Palazzetto dello Sport di Roma: un’opera senza tempo di Pier Luigi Nervi
Una breve lezione del prof. Ugo Carughi (P.L. Nervi Project Foundation) su uno dei capolavori dell'architettura di Pier Luigi Nervi che recentemente è stata oggetto di un importante e sapiente intervento di risanamento conservativo.
Classicità ed essenzialità nell'architettura di Pier Luigi Nervi
Le due affermazioni che seguono furono pronunciate nel marzo 2010, nel corso di due interviste di Lucio V. Barbera, la prima a Paolo Portoghesi, la seconda a Paolo Marconi, entrambi allievi di Nervi.
Vi si può focalizzare una delle principali caratteristiche dell’architettura di Pier Luigi Nervi: la classicità. Ancora, in una frase dell’ingegnere di Sondrio riferita da Portoghesi emerge, immediato, un altro carattere delle sue opere: “quando si fa un progetto bisogna farlo riposare e quando lo si riprende bisogna eliminare tutte le cose che non sono indispensabili”.
Alla classicità possiamo, dunque, aggiungere l’essenzialità. Entrambe espresse, frequentemente, attraverso la simmetria. Caratteri che, inscindibili, si ritrovano in molte opere di Nervi, determinandone la conformazione e l’immagine.
Il Palazzetto dello Sport di Pier Luigi Nervi a Roma
Il Palazzetto dello Sport, realizzato tra il 1956 e il 1957 in un’area occupata, fin dai primi decenni del Novecento, da impianti sportivi e destinata ad ospitare il nucleo principale delle attrezzature della XVII Olimpiade di Roma, non potrebbe costituire esempio più pertinente. E non si può non rilevare che i suddetti caratteri collocano, contemporaneamente, l’opera di Nervi nella più pura tradizione architettonica italiana.
I “punti … più caratterizzanti l’architettura italiana” secondo Renato De Fusco (2005) sono: “la contestualizzazione delle fabbriche …; la consistenza ‘piccola’ dei nostri edifici; la valenza classica delle nostre costruzioni; la spazialità sia conformativa che rappresentativa, segnatamente dello spazio interno”.
Considerazioni che sembrano fatte pensando specificamente al Palazzetto, oltre che ad altre opere del nostro: anche per il rilievo conferito allo spazio interno, principale fulcro dell’architettura nerviana. Le considerazioni di De Fusco si ritrovano, d’altra parte, anche in altri critici, come, ad esempio, in Franco Purini (2008), che descrive la “Misura italiana dell’architettura”: “Un senso pieno e concluso della forma … in volumi densi e precisi, si presenta come un consistere solido e determinato degli oggetti (che) … non cercano di prolungarsi al di fuori di sé, ma si raccolgono … intorno al proprio asse; un istinto nativo per la proporzione, che si risolve … in spazi dalla pronunciata musicalità”.
Il Palazzetto dello Sport non era stato concepito inizialmente per i Giochi olimpici, ma come prototipo di struttura coperta per attività sportive di media grandezza e di costo contenuto, da poter realizzare anche in altre città italiane.
Il che, anche se tale intento non trovò pratica realizzazione, anche da tale punto di vista ne fa un’architettura emblematica, essendo le specifiche soluzioni linguistiche e strutturali concepite per un’applicazione ripetitiva.
Connubio perfetto tra architettura e ingegneria
La pianta del Palazzetto, perfettamente circolare, è sormontata da una calotta sferica del diametro di 60 metri e un’altezza in chiave di 21 metri, sostenuta da 36 cavalletti a Y disposti radialmente e inclinati verso l’esterno secondo la tangente alla curva dei meridiani, in corrispondenza della linea d’imposta della calotta.
Questi sottili sostegni, immediatamente percepibili anche nella loro funzione statica, dinamizzano l’immagine della struttura, diventando al contempo fondamentali elementi espressivi. I cavalletti trasferiscono i carichi a una trave ad anello in fondazione, larga 2,5 metri e con diametro di 81,5 metri.
La calotta, ipotizzata con un comportamento a membrana, è costituita da 1620 elementi prefabbricati a piè d’opera con sagoma romboidale di tredici differenti formati, che disegnano la superficie dell’intradosso. Tale sistema costruttivo era stato già da Nervi sperimentato nei Magazzini del Sale a Tortona, dove le tipologie di elementi prefabbricati erano solo tre.
Gli elementi furono realizzati fuori opera con il cosiddetto ‘ferro-cemento’, che consentiva di ottenere sottili spessori di malta di cemento, armati con più reti metalliche sovrapposte che lungo i bordi presentavano ferri di attesa da annegare nel getto in corrispondenza dei giunti tra un elemento e l’altro. Si tratta del famoso ‘sistema Nervi’, brevettato dal suo autore e progressivamente migliorato da un’opera all’altra.
Ma oltre che negli aspetti tecnologici e costruttivi, la conseguenzialità della produzione di Nervi è verificabile anche sul piano della più generale concezione dello spazio, al punto che le sue opere mostrano la continuità di una ricerca che approda progressivamente a risultati sempre più sorprendenti. Che potremmo sintetizzare in tre punti:
- chiara evidenza delle strutture, che con immediatezza espongono una logica rigorosa, spesso autonoma dall’involucro esterno dell’edificio e, nel disegnare lo spazio, diventano architettura;
- definizione di un orizzonte, insieme spaziale e strutturale, coincidente con la linea d’imposta della copertura: limite tra una spazialità tutta interna, addensata nell’intradosso voltato, definita dalla sua forma e qualificata dalla trama degli archi e, talvolta, dalla luce naturale, e uno spazio sottostante aperto all’esterno, tra il calpestio e la suddetta linea d’imposta;
- disposizione e essenzialità dei sostegni, che consentono di attrezzare perimetralmente la parte inferiore dell’invaso, nonché di conformarne le chiusure esterne in modo del tutto svincolato dalla rigorosa trama strutturale delle coperture.
Tali criteri possono variamente riscontrarsi in una serie continua di opere, dagli hangar di Orvieto, Orbetello e Torre del Lago (1939-42), distrutti dai tedeschi, ai Magazzini del Sale a Margherita di Savoia (1933-36; 1954-55), o a Tortona (1949-51), ai Saloni ‘B’ (1947-49) e ‘C’ (1949-50) nel Parco del Valentino a Torino, fino al Palazzetto dello Sport, al Palazzo dello Sport all’EUR (1958-60) e all’Aula Vaticana (1966-71).
Un'architettura in calcestruzzo armato soggetta a vincolo di tutela
Il 10 marzo 2021 il Palazzetto dello Sport è stato sottoposto a Dichiarazione d’interesse culturale dal Ministero per la Cultura. Non essendo ancora trascorso il periodo di settant’anni dalla sua realizzazione, il Ministero non ha potuto riconoscerlo quale ‘unicum’, vincolandolo per interesse ‘intrinseco’, come avrebbe meritato. Si è, pertanto ricorso al vincolo ‘relazionale’, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d) del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che, tuttavia, determina le stesse condizioni di tutela.
Il riconoscimento seguiva ad altri provvedimenti amministrativi del Comune di Roma, significativi segnali di attenzione per una struttura che, nella sua concezione spaziale e strutturale, parla un linguaggio universale, indipendente dalle circostanze di tempo e di luogo che ne occasionarono la realizzazione.
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