Polizze catastrofali obbligatorie, Truzzi (ASSOBETON): "Con questa scelta più costi sulle spalle dei cittadini"
In questa intervista Alberto Truzzi (Presidente ASSOBETON) evidenzia che l’obbligo di assicurazione contro le calamità naturali per le imprese trasferisce maggiori costi ai cittadini e potrebbe incentivare gli adeguamenti strutturali, ma richiede incentivi per essere efficace. Sottolinea l’importanza della prevenzione, specie in zone sismiche, e il ruolo chiave dei prefabbricatori nella sicurezza degli edifici industriali.
L’impatto dell’obbligo assicurativo sulla gestione del rischio naturale in Italia
L’Italia è uno dei paesi europei più esposti ai rischi naturali, con una lunga storia di eventi catastrofali che hanno avuto un forte impatto sul territorio, sulle infrastrutture e sull’economia. L’introduzione dell’obbligo di stipulare polizze assicurative contro i danni da calamità naturali per tutte le imprese rappresenta un cambio di paradigma nella gestione del rischio. Questo provvedimento mira a rafforzare la resilienza del sistema produttivo e a distribuire in modo più equo i costi della ricostruzione. Tuttavia, restano aperti diversi interrogativi: come influenzerà la sicurezza delle imprese? È una misura sufficiente per proteggere un territorio fragile come l’Italia? Ne parliamo con Alberto Truzzi, presidente ASSOBETON.
Andrea Dari:
L'Italia è un territorio altamente vulnerabile ai rischi naturali. Come valuti l’importanza di questo provvedimento nel contesto della prevenzione e della resilienza economica del sistema produttivo italiano? È giusto responsabilizzare maggiormente i privati e coinvolgere il settore assicurativo in un ruolo più attivo nella gestione del rischio?
Alberto Truzzi:
Sono molte le considerazioni da fare: innanzitutto è doveroso distinguere i rischi ineluttabili come i terremoti e le grandinate di grandi proporzioni (per le quali stranamente l’assicurazione non è resa obbligatoria dal decreto), da quelli gestibili, come quello idrogeologico. Nel primo caso si tratta solamente di bilanciare le risorse in gioco in termini di premi da versare e risarcimenti effettivi, nel secondo caso ci sono gravi responsabilità dovute ad un’errata gestione del territorio, frutto di scelte politiche errate o di “non scelte”. In entrambi i casi però, il ricorso all’assicurazione obbligatoria tende a scaricare sul cittadino costi maggiori rispetto alla situazione attuale.
Mi spiego meglio: se a risarcire è lo Stato, e nel caso delle palesi carenze del sistema dei fiumi e torrenti che è sotto la gestione pubblica sarebbe sacrosanto, è evidente che tale costo sia a carico della comunità. Se a risarcire sono invece le assicurazioni invece pure, perché la somma dei premi assicurativi pagati periodicamente, e quelli futuri ancor di più, perché bilanciati sugli effettivi risarcimenti, sono maggiori dei risarcimenti stessi, perché devono, oltre che garantire l’importo dei danni, pagare i costi di struttura degli istituti di assicurazione, oltre che garantirgli cospicui EBITDA.
Ergo: a pagare sono sempre i cittadini, ma, con l’assicurazione obbligatoria, gli importi complessivi sono maggiori. Vero è che, nel caso degli eventi sismici, diminuire i premi assicurativi all’incrementare dei miglioramenti strutturali sia un circolo virtuoso verso una limitazione dei danni e una maggior salvaguardia della vita umana, ma ne parlerò meglio in seguito.
Andrea Dari:
I prefabbricati in calcestruzzo rappresentano la tecnologia costruttiva più utilizzata per la realizzazione di edifici industriali. Tuttavia, queste strutture sono state realizzate in epoche diverse, con normative e criteri progettuali molto variabili. Ritieni che l’obbligo assicurativo possa incentivare le imprese a investire nella valutazione e nell’adeguamento strutturale degli edifici più datati?
Alberto Truzzi:
Ringrazio della domanda, perché tocca un fattore chiave della questione. Dopo il crollo della scuola di San Giuliano di Puglia il 31 ottobre 2002 la Protezione Civile ed il Governo si mobilitarono per adeguare la zonizzazione sismica del nostro paese e di lì a poco fu emanata l’ordinanza Opcm n. 3274 del 20 marzo 2003, che conteneva una nuova zonizzazione sismica che aboliva definitivamente la classificazione N.C. (non classificata), sebbene non ci fossero mai stati episodi sismici gravi che abbiano coinvolto zone così inquadrate e stabiliva una sismicità minima di categoria 4 e trasformava molte zone N.C. in zone 3. Al di là di un iniziale disorientamento, vennero poi le norme che resero obbligatorio il calcolo sismico aggiornato ai nuovi parametri.
La sensazione che fosse solo un aggravio dei costi di costruzione in zone che sismiche non erano mai state e che sembrava continuassero a non esserlo, venne brutalmente annullata dal cosiddetto “terremoto dell’Emilia” del 20 e 29 Maggio 2012. Il cratere sismico, come veniva chiamata la zona di maggior intensità delle scosse, era costituito da zone che prima dell’Opcm del 2003 erano N.C. e che furono poi da considerare in zona 3. Capimmo tutti il perché, visto che molte costruzioni che erano state progettate senza criteri antisismici, e all’epoca della costruzione perfettamente corrispondenti ai dettami legislativi e alle norme vigenti, andarono in crisi, al contrario di quelle che erano state progettate con i nuovi criteri. È facile trarre conclusioni ineludibili: in tutte le zone che erano classificate N.C. ai fini sismici e che dall’Opcm del 2003 sono state da considerare di categoria 3, si è in presenza di un pericolo sismico serio e una vulnerabilità elevata per tutti gli edifici progettati secondo la vecchia classificazione. Poi anche per le zone 4 non è che si possa stare tranquilli, e nemmeno per gli edifici costruiti in zone considerate sismiche da sempre, ma con criteri non in linea con le odierne conoscenze. Pertanto la modulazione dei premi assicurativi proporzionale alla vulnerabilità sismica è cosa di buon senso e che tende a far provvedere ad indagini sull’effettivo livello anti sismico degli edifici ed ai conseguenti investimenti di miglioramento, il cui ritorno è sicuramente superiore al costo dei danni, anche in termini di vite umane, causati da un possibile evento sismico.
A ciò si aggiunga che, ai sensi del decreto 81/2008 i datori di lavoro devono preoccuparsi della salute e dell’incolumità dei propri dipendenti, e ciò implica la valutazione di tutti i rischi dei posti di lavoro (va redatto obbligatoriamente un DVR), dai quali quello sismico non può assolutamente essere escluso e, nonostante il fattore di probabilità sia determinante e tenda a far trascurare tale evenienza, i PM ed i giudici, dato il precedente del sisma 2012, che avrebbe dovuto mettere in guardia i datori di lavoro delle zone ex N.C., potrebbero, in caso di sinistro sismico, condannare chi non ha gestito questo rischio. Ecco allora che emerge chiaramente la necessità di una intensa campagna di intervento atta a migliorare la sicurezza antisismica degli edifici. Diverse sono le possibilità, per il patrimonio edilizio esistente, di presidiare il pericolo di forti grandinate, poco o nulla si può fare sugli edifici per contrastare l’effetto di alluvioni e inondazioni.

Andrea Dari:
Come già detto Il terremoto dell’Emilia del 2012 ha evidenziato criticità importanti nella sicurezza degli edifici industriali prefabbricati, soprattutto quelli costruiti senza considerare il rischio sismico. Quali sono le principali lezioni apprese e quali sono oggi le vulnerabilità più urgenti da affrontare?
Alberto Truzzi:
Innanzitutto va detto che quel sisma fece crollare miriadi di chiese costruite negli ultimi 500 anni, caratterizzate da funzionamenti strutturali a volta o ad arco, in seguito alla forte componente sussultoria che mise in crisi le strutture che seguivano la linea delle pressioni; ciò a testimoniare che negli ultimi 500 anni non era mai successo nulla di simile. Per gli edifici più recenti realizzati con strutture prefabbricate, il problema numero uno era dato dal fatto che in zona N.C. non erano prescritte, e quindi quasi mai realizzate, le connessioni meccaniche tra le membrature e ciò, in virtù della già citata componente sussultoria di quel sisma (al contrario di quello dell’Aquila che era quasi completamente ondulatorio) determinò molti crolli per la perdita dell’appoggio, conseguente a sollevamenti e successivi spostamenti relativi tra le membrature, che perdevano gli appoggi.
In seconda istanza ritengo di citare la rottura fragile delle sezioni di base dei pilastri, in quanto non sufficientemente armate e soprattutto di comportamento poco duttile . Altra questione riguardò le connessioni trave/pannello e tegolo di bordo/pannello, che non erano idonee né a reggere le sollecitazioni sismiche in senso ortogonale alla superficie del pannello, né a consentire gli spostamenti nella direzione parallela alla superficie, con impropri irrigidimenti del complesso strutturale in quella direzione.
Controproducenti irrigidimenti furono causati anche dalla presenza di corpi irrigidenti non baricentrici rispetto alla pianta dell’edificio, come corpi scala/ascensore, che, implicando importanti eccentricità tra il centro delle masse ed il centro delle rigidezze, determinarono insopportabili rotazioni dell’insieme strutturale, con crisi dei pilastri periferici. L’assenza di giunti sismici tra corpi di fabbrica di altezza e rigidezza differente causò forti anomalie nel modo di vibrare dei vari insiemi strutturali, con conseguenti eccessive sollecitazioni locali sui pilastri e sulle connessioni trave pilastro. Terminerei con le fondazioni che patirono non solo la liquefazione dei terreni, laddove presente, e lo spostamento relativo tra fondazioni isolate contigue, ma anche la mancata messa in conto delle sollecitazioni di taglio, di scorrimento orizzontale e flettenti causate dal sisma. Questi sono più o meno i punti critici delle costruzioni progettate non computando le azioni sismiche per le zone classificate N.C. Va da sé che a queste negatività riscontrate vada associata la realizzazione delle opere di miglioramento sismico per gli edifici esistenti.
Quindi, realizzazione di efficaci connessioni tra le membrature, rinforzo dei pilastri alla base (ma attenzione a farlo in modo distribuito e congruente ai nuovi modi di vibrare) tramite angolari e calastrelli, fasciature con fibre di carbonio, ringrossi armati, sempre facendo in modo da connettere i rinforzi alla fondazione. Ma anche sostituzione delle connessioni trave/pannello e tegolo di bordo/pannello con apparecchi di fissaggio che garantiscano la necessaria resistenza allo sforzo in una direzione ed un efficacie spostamento nell’altra.
Si deve anche valutare la necessità di realizzare giunti sismici per limitare movimenti rotatori dissimmetrici, così come la realizzazione di controventi correttamente dimensionati e posizionati atti a limitare gli spostamenti. In fondazione ci sono da realizzare cordoli di collegamento, travi di irrigidimento, rinforzi locali di bicchieri di fondazione.
Dai terremoti ai cambiamenti climatici: le nuove sfide per le costruzioni prefabbricate
Andrea Dari:
Quale dovrebbe essere il ruolo dei produttori di prefabbricati nella fase di valutazione della vulnerabilità e nella definizione degli interventi di miglioramento?
Alberto Truzzi:
Nella figura del prefabbricatore, in quanto specialista delle strutture in parola, si condensano tutte le competenze che ci consentono di effettuare una efficacie diagnostica dello stato attuale, l’elaborazione di un’efficiente soluzione di miglioramento (ma spesso anche di completo adeguamento) ottimizzando, con le scelte progettuali a favore del cliente, i costi da sostenere e l’esecuzione dell’intervento in modo chirurgico, poco invasivo e in modo da contenere al massimo i tempi di mancato utilizzo dell’immobile (si sono ad esempio effettuati lavori di miglioramento di edifici adibiti a supermercato senza un solo giorno di chiusura). What else?
Andrea Dari:
Il patrimonio edilizio industriale è molto eterogeneo: in alcune aree del Paese, grazie agli incentivi della cosiddetta "Tremonti", sono stati costruiti numerosi edifici prefabbricati senza considerare il rischio sismico, poiché all’epoca quelle zone non erano classificate come sismiche. Quali sono i principali segnali che dovrebbero spingere un imprenditore a valutare la sicurezza del proprio edificio? Quali sono gli interventi più efficaci per migliorarne le prestazioni?
Alberto Truzzi:
Come già detto, chi ha la rappresentanza legale di una ditta che ha maestranze che lavorano in edifici industriali, deve necessariamente inserire nel proprio documento di valutazione dei rischi un capitolo riguardante il rischio sismico e laddove c’è maggior vulnerabilità sismica (ad esempio dove la resistenza sismica è sensibilmente inferiore di quella prevista dalle norme attuali) pianificare un intervento di miglioramento. In caso contrario è inevitabile che in caso di sisma si possa essere considerati responsabili. Gli interventi più efficaci sono quelli che, con l’expertise e la conoscenza di chi realizza edifici prefabbricati da decenni, vengono pianificati e realizzati impiegando la minor quantità di risorse economiche e di tempi possibile.
Andrea Dari:
Oltre al rischio sismico, il cambiamento climatico ha reso più critici altri aspetti, come la gestione delle acque meteoriche, il rischio incendi e la maggiore esposizione agli eventi atmosferici estremi. Come stanno evolvendo le soluzioni costruttive prefabbricate per rispondere a queste nuove sfide?
Alberto Truzzi:
In mezzo a questi temi ce n’è uno, il fuoco, per il quale lo Stato non risponde con risarcimenti, se non forse in caso di incendi vasti che interessino intere zone come quello recente in California. Va da sé che la progettazione antincendio rivesta un’enorme importanza per la salvaguardia delle cose e delle vite umane. Più si utilizzano soluzioni prefabbricate in c.a. e meno si fa uso di strutture con membrature in acciaio, in lamiera o in legno lamellare, più è garantita la sicurezza antincendio in termini sia di compartimentazione, sia di salvaguardia per l’evacuazione di persone e mezzi, sia di contenimento dei danni, sia di modalità di spegnimento da parte dei VV.FF.
Per la gestione delle acque meteoriche, innanzitutto si deve cercare di evitare l’esecuzione di impianti fognari all’interno degli edifici, provvedendo a convogliare le acque piovane verso pluviali discendenti sul perimetro del fabbricato; poi è sempre più irrinunciabile integrare con fori troppopieno realizzati sul perimetro, che consentano uno scolo di emergenza in caso di precipitazioni di grandi proporzioni o di intasamento degli innesti fognari nella rete pubblica. Poi grande importanza riveste anche il consulto delle mappe idrogeologiche locali che identificano all’interno di un territorio le zone più o meno vulnerabili, ma ciò non ha a che fare con soluzioni costruttive. Va da sé che la realizzazione di vasche di laminazione locali può essere determinante, ma non nel caso di alluvioni di grandi proporzioni.
Andrea Dari:
Il valutatore tecnico di terza parte chiamato dall’assicurazione per la verifica dei rischi e dei danni dovrebbe possedere competenze specifiche e riconosciute. Sarebbe utile avere linee guida specifiche per questo tipo di edifici?
Alberto Truzzi:
È indubbiamente una buona idea, ma la questione è delicata, perché potrebbero nascere conflitti tra soggetti che interpretano le cose in modo utilitaristico ed in conflitto di interessi. In ogni caso il professionista incaricato deve avere competenze elevate. Sicuramente aiuterebbero questionari mirati con firma asseverata del legale rappresentante del soggetto che possiede l’immobile, che se mendaci, in caso di evento, sarebbe chiamato a rispondere penalmente, atti a verificare i presidi strutturali principali, le ipotesi progettuali e quant’altro, ma l’esame del progetto esecutivo rimane essenziale. Il rischio è che le perizie vengano svolte in modo approssimativo e frettoloso e non si valorizzino i veri presidi anti sismici, antincendio e anti allagamenti.
Andrea Dari:
L’obbligo assicurativo potrebbe spingere le imprese a investire in misure di prevenzione e mitigazione dei rischi. Per rendere questa transizione più efficace, pensi che sarebbero necessari nuovi strumenti di supporto o incentivi per le aziende che adottano strategie di riduzione della vulnerabilità?
Alberto Truzzi:
È evidente che se i premi assicurativi saranno proporzionali alla vulnerabilità, i proprietari di immobili dovranno fare delle valutazioni di confronto tra i maggiori importi dei premi ed il costo delle opere di miglioramento. Se il miglioramento è fatto interamente a spese del proprietario dell’immobile, è chiaro che la sua effettuazione avverrà nel caso ciò sia conveniente. Rimane ovviamente esclusa tutta la parte riguardante la sicurezza.
Dopo il terremoto del 2012 lo Stato rese obbligatori i miglioramenti sismici nella zona del cratere sismico, ma se li assunse a proprio carico, evidentemente per garantire sicurezza al cittadino; ora se tale tema è considerato ancora centrale e se si vogliono attivare i proprietari ad aggiungere sicurezza ai propri immobili, diventa inevitabile prevedere dei contributi diretti o con crediti d’imposta. In caso contrario l’assicurazione catastrofale obbligatoria risulterebbe una pura operazione di sgravio di oneri potenziali per lo Stato trasformandoli in oneri certi per le imprese.
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