Pensieri e retropensieri sul Salva Milano
L'autore fornisce un commento tecnico al disegno di legge Salva Milano, partendo dal concetto di interpretazione autentica del Testo Unico Edilizia e proseguendo con l'analisi della possibile convivenza della legge regionale con quella statale, dei presupposti, delle contraddizioni, delle motivazioni e degli effetti retroattivi del provvedimento.
Dopo aver approfondito nel precedente scritto i contenuti del Disegno di Legge cosiddetto Salva-Milano, l’Autore ne esamina ora nel merito tecnico la sostenibilità e la coerenza per quello che è, ovvero una semplice interpretazione autentica che non si pone più come norma di riforma organica.
Il che fa cadere gli stessi presupposti di inadeguatezza delle attuali norme.
Inquadramento del dibattito e della disamina
Nel precedente scritto abbiamo messo in rilievo il contenuto della proposta di legge così come approvato dalla Camera ed oggi all’esame del Senato limitandoci a segnalare alcune (pur significative) incongruenze metodologiche e concettuali.
Abbiamo così ora l’opportunità di commentarla nel merito.
Il fatto che ci si riferisca a casi concreti vizia la serenità del dibattito che vorremmo contenere nel perimetro di una oggettiva disamina tecnica, nonostante si siano già formate due opposte correnti di pensiero riconoscibili nei sostenitori o nei detrattori delle procedure milanesi:
- da un lato i sostenitori giustificano il comportamento con l’intervenuta obsolescenza delle norme (risalenti al 1967) che considerano non più attuali e che dunque ritengono vadano superate anche per rassicurare gli investimenti privati;
- dall’altro i critici che ritengono che le leggi vigenti siano state violate e che non si siano stati sufficientemente tutelati gli interessi pubblici
I primi ragionano sul merito tecnico di cosa sarebbe giusto per l’urbanistica a superamento della legislazione vigente, i secondi sulla coerenza giuridica e sulla legittimità di quanto fatto a legislazione invariata.
Due diversi livelli di dibattito
I due piani di dibattito sono diversi e non sovrapponibili e dovremo tenerli distinti per non creare inutili fraintendimenti e più o meno parziali disamine.
Se la proposta di nuova legge fosse ancora quella sottoposta alla Camera che – come abbiamo visto nel precedente scritto – si presentava come norma transitoria con l’intento (l’impegno) di elaborare “un riordino organico della disciplina di settore, entro sei mesi” dall’emananda legge potremmo instaurare un dibattito culturale generale.
Ma così non è perché l’atto di approvazione della Camera ha stravolto l’originaria impostazione convertendo il provvedimento in “interpretazione autentica”.
E di questo solo vogliamo (e possiamo) parlare qui rinviando ad altra sede il dibattito culturale (della cui necessità peraltro sono convinto sostenitore da tempi non sospetti).
La convivenza della legge regionale con la legge statale
Appurato che la legge statale – pur datata – sopravvive, si è posto da tempo un problema di convivenza delle leggi regionali (segnatamente in alcune regioni più intraprendenti) che, direi da sempre, portano segni di insofferenza nei confronti della legge statale sovraordinata cui soggiacciono in virtù del principio di legislazione concorrente.
Lo attesta il fatto che la Corte Costituzionale è stata ripetutamente chiamata a dirimere conflitti di competenza dovendo ribadire – in molti casi – la natura di “principio” delle norme statali, come tali inderogabili dalle legislazioni regionali (come quelle di cui ci occuperemo e che hanno interessato il caso Milano).
Sta di fatto che questa latente conflittualità ha indotto (e fors’anche supportato) i comportamenti finiti sotto indagine.
Più che di difficoltà interpretativa vera e propria si tratta di conflitti di competenza
Lo stato di questo (chiamiamolo così) dibattito istituzionale emerge chiaramente anche nella presentazione agli “Onorevoli Colleghi” della Camera della ormai superata Proposta di Legge del 24 luglio 2024. (ALLEGATO 1 al precedente articolo)
Anche se riferita ad un disegno di legge superato, è però riassuntiva delle questioni di merito tecnico sul tappeto e a tal fine ad essa potremo fare comunque utile riferimento.
Emerge dalla lettura di questa presentazione che più che di difficoltà interpretative delle norme in esame (articolo 41-quinquies, comma 6 della legge n. 1150/42, articolo 8 del d.m. n. 1444/68 e contenuto della ristrutturazione edilizia) si tratta di conflitti di competenza tra stato e regioni e per questo – correttamente - l’iniziale proposta di legge suggeriva di rinviare ad un nuovo testo di revisione organica della materia da concordare in Conferenza Unificata Stato/Regioni al fine di raggiungere un duplice obiettivo:
- tenere conto delle esigenze di rigenerazione urbana;
- favorire lo sviluppo di iniziative economiche.
Cambiata la proposta di legge cade la motivazione
Presupposto di quell’organica proposta era la sopravvenuta inadeguatezza delle norme dianzi citate molto risalenti nel tempo e ritenute non più adatte nella realtà attuale.
Il che era (al di là della condivisione o meno dell’approdo cui si sarebbe arrivati) obiettivo metodologicamente corretto perché il Parlamento ha il potere di modificare la legge statale; anzi si dirà che ben avrebbe potuto/dovuto farlo da tempo visto che da tempo è palese questa conflittualità.
Il fatto che non ci si sia arrivati testimonia che il dibattito culturale e dottrinario in merito non è ancora “maturo” e la difficoltà sta appunto nel “come” comporre il riassetto dei poteri; diciamo che il “caso Milano” poteva funzionare da catalizzatore di un processo incompiuto.
Poteva, ma così non è stato perché – come abbiamo visto – la proposta oggi all’esame si è riconvertita (ed è regredita) in mera “interpretazione autentica”. E non altro.
Perché il Legislatore abbia effettuato questa virata non lo so; posso solo supporre che si sia reso conto che la norma transitoria operava comunque ex nunc e quindi non salvava Milano (come abbiamo già detto nel precedente scritto) o che abbia compreso che in sei mesi non sarebbe riuscito a tirare le fila di un dibattito culturale che consentisse una sintesi giuridica traducibile in legge.
Sta di fatto che se la motivazione della inattualità e inadeguatezza della legislazione vigente poteva essere coerente con l’originaria proposta di nuova legge, non lo è più nell’attuale versione di “interpretazione autentica” che può essere sorretta solo dalla dimostrata palese incomprensibilità del testo vigente.
Non a caso non figura più negli atti sottoposti all’esame del Senato.
Illogicità concettuale
Se allora dobbiamo valutare la fondatezza dell’attuale proposta “interpretativa” per quello che è – pur senza entrare nel merito degli effetti urbanistici che potranno avere nel futuro e della loro condivisibilità o meno - non possiamo esimerci da alcune considerazioni strettamente logiche.
Presupposto
Per sostenere la necessità di ri-chiamare l’estensore della norma (in questo caso il Legislatore) a spiegare cosa voleva dire in quello che ha scritto con una interpretazione postuma deve effettivamente sussistere una non chiarezza o, almeno, una possibile ambiguità di interpretazione.
Diciamo che la necessità di interpretazione autentica è sempre una sconfitta culturale e una dichiarazione/riconoscimento di incapacità di qualcuno; delle due l’una: o il Legislatore non sa scrivere, o l’operatore non sa leggere.
A meno di non voler dar credito alla strumentalità del noto aforisma (pare originariamente attribuito a Giolitti) che “Le leggi per gli amici si interpretano, per i nemici si applicano”.
Contraddittorietà con la prima scelta
Ma è lo stesso Legislatore che con la prima proposta di modifica legislativa (quella sottoposta alla Camera per intenderci) ha implicitamente ammesso che dubbio non c’era, ma che necessitava una nuova legge se si voleva cambiare comportamento.
Tardività
D’altra parte va bene avere dubbi interpretativi su di una norma appena emanata, ma dopo cinquantasette anni di vigenza e applicazione la tesi appare debole, se non inconsistente.
Se anche vogliamo richiamare pregresse circolari ministeriali (del 1967 e del 1969 quelle sì tempestive) o interventi giurisprudenziali, ci si accorgerà che le limitate ipotesi di possibile disapplicazione della norma sono sempre state ipotizzate per i soli lotti interclusi, mentre ora l’interpretazione autentica li estenderebbe in modo generalizzato e indifferenziato a tutti “gli ambiti edificati e urbanizzati”.
Diciamoci la verità: un po’ dispiace venire a sapere che per cinquantasette anni non abbiamo capito niente; e non solo noi periferici applicatori della legge, ma anche fior fiore di giuristi e di … Giudici.
Per di più su una norma di principio.
Contraddittorietà con la dichiarata obsolescenza
Ma c’è un altro aspetto di palese illogicità: se in un primo momento abbiamo ritenuto che la norma vigente sia obsoleta, inadeguata e inadeguabile e quindi andasse riscritta e poi ci siamo accorti che eravamo noi ad averla male interpretata e che, se l’avessimo capita fin dall’origine, la norma sarebbe stata coerente anche oggi, allora smentiamo l’obsolescenza della legge … e neghiamo la necessità di riformarla perché funziona anche così com’è.
Se la legge fosse davvero obsoleta il rimedio non sarebbe l’interpretazione autentica.
Conseguenza logica: non faremo mai più la riforma perché ne abbiamo sottratto il presupposto.
L’inopportunità
Dopo aver esaminato la proposta di legge sotto il profilo logico (difficilmente smentibile) possiamo anche esporne alcuni aspetti di opportunità/inopportunità.
Incidenza sul pregresso
La neo interpretazione incide sul futuro e anche sul passato.
Per il passato è quanto si vuole ottenere per salvare Milano (e questo sarebbe l’effetto positivo atteso dai proponenti), ma non è detto però che – simmetricamente - non incida negativamente su altre procedure in corso.
Su quelle concluse non incide, ma se si sono concluse negativamente con un’interpretazione giuridica oggi ritenuta scorretta a qualcuno potrà dispiacere e non gioca a favore dell’affidabilità della Pubblica Amministrazione (per quello la tardività è elemento dirimente).
Per il futuro ne parleremo in altra sede.
Gli effetti retroattivi
Dal punto di vista sostanziale l’interpretazione autentica è:
- molto di più di una sanatoria che (salvo quella della doppia conformità) non sana penalmente,
- molto di più di un condono che sana anche penalmente ma agisce solo retroattivamente su autodenuncia e per una finestra temporale limitata,
- molto di più di un’amnistia che cancella il reato e lo rende impunibile,
perché opera automaticamente non cancellando un reato pregresso, ma rendendolo inesistente ab origine e, aspetto non irrilevante, modifica la legge anche per il futuro (cosa che non fanno né la sanatoria, né il condono , né l’amnistia).
Una domanda è lecita: era davvero necessaria?
La preoccupazione più ricorrente che gli organi di stampa hanno riportato è stata solo in parte di tipo urbanistico, limitatamente alla difficoltà di operare la rigenerazione urbana in tempi celeri.
Sul punto non mi esprimo in questa sede: ho già manifestato in passato che la rigenerazione è operazione complessa e integrata che non si esaurisce neppure nella sola urbanistica; figuriamoci se può essere surrogata con la sola edilizia affidata ad interventi sporadici a iniziativa di parte non coordinati in un disegno di ambito urbano complessivo.
O l’intervento è insignificante (e allora è di livello edilizio) o è incidente sul tessuto urbano (e allora è di interesse urbanistico).
Comunque quel che mi pare sia contestato nel caso milanese non è tanto la fattibilità degli interventi, ma la procedura e gli atti abilitativi.
Seguendo la redazione di uno strumento urbanistico preventivo (con trasparenza e approvazione degli organi competenti) gli interventi sarebbero stati legittimamente consentibili.
Allora perché non si sono seguite le regole certe?
La motivazione sostanziale: l’economia va di fretta
Si dirà (ed in effetti si è detto): gli investimenti non possono attendere (il tempo è denaro) e si sono usate affermazioni estreme del tipo: “a Milano non si può più costruire”.
D’altro canto il comune lamenta il danno economico da mancato introito di oneri di urbanizzazione a causa della stasi indottasi. (In altra sede approfondiremo è un falso problema).
Con queste motivazioni la legge Salva-Milano assume i connotati di una legge economico-finanziaria più che di una legge urbanistica.
In effetti i commenti prevalenti sono stati orientati più alla preoccupazione di perdere investimenti privati piuttosto che alla corretta e concertata trasformazione urbana che pure ha le sue regole di trasparenza e pubblicità.
Trasparenza e pubblicità sono sempre richiamate e auspicate in teoria quanto abborrite nella pratica perché è evidente che non accorciano i tempi dell’esecuzione. Però bisogna essere coerenti
L’addebito di tutte le responsabilità alla burocrazia è diventato ormai un alibi retorico neanche tanto convincente, soprattutto se proviene dal settore pubblico. Bisognerebbe chiedersi: chi è che fa le leggi e chi è che le applica?
A proposito mi sia consentita in chiusura una utile citazione: rileggendo per l’occasione la circolare ministeriale n. 3210 del 28 ottobre 1967 di commento alla legge n. 765/67 (emanata neanche due mesi dopo l’entrata in vigore !) la si presentava come norma tesa alla “semplificazione di vari adempimenti ed atti procedurali” (v. punto 3).
Curioso no? Ed emblematico.
Conclusione
Vero è che se lasciassimo la decisione ai Giudici vivremmo nel dubbio di chi ha ragione fino a sentenza. Ma almeno resterebbe il dubbio.
Così invece:
- abbiamo già la certezza che quel che è stato fatto era sbagliato perché lo riconosce implicitamente il Legislatore nel momento in cui cambia l’interpretazione per renderla legittima (e se la legge non fosse approvata sarà difficile sostenere il contrario);
- non so fino a che punto un’interpretazione tardiva e un po’ artificiosa potrà dare certezze e tranquillità agli operatori.
Quel che è certo è che (tamponata l’emergenza) la legge di riforma in materia urbanistica non la vedremo ancora per un bel pezzo.
E questo è il danno maggiore.
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