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Porticato chiuso: è ristrutturazione edilizia o risanamento conservativo? I motivi del no alla sanatoria

Tar Lombardia: serve il permesso di costruire per la chiusura su tre lati di un preesistente porticato, sorretto da pali in legno, con nuova pavimentazione e installazione di un impianto di riscaldamento

Un problema 'storico', quello della chiusura del porticato, che ha dato vita a tantissimi abusi edilizi o presunti tali, con conseguenti ordinanze di demolizione e ricorsi alla giustizia amministrativa. Una delle ultime 'avventure' della chiusura del porticato, che abbraccia svariate 'pillole' di edilizia urbanistica, è quella del Tar Milano, che con la sentenza 1268/2020 del 1° luglio affronta il caso dell'ampliamento di un immobile con creazione di un nuovo locale vicino alla preesistente cucina.

Ristrutturazione o risanamento conservativo?

Nello specifico, il locale era stato realizzato grazie alla chiusura su tre lati di un preesistente porticato sorretto da pali in legno con lastre in eternit; in particolare, risultava piastrellato, dotato di illuminazione e di convettore gas per il riscaldamento, lungo 8,70 m e largo 5,00 m, e all’interno venivano rinvenuti 8 tavoli, 37 sedie e 2 appendiabiti. All’esterno era presente un grosso barbecue alimentato a gas, mentre, nel muro confinante posto a nord, venivano rinvenute numerose viti e tasselli. La proprietaria dell’immobile dichiarava che l’anzidetto nuovo locale veniva utilizzato dai soci del locale per pranzi e cene.

Il comune aveva effettuato un accertamento, e il giorno seguente la proprietaria aveva presentato istanza di permesso di costruire in sanatoria per aver realizzato i seguenti lavori senza titolo: sostituzione del manto di copertura con lamiera, realizzazione di tre pilastrini in muratura su muro esistente, nuova pavimentazione in ceramica, nuovo controsoffitto in pannelli di cartongesso, due nuove porte a lamelle, nuove chiusure luci con tende in pvc trasparenti e nuovo scivolo di accesso con parapetto in tubolare.

Il funzionario dell'ente locale, però, comunicava i motivi ostativi al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, in quanto suddetto l’intervento dovesse essere qualificato come ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso dell’immobile, essendo stato trasformato un portico in una sala di ristorazione. Da ciò discendeva il contrasto con la normativa tecnica di PRG vigente alla data dell’abuso, che ammetteva e consentiva, in assenza di piano attuativo, gli interventi di cui alle lettere a), b), c) e d) dell’art. 31 della l. 457/1978 purché non si realizzasse il cambio di destinazione d’uso.

Per la proprietaria non si trattava di ristrutturazione ma di risanamento conservativo, non essendo stato neppure operato il mutamento della destinazione d’uso dello spazio sottostante l’ex tettoia, per cui tutti gli interventi potevano essere legittimamente eseguiti. Il comune rimaneva fermo sulla sua posizione imponendo la demolizione entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento. Ma la prorietaria si giocava un altro asso nella manica: la 'non' motivazione al 'no' all'accertamento di conformità urbanistica del comune.

La qualificazione dell'intervento

Il primo motivo di ricorso verte sulla qualificazione dell’intervento, che consiste nella chiusura su tre lati di un preesistente porticato, sorretto da pali in legno, con nuova pavimentazione e installazione di un impianto di riscaldamento.

Ad avviso del Collegio l’intervento non può che essere ricondotto nella nozione di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d) del dpr 380/2001 e dell’art. 27 della L.R. n. 12/2005, che ricomprendono tutti gli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. A seguito delle nuove opere è stato creato un locale, trasformando la preesistente tettoia, che da semplice pertinenza ora diviene un organismo edilizio completamente diverso dal precedente, anche per quanto attiene alla destinazione.

A seguito del nuovo manufatto, in realtà, è stata modificata la tipologia e la struttura dell'edificio originario. Infatti dall’intervento è scaturito un organismo edilizio diverso dal precedente, con la creazione di un locale chiuso sui 4 lati, un nuovo volume, con una nuova destinazione, in ampliamento al fabbricato a cui accede.

La giurisprudenza afferma che anche solo con l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato si determina la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria, e ciò vale anche nell'ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto solo per un determinato periodo nell'arco dell'anno (v., tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 24.2.2020, n. 837).

Pertanto l’opera appare riconducibile ad un intervento di ristrutturazione “pesante”, dal momento che è stato creato un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con variazione della volumetria, come previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001, mentre per la ristrutturazione edilizia “leggera” l’organismo edilizio interessato dalle opere rimane identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici.

Gli stessi ricorrenti hanno presentato una richiesta di permesso di costruire in sanatoria, necessaria per assentire interventi di ristrutturazione pesante, a differenza degli interventi di ristrutturazione leggera, per i quali è sufficiente la SCIA.

Il diniego del permesso di costruire in sanatoria va motivato adeguatamente

Nella seconda censura si lamenta la violazione dell’art. 36 dpr 380/2001 sotto il profilo della mancanza dei presupposti per il diniego del rilascio del provvedimento di sanatoria, nonché l’eccesso di potere nelle sue diverse figure sintomatiche, in quanto nel provvedimento non sarebbero state rappresentante le ragioni di rigetto della domanda di sanatoria. Infatti, secondo gli esponenti, la sola qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia non sarebbe una ragione di per sé sufficiente per respingere la domanda di sanatoria.

In questo caso il ricorso va accolto, in quanto:

  • dal raffronto del preavviso di rigetto con il provvedimento definitivo emerge che l’unico motivo di rigetto espressamente indicato è la natura dell’intervento, ma non vengono richiamate le ragioni di natura urbanistica che ostano all’accoglimento della domanda. Infatti, la sanatoria presuppone la c.d. doppia conformità, cioè la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria. Nel caso in esame, l’Amministrazione ha indicato nel preavviso di diniego le ragioni di contrasto alle prescrizioni urbanistico-edilizie, ma poi nell’atto conclusivo – dopo le osservazioni della proprietaria – ha dichiarato che tali ragioni erano superate, quanto meno in parte, e non ha fatto altro che richiamare la tipologia dell’intervento edilizio realizzato, ovvero la ristrutturazione edilizia ex art. 3, comma 1, lettera d), del dpr 380/2001;
  • da ciò discende l’infondatezza della tesi della difesa comunale, secondo cui la motivazione sarebbe rinvenibile nel provvedimento di diniego, in quanto lo stesso richiama tutti gli atti istruttori compiuti dal Comune. Infatti se è pacifico che la motivazione per relationem è ammessa dall’art. 3, comma 3, della L. 241/90 e si intende soddisfatta con il rinvio agli atti istruttori espressamente richiamati, è però innegabile che nel caso in esame l’Amministrazione abbia ritenuto di non richiamare le ragioni urbanistiche di diniego, ritenendole “superate”, almeno in parte, e non chiarendo quali fossero gli eventuali motivi ostativi “residuali”, o comunque impedendo una inequivocabile ricostruzione delle ragioni sottostanti alla decisione finale;
  • come ha correttamente evidenziato la difesa dei ricorrenti, rimane il difetto di motivazione relativamente ai profili di natura urbanistico/edilizia che precludono l’accoglimento della domanda di accertamento di conformità.

Dall'annullamento del provvedimento di diniego dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria discende anche l'illegittimità derivata della successiva ordinanza di demolizione, poiché quest'ultima è stata motivata dall'amministrazione richiamando il diniego di sanatoria, il cui annullamento fa venir meno il presupposto logico-giuridico che sorreggeva l’ordinanza stessa, a fronte della riedizione del potere da parte dell’Amministrazione, chiamata a questo punto a riprovvedere sull’istanza di accertamento di conformità.

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF


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