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Pianificazione urbanistica e sicurezza

Vi sono molte discipline che trattano del complesso tema della sicurezza, in quanto esso riguarda la maggior parte delle nostre attività quotidiane: l’ingegneria strutturistica, il progetto di strade, i trasporti, la geotecnica, l’ingegneria idraulica, l’impiantistica tecnica, e – sovente dimenticata - la pianificazione urbanistica e territoriale, ecc..

Sono infatti meno evidenti le relazioni tra eventi naturali e antropici e assetto urbanistico: si percepiscono con maggiore immediatezza le caratteristiche di sicurezza delle strutture, degli edifici, delle macchine, ma le città paiono non avere una relazione biunivoca con l’insicurezza. Eppure le strutture urbanistiche e sociali presentano una vulnerabilità sistemica, ovvero legata alle interazioni tra le componenti e non solo ai singoli elementi.
Le società avanzate dal punto di vista tecnologico devono far fronte ad una crescente complessità, tale per cui le minacce derivanti da eventi naturali o causati dall’uomo mettono in crisi la resistenza del sistema.
L’altra faccia della medaglia è invece la situazione dei paesi meno economicamente sviluppati, i quali soffrono per le ingentissime perdite economiche derivanti dai disastri, spesso non sopportabili in società a basso reddito.
Da qui la necessità di investire nella mitigazione degli effetti dei rischi naturali, anche attraverso la pianificazione territoriale ed urbanistica.
 
Parlando di sicurezza, si deve introdurre la definizione di disastro quale evento probabilistico, i cui effetti cerchiamo di mitigare attraverso le nostre azioni. Un disastro è una istantanea, inattesa variazione nella normale evoluzione del sistema; secondo la definizione dell’Ufficio ONU per la riduzione dei disastri UNISDR, si tratta di una importante discontinuità nel funzionamento di una comunità che comporti perdite materiali, economiche o ambientali, le quali eccedono la capacità delle comunità stesse di farvi fronte con le proprie risorse.
 
Tuttavia, per comprendere meglio il potenziale di azione per la vasta gamma di eventi naturali e antropici, è importante richiamare la definizione condivisa di rischio, per la quale  il rischio è funzione di Pericolosità, Esposizione e Vulnerabilità (VARNES e IAEG, 1984).
Poiché la pericolosità rappresenta la dimensione dell’evento fisico o antropico, che determina il potenziale danno, ogni evento può essere descritto in termini di probabilità e intensità dell’evento stesso. L’esposizione invece descrive la quantità di elementi di valore (innanzitutto le vite umane, poi le proprietà) che si trovano nel luogo ove si manifesta l’evento e la vulnerabilità descrive la suscettibilità degli elementi esposti a subire danno, ovvero il grado di fragilità, naturale, socio-economica e sistemica.
 
La relazione è definibile solo con riferimento a eventi specifici, ma in generale se una delle tre componenti è nulla, è nullo anche il rischio.
Si tratta di una disaggregazione che consente di capire meglio, con riferimento a diverse tipologie di disastri, il contributo delle azioni di mitigazione e in particolare di quelle pianificatorie.
 

 
Nella tassonomia qui proposta, per ogni tipo di disastro si può intervenire su esposizione e vulnerabilità.
Un disastro di tipo fisico (per esempio) è un evento ove le cause sono essenzialmente naturali. Il terremoto è l’esempio più calzante: le attività umane ordinarie (con l’esclusione forse delle ricerche petrolifere, delle esplosioni atomiche e dello stoccaggio di gas nel sottosuolo) non possono innescare un evento sismico. Di conseguenza, le nostre azioni di mitigazione si concentreranno sulla riduzione di esposizione e vulnerabilità, attraverso misure attive o passive.
Un disastro di origine composita (o intermedia) è un evento ove l’attività umana può influenzare la pericolosità, oltre che esposizione e vulnerabilità.
Si pensi per esempio alle alluvioni e alle frane: se le piogge intense sono la causa naturale scatenante, le scelte di uso del suolo a medio e lungo termine influenzano il deflusso e quindi la formazione delle piene, in termini di intensità e tempo di ritorno, ovvero influiscono sulla pericolosità territoriale.
I disastri di origine umana sono quelli in cui prevalgono le responsabilità dell’uomo e quelle naturali sono trascurabili. In questo caso le azioni umane si devono concentrare nella riduzione o eliminazione del pericolo, senza tuttavia trascurare esposizione e vulnerabilità.
 
La pianificazione urbanistica ordinaria è l’intervento di difesa attivo per eccellenza, che può mitigare il rischio intervenendo sulle componenti di volta in volta interessate.
 
La pianificazione può dunque influenzare i livelli di rischio e quindi i danni alle comunità, attraverso scelte localizzative che privilegino siti a minor pericolosità locale, soluzioni strutturali e norme tecniche che abbassino la vulnerabilità, soluzioni funzionali e norme tecniche che controllino l’esposizione.
 
Ma ciò che forse merita ricordare, sono le prospettive disciplinari aperte dalla tematica specifica:
-          il punto di vista epistemologico, in quanto la pianificazione in condizioni di rischio forza i pianificatori a ripensare all’habitat urbano come ad un sistema non-deterministico
-          il punto di vista strategico, in quanto la considerazione del rischio implica la valutazione dell’assetto futuro probabile, elemento che si è detto coincidente con le esigenze della sostenibilità dello sviluppo;
-          il punto di vista metodologico, in quanto gli approfondimenti di indagine per l’identificazione di pericolosità locale, vulnerabilità ed esposizione contribuiscono in modo decisivo ad una più precisa conoscenza del territorio;
-          il punto di vista specifico, in quanto la pianificazione può influenzare seriamente i livelli di rischio e quindi i danni alle comunità, attraverso scelte localizzative che privilegino siti a minor pericolosità locale, soluzioni strutturali e norme tecniche che abbassino la vulnerabilità, soluzioni funzionali e norme tecniche che controllino l’esposizione, non necessariamente ricorrendo soltanto al vincolo, quanto piuttosto alla identificazione di strategie;
-          il punto di vista delle politiche di gestione urbana, in quanto la considerazione del rischio implica la valutazione della percezione individuale e collettiva, innesca processi partecipativi riguardo le scelte, chiede la partecipazione al bilancio tra risorse impegnate e livelli di sicurezza accettati e condivisi, ma certo instaura anche controversie nelle scelte di uso del suolo, in quanto non solo non c’è accordo tra gli attori circa le decisioni da prendere, ma anche non è data una rappresentazione univoca del problema da parte di essi.
 
Quanto basta per sollevare di nuovo l’interesse da mutati punti di partenza e contesti, per un terreno di ricerca assodato, ma non consolidato dal punto di vista disciplinare, quale contributo dell’urbanistica all’importante azione messa in campo dal governo con la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico.

 

Maurizio Tira

Professore Ordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica, Presidente del Centro Nazionale Studi Urbanistici (CeNSU-Roma)

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