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Piattaforme Digitali e Processi Aggregativi nel Settore della Costruzione

Una riflessione di Angelo Ciribini

Nel periodo recente, nel settore della costruzione, così come in quello dell'autoveicolo o in quello del credito, si sta assistendo a importanti processi di aggregazione, sotto le diverse forme della acquisizione e della fusione, indicando implicitamente nella questione dimensionale un fattore decisivo per la competitività (in termini di conoscenza) e per la redditività (in termini di razionalizzazione), sempre attuale, peraltro, anche in altri comparti manifatturieri.

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Occorre, dunque, domandarsi più approfonditamente se il fenomeno in oggetto, particolarmente sensibile in un ambito di estrema polverizzazione della Domanda e dell'Offerta, come quello legato alla costruzione, possa essere agevolato o, al limite, ostacolato dalla digitalizzazione, nello specifico attraverso la costituzione di cosiddette piattaforme, dietro alla cui locuzione, in verità, si celano entità piuttosto eterogenee.

Bisogna chiedersi, in altre parole, se la digitalizzazione, per il tramite di ecosistemi, sia davvero un evento positivo e, soprattutto, a quale condizioni ciò possa avvenire.

Vi è, infatti, a mio avviso, il pericolo che, promuovendo iniziative in tale direzione che si presumano essere neutrali o che, addirittura, si ritengano favorevoli per le micro, piccole (e medie) organizzazioni, esse non ne sanciscano, al contrario, se non la marginalizzazione, almeno il riposizionamento o il ridimensionamento (termine, di per se stesso, ironico in questo contesto) nella catena del valore.

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Se, in effetti, il mercato della costruzione, analogamente a quello dell'immobiliare, si sta sempre più spostando su aspetti valoriali inerenti ai fondamenti della circolarità e della sostenibilità (con il cambiamento climatico ormai più citato, nominalmente, dell'efficienza energetica o del miglioramento sismico), la digitalizzazione, quale agente abilitante, intrinsecamente favorirebbe condizioni di immediatezza, vale a dire di dis-intermediazione, conducendo i dati, numerici e computazionali, all'interno delle transazioni, agevolando la comparazione tra le offerte merceologiche, velocizzando e certificando gli scambi commerciali e i patti contrattuali.

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A fronte di questo intima natura dei processi digitali possono, ovviamente, essere accampate ragioni contrastanti che, ad esempio, enfatizzino una accresciuta visibilità delle micro e delle piccole organizzazioni o che, al contrario, sottolineino come esse si trovino a essere etero-dirette in marketplace in cui l'ospitante detenga l'intelligenza delle strategie e delle tattiche dei frammentati competitori.

Si potrebbe, ancora, immaginare che le piattaforme digitali, improntate alla collaborazione e alla convergenza degli attori, nelle migliori intenzioni dei proponenti, divengano, al contrario, luogo della contesa per la supremazia di determinate rappresentanze a suon di tassonomie, dizionari dei dati, ontologie, semantiche, e così via, in un gioco sottile, forse troppo sofisticato, comunque poco visibile, dalla posta altissima.

Per queste ragioni, a prescindere dal lascito del DM 560/2017 che potrà essere contenuto nel regolamento generale di attuazione del codice dei contratti pubblici, una riflessione seria e rigorosa sulla natura e sulle finalità delle piattaforme digitali si impone: o meglio, si imporrebbe una politica industriale che dimostri di essere consapevole dei rischi e delle opportunità in discussione.