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Performance sul cambiamento climatico: ancora lontani gli obiettivi dell’Accordo di Parigi

Nell’ambito della COP23 sul clima di Bonn, è stato presentato il rapporto annuale Climate Change Performance Index 2018 (Indice di performance sul cambiamento climatico) di Germanwatch, realizzato in collaborazione con CAN e NewClimate Institute e per l’Italia con Legambiente, che prende in considerazione la performance climatica di 56 paesi del Pianeta, che rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali.  

Secondo la classifica del rapporto nessun paese si attesta in una delle prime tre posizioni, in quanto nessuno di questi ha raggiunto la performance necessaria per mantenere le emissioni globali ben al di sotto della soglia critica dei 2 °C, secondo quanto previsto dall’Accordo sul clima di Parigi.

È la Svezia ad aprire la graduatoria, al 4° posto, con un’ottima performance nella riduzione delle emissioni pro-capite nel periodo 2010-2015, consentendole così di essere sulla buona strada per rispettare gli obiettivi di Parigi. Segue la Lituania (5°) con un livello di emissioni anch’essa in linea con Parigi, ma che negli ultimi anni ha registrato un preoccupante aumento delle emissioni. E poi il Marocco (6°) che consolida la sua leadership in Africa, grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e agli ambiziosi impegni assunti (riduzione del 32% del trend attuale delle sue emissioni entro il 2030) nell’ambito dell’Accordo di Parigi.

L’Italia conferma il 16 posto dello scorso anno grazie alla buona performance nelle rinnovabili dovuta all’onda lunga degli investimenti degli anni precedenti, arrestatasi purtroppo nel 2014, e dal contributo dell’efficienza energetica. Ma l’assenza di una politica climatica nazionale adeguata agli obiettivi di Parigi si fa sentire sempre più: le emissioni in Italia sono continuate a crescere anche nel 2016 dello 0.4% rispetto all’anno precedente, dopo il 2% del 2015, invertendo la tendenza positiva degli anni scorsi che ha consentito alla Penisola una consistente riduzione delle emissioni attestatasi nel 2016 al 16.4% rispetto al 1990. 

La situazione italiana non è per nulla rassicurante in vista degli obiettivi di riduzione di almeno il 95% delle emissioni entro il 2050, fissati con l’Accordo di Parigi. A tal proposito Legambiente ritiene inadeguato lo scenario tracciato dalla SEN al 2030 secondo cui le rinnovabili si dovranno fare carico del 55% dei consumi elettrici (rispetto al 33.5% attuale) e solo del 28% (rispetto al 17.5% attuale) dei consumi energetici totali; mentre i combustibili fossili continueranno a coprire la restante rilevante quota del 72%, grazie soprattutto al contributo del gas, consentendo una riduzione delle emissioni climalteranti derivanti dai consumi energetici di solo il 39% nel 2030 e del 63% nel 2050.

Quest’anno in graduatoria è entrata al 21° posto anche l’Unione Europea, caratterizzata dalla divergente performance dei suoi Stati membri.

Nelle retrovie si posizionano la Cina (41°) e gli Stati Uniti (56°) principali responsabili delle emissioni globali. Per quanto riguarda la Cina, nonostante la scarsa performance rispetto agli obiettivi di Parigi, va sottolineata la sua leadership globale nella riduzione del consumo di carbone e lo sviluppo delle rinnovabili, che tuttavia costituiscono ancora una quota limitata del suo mix energetico. Gli USA sono indietreggiati in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni.

Per tutti i paesi per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici e contribuire a mantenere e rendere concreti gli impegni presi con gli Accordi di Parigi c’è ancora molto da fare!