che ha portato all’adozione del DM 119/2023 si è, tuttavia, rivelato più lungo e complesso del previsto: era stato, infatti, il d. lgs. 116/2020 (decreto che ha recepito la direttiva 2018/851/UE in materia di “economia circolare”, la quale a propria volta ha modificato la citata “direttiva-quadro” sui rifiuti del 2008) a inserire per la prima volta nella Parte Quarta del d. lgs. 152/2006 una specifica disposizione, il nuovo art. 214-ter, finalizzata a consentire delle agevolazioni, anche dal punto di vista procedurale, per le operazioni di PPR.
Il citato art. 214-ter (rubricato «Determinazione delle condizioni per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata»), nella versione attualmente vigente, stabilisce quanto segue: «L’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti, di cui all’articolo 183, comma 1, lettera q), è avviato, a partire dall’entrata in vigore del decreto di cui al comma 2, decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio attività, entro i quali le province o le città metropolitane territorialmente competenti verificano, secondo le modalità indicate dall’articolo 216, il possesso dei requisiti previsti dal decreto di cui al comma 2 del presente articolo. Gli esiti delle procedure semplificate avviate per l’inizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo sono comunicati dalle autorità competenti al Ministero della transizione ecologica [NDA oggi Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, o «MASE»]. Le modalità e la tenuta dei dati oggetto delle suddette comunicazioni sono definite nel decreto di cui al comma 2 (…)» (comma 1); «Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare [NDA oggi MASE] adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definite le modalità operative, le dotazioni tecniche e strutturali, i requisiti minimi di qualificazione degli operatori necessari per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo, le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di preparazione per il riutilizzo» (comma 2).
Nonostante l’art. 214-ter del d. lgs. 152/2006 fissasse ottimisticamente in 60 giorni il termine entro il quale il Ministero avrebbe dovuto darvi attuazione definendo le condizioni per l’esercizio delle operazioni di PPR in forma semplificata, è stato quindi necessario attendere oltre 3 anni per l’adozione del regolamento in esame (ciò senza considerare che già il citato d. lgs. 205/2010 aveva vanamente previsto l’adozione, da parte del Ministero dell’ambiente, di appositi decreti volti a promuovere la PPR), periodo durante il quale sono state peraltro apportate molteplici revisioni al testo dello stesso l’art. 214-ter, la più rilevante delle quali è consistita nella sostituzione della originaria previsione di una segnalazione certificata di inizio di attività (“SCIA”) ai sensi dell’art. 19 della legge 241/1990 (cioè, di un tipico modello di controllo che si svolge esclusivamente ex post, vale a dire dopo l’avvio dell’attività) con la attuale comunicazione di inizio attività (che, come si è visto, dal momento della sua presentazione prevede quanto meno un periodo di “stand still” di 90 giorni durante il quale l’attività non può legittimamente essere intrapresa, dando così all’autorità di competente il tempo di verificare il rispetto dei requisiti e delle condizioni fissati a livello normativo).
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio la disciplina dettata dal DM 119/2023 ai fini dello svolgimento delle operazioni di PPR in “forma semplificata”.
La disciplina introdotta dal DM 119/2023
Oggetto del Regolamento
L’art. 1 precisa l’oggetto del regolamento in esame (dichiaratamente adottato in attuazione degli articoli 181 e 214-ter del d. lgs. 152/2006), stabilendo che esso si propone di definire:
- a) le modalità operative che occorre seguire e i requisiti minimi di qualificazione che gli operatori devono possedere per poter esercitare l’attività di PPR in procedura “semplificata”;
- b) le dotazioni tecniche e strutturali necessarie per l’esercizio della suddetta attività;
- c) le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di PPR;
- d) le condizioni specifiche per l’esercizio delle citate operazioni di PPR.
Definizioni
L’art. 2 introduce, poi, alcune definizioni, che, ai fini della specifica disciplina dettata dal DM 119/2023, integrano le definizioni previste dalla generale normativa in materia di gestione dei rifiuti di cui alla Parte Quarta del d. lgs. 152/2006 (e, per quanto concerne i RAEE, dall’art. 4 del d. lgs. 49/2014).
Chi è il gestore e chi l'operatore
In quest’ambito, il regolamento in esame prevede, anzitutto, una distinzione fra la figura del «gestore» e quella dell’«operatore», definendo il primo come «qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce operazioni di preparazione per il riutilizzo» e il secondo come «qualsiasi soggetto che presta la propria opera in relazione alle attività di preparazione per il riutilizzo di rifiuti presso il centro [di preparazione per il riutilizzo di cui alla lettera]».
Al di là della formulazione non particolarmente felice delle citate definizioni (che il gestore sia la persona che “gestisce” appare, infatti, quanto meno tautologico, mentre non è del tutto chiaro cosa significhi “detenere” un’“operazione” di PPR, giacché appare più logico pensare che il gestore possa detenere, semmai, il “centro” di PPR; non a caso, quando la normativa ambientale definisce altre figure di gestore, ad esempio in materia di AIA o di AUA, le riferisce più appropriatamente all’installazione, all’impianto o allo stabilimento), sfuggono, francamente, il senso e l’utilità pratica di questa duplicazione di figure soggettive, dal momento che il DM 119/2023 pone a carico del gestore tutti i principali obblighi e adempimenti (tra cui il possesso dei requisiti soggettivi per l’esercizio delle attività di PPR, la presentazione della comunicazione di inizio attività, la definizione di un apposito regolamento interno volto a definire le specifiche di accettazione dei rifiuti) e, quando si riferisce agli operatori, indica semplicemente dei requisiti che, in buona sostanza, riguardano i lavoratori di cui il gestore si avvale nel materiale compimento delle operazioni di PPR.
Lo si ricava dall’art. 5, comma 3, secondo cui gli operatori «devono possedere idonea capacità tecnica in relazione alla specifica operazione cui sono preposti, dimostrata mediante il possesso dei requisiti di qualificazione professionale di cui all’allegato 1, paragrafo 4»; quest’ultimo paragrafo, a propria volta, precisa i requisiti tecnico-professionali minimi che gli operatori devono possedere (diploma di scuola secondaria superiore con specializzazione relativa al settore di attività, attestato di qualifica professionale ed esperienza nel settore non inferiore a due anni), esonerando però da tale obbligo le persone svantaggiate (vale a dire i soggetti che, in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, presentano condizioni di fragilità e debolezza) che siano impiegate presso il centro di PPR in percorsi di inserimento lavorativo e che possono però essere adibite soltanto ad attività di minore complessità.
A questo si aggiunga che lo stesso termine di «operatore» è utilizzato anche dall’art. 302 del d. lgs. 152/2006, in materia di danno ambientale, per indicare una figura soggettiva che sarebbe riconducibile nella quasi totalità dei casi a quella che il DM 119/2023 qualifica come «gestore», circostanza che crea pertanto un quanto mai inopportuno disallineamento fra le due normative, foriero di possibili incertezze applicative.
Si noti, oltretutto, che il modello per la comunicazione di inizio attività contenuto nell’allegato 2 del DM 119/2023 non impone al gestore nemmeno di indicare chi saranno gli operatori chiamati a “prestare la propria opera” nelle attività di PPR che ci si accinge a svolgere presso il proprio centro.
Chi è il conferitore
Attraverso, poi, la definizione della figura del «conferitore», il DM 119/2023 determina una precisa delimitazione del novero dei soggetti che possono destinare i propri rifiuti alle operazioni semplificate di PPR disciplinate dal medesimo regolamento. Rientrano, infatti, in questa definizione (al netto delle specifiche figure soggettive indicate rispetto al settore dei RAEE) soltanto i gestori del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, i gestori dei centri di raccolta ove avviene il raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori, i gestori di impianti di trattamento di rifiuti e i detentori di rifiuti provenienti da utenze non domestiche.
Centro di preparazione per il riutilizzo
Da segnalare, infine, la definizione di «centro di preparazione per il riutilizzo (centro)», espressione con cui si deve intendere «l’impianto che svolge operazioni di preparazione per il riutilizzo di rifiuti in conformità alle disposizioni del presente regolamento» (anche in tal caso la norma non brilla per precisione, poiché appare invero poco appropriato riferire lo svolgimento dell’operazione di PPR all’“impianto”; ammesso e non concesso che fosse strettamente necessario introdurre una apposita nozione di “centro” di PPR, sarebbe perciò stato evidentemente più opportuno definirlo come l’impianto presso il quale si svolgono le operazioni in questione).
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