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Piccolo capanno degli attrezzi in area vincolata: le regole su condono edilizio e possibile deroga regionale

Tar Lazio: la realizzazione di un manufatto, per quanto di minori dimensioni, comporta comunque la creazione di un nuovo volume e quindi non rientra nel novero delle opere di restauro e risanamento conservativo

Abbiamo trattato, anche di recente, il terzo condono edilizio previsto dalla legge 326/2003, che in tal senso contiene alcuni Allegati determinanti per certificare quali opere possono beneficiare della sanatoria e quali no.

Piccolo capanno degli attrezzi in area vincolata: le regole su condono edilizio e possibile deroga regionale

Il capanno degli attrezzi della discordia

Nel caso della sentenza 10506/2022 del Tar Lazio, il protagonista è “un piccolissimo manufatto destinato a magazzino/ricovero per gli attrezzi” di circa 4 m/q, per il quale il comune ha respinto l'istanza di permesso in sanatoria per il condono.

Secondo i ricorrenti, tra l'altro:

  • si era formato il silenzio assenso sulla domanda di condono per decorso dei 36 mesi dalla data di completamento della domanda;
  • l’art. 3 comma 1 lett. b) della L. Reg. 12/2004 introdurrebbe un’eccezione alle cause ostative al condono, secondo cui esse non opererebbero circa abusi effettuati su immobili (pur ricadenti in zone vincolate ma) rientranti in piani urbanistici attuativi vigenti del comune;
  • il provvedimento impugnato non avrebbe preso in considerazione la circostanza che il manufatto è di piccolissime dimensioni e risulta posto al servizio del giardino per la rimessa degli attrezzi, così da rientrare pienamente nella tipologia nr. 4 (dell'Allegato 1 del per il quale è prevista la possibilità di sanatoria, pur in presenza del contestato e presunto vincolo paesaggistico.

 

Condono edilizio e silenzio-assenso o silenzio-rigetto: come funziona?

Sul primo motivo di ricorso sopracitato, il comune aveva evidenziato che l'art. 6 comma 3 L. Reg. 12/2004 va coordinato con l’art. 32 della legge 47/1985, ai sensi del quale “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro 180giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto”.

Pertanto, nelle aree sottoposte a vincolo paesistico, come nel caso di specie, il rilascio della concessione in sanatoria presuppone in ogni caso il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo; ove lo stesso non venga emesso nel termine di legge viene offerta apposita tutela tramite l’impugnativa del silenzio rigetto.

Il Tar concorda, aggiungendo che per pacifica giurisprudenza (T.A.R. , Roma , sez. II , 07/01/2020 , n. 90), “non è configurabile alcuna ipotesi di silenzio sull'istanza di condono di manufatti realizzati in zona soggetta a vincolo”: più precisamente, com’è stato anche di recente ribadito (Consiglio di Stato , sez. IV , 28/06/2021 , n. 4880), “deve escludersi la formazione del silenzio - assenso sulla domanda di condono edilizio di opere realizzate in area vincolata paesaggisticamente senza il previo rilascio del parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo”, in quanto (T.A.R., Firenze, sez. III, 23/09/2021 , n. 1198) “ai fini del rilascio del provvedimento in sanatoria previsto dalla legge sul condono edilizio, qualora l'abuso sia stato realizzato in area sottoposta a vincolo paesaggistico, il procedimento amministrativo per l'adozione del necessario parere della competente Soprintendenza non è disciplinato dall'art. 146 d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, ma dalla legge sul condono edilizio che stabilisce una disciplina speciale di maggior rigore (dove il legislatore, da un lato, ha ritenuto di concedere alla soprintendenza uno spatium deliberandi più ampio — 180 giorni, anziché 45 —, d'altro lato ha previsto che il decorso del termine valga quale silenzio-rifiuto impugnabile davanti al giudice amministrativo, specificando senza possibilità di deroghe che il parere sfavorevole espresso dalla stessa soprintendenza preclude il rilascio del titolo in sanatoria), rispetto a quella del citato art. 146”.

 

Esistono 'deroghe' alla leggi nazionali sui condoni?

Quanto al terzo motivo di ricorso, con il quale la parte sostiene che l’art. 3 comma 1 lett. b) della L. Reg. 12/2004 introdurrebbe un’eccezione alle cause ostative al condono, secondo cui esse non opererebbero circa abusi effettuati su immobili (pur ricadenti in zone vincolate ma) rientranti in piani urbanistici attuativi vigenti, il comune ha dedotto che l’art. 3 sopracitato individua le cause ostative al condono “fermo restando quanto previsto (tra gli altri) dall’art. 32 comma 27 del D.L. 269/2003”; dovendosi comunque fare riferimento all'art. 32, comma 27, del DL n. 269/2003, in questo caso la condonabilità sarebbe preclusa dalla legge nazionale.

Il tema è quindi collegato al rapporto (e alla predominanza) tra norma nazionale e regionale in materia di 'governo del territorio', di recente affrontata anche dal Consiglio di Stato con un parere ad hoc.

Il Tar sottolinea che, secondo la pacifica giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, 9 giugno 22, n. 4700) con riguardo agli abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall’art. 32 del DL 269/2003 (Terzo condono) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti (in tal senso anche la giurisprudenza penale: cfr., ex plurimis, Cassazione penale sez. III, 20 maggio 2016, n.40676).

Nel descritto contesto, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 150 del 2009, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui prevede la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985) precisando che il vincolo rileva sia esso di natura relativa o assoluta (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2020, n. 4933; v. anche Consiglio di Stato Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014).

Sempre la giurisprudenza chiarisce come la domanda di condono edilizio va esaminata e decisa dall’Ufficio in applicazione del principio “tempus regit actum”, quindi con rilevanza di sopravvenienze normative come pure di vincoli di inedificabilità sorti successivamente alla realizzazione dell’abuso ed alla presentazione della relativa domanda.

Insomma: bisogna esaminare quale senso vada riconosciuto, nell’ambito della norma regionale, all’inciso “non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti”, che, secondo parte ricorrente, legittimerebbe – in deroga alla disposizione restrittiva – la sanatoria delle medesime opere (di cui all’art. 2, comma 1, della LR 12/2004, ossia di “tutte” le opere abusive, incluse quelle costituenti nuova costruzione o ampliamento a fini residenziali).

Tenuto conto che la sentenza della Corte Costituzionale riconosce la legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 3 cit. in quanto (e nei limiti in cui) costituisce esercizio di una facoltà di maggiore tutela delle aree sottoposte a vincoli a tutela dei richiamati interessi generali di “precipuo rilievo costituzionale”, deve ritenersi che l’interpretazione dell’inciso “non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti” non può spingersi (come prospetta la difesa dei ricorrenti) sino a ritenere che, in questi ultimi ambiti, sia consentita la condonabilità delle opere abusive in maniera maggiore o più ampia di quella consentita dalla norma nazionale.

Pertanto, deve affermarsi che, a norma dell’art. 3, comma 1, lett. “b” della LR 12/2004, non possono essere comunque suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui all’art. 2, comma 1, della medesima LR, laddove eseguite su immobili “soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale”, anche se tali vincoli siano sopravvenuti all’abuso; ed a meno che gli immobili (e dunque le relative opere abusive) non ricadano “all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti”, nel qual caso resterà fermo “quanto previsto dall'articolo 32, comma 27, del d.l. n. 269/2003 e successive modifiche, dall'articolo 32 della l. 47/1985, come da ultimo modificato dall'articolo 32, comma 43, del citato d.l. 269/2003, nonché dall'articolo 33 della l. 47/1985”.

Nel caso di specie, trova applicazione il divieto di cui all’art. 32, comma 27, del DL 269/2003, come puntualmente dedotto dall’Amministrazione resistente, con la conseguenza che neppure il motivo in esame può trovare accoglimento, anche se l’obiettiva incertezza interpretativa che risulta dalla esposizione che precede, comporta una giusta ragione per disporre la piena compensazione delle spese di lite tra le parti.

 

Che tipo di opera è il capanno degli attrezzi?

Secondo i ricorrenti, poi, l’opera realizzata non ricade nell’abuso di tipologia 1 di cui all’allegato 1 della L.326/2003 (opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici), ma nella meno grave n.4 (ossia opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444), posto che gli “interventi di restauro e di risanamento conservativo” di cui al n.4 consistono in “interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi” e che tra essi rientrano “il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”. 

L’opera realizzata consiste invece, secondo l’Ufficio comunale, non già in un intervento migliorativo di una struttura preesistente, ma nella realizzazione di un manufatto del tutto nuovo.

Questo - anche per il Tar - chiude il cerchio sul diniego di condono edilizio.

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