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Permesso di costruire efficiace e poi annullato: che ne sarà delle opere realizzate?

Annullamento del permesso di costruire: il Consiglio di Stato fa chiarezza su cosa deve fare il comune delle opere realizzate in base ad un titolo inizialmente efficace poi annullato

Se un permesso di costruire inizialmente efficace viene poi annullato, cosa ne sarà delle opere nel frattempo realizzate grazie a quel titolo abilitativo? Sul punto, ha fatto chiarezza il Consiglio di Stato nella sentenza 3795/2017 dello scorso 28 luglio, che ha respinto il ricorso contro la sentenza del Tar Campania che aveva imposto la demolizione di un'area scoperta sita su un terreno.

Palazzo Spada, in primis, ritiene infondato il motivo per il quale il comune si sarebbe dovuto limitare ad irrogare una sanzione pecuniaria, poiché l'art.38 del dpr 380/2001
dispone che "in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite", sanzione che, ove pagata, produce gli stessi effetti di un permesso di costruire in sanatoria. Come chiarito dalla giurisprudenza, la norma è ispirata ad un principio di tutela degli interessi del privato, il quale ha realizzato le opere in base ad un titolo che in quel momento era efficace ed è stato annullato solo in un secondo tempo. Di conseguenza, il comune in linea di principio deve valutare se sia possibile rilasciare un ulteriore permesso di costruire emendato dai vizi.

Ma questo "non avviene senza limiti", poiché il comune può disporre la rimozione dei vizi anzitutto ove si tratti di vizi formali o procedurali; può procedervi anche nel caso di vizi sostanziali, ma solo ove si tratti di vizi emendabili, mentre in tutti gli altri casi, ovvero nel caso di vizi sostanziali insanabili, deve esercitare i propri poteri repressivi e disporre, in primo luogo, la rimessione in pristino, che è la ordinaria conseguenza nel caso di commissione di abusi edilizi.

Per questo motivo, il comune avrebbe dovuto necessariamente ordinare la rimessione in ripristino: proprio quanto successo nel caso di specie, poiché l’annullamento fu disposto per un vizio sostanziale; "si tratta poi, come correttamente sostenuto dalla sentenza impugnata, di un vizio in concreto non emendabile".

Infatti, continua Palazzo Spada, "la sanatoria di cui all’art. 38 è equiparata al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 dello stesso T.U. e quindi deve ritenersi soggetta alla regola della cd doppia conformità (sul punto, C.d.S. sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2123)". Ma tale requisito manca però in radice ove, come nella specie, l’intervento di cui si tratta risulta in origine incompatibile con la destinazione di zona.

Inoltreo, si deve escludere che la rimessione in pristino fosse impossibile, tanto in linea di fatto, "perché secondo logica anche la pavimentazione che forma un piazzale di sosta si può rimuovere senza particolari difficoltà, quanto in linea di diritto, perché il trasferimento delle cose sequestrate da un luogo di custodia all’altro è autorizzabile qualora la si chieda, in base a pacifica interpretazione degli artt. 676 e 520 c.p.c. nonché degli artt. 259 e 104 disp. att. c.p.p."

In definitiva, quindi, deve essere respinto anche il secondo motivo di appello, poiché, come si è osservato, la rimessione in pristino costituisce la conseguenza ordinaria per gli abusi edilizi, sia in generale, sia nel caso in cui non vi siano i presupposti richiesti dall’art. 38 dpr 380/2001 per la sanatoria. Come tale, quindi, il provvedimento non richiede in linea di principio alcuna particolare motivazione sull’interesse pubblico ad adottarla.