Opere Temporanee: conformi o compatibili?
In questo breve articolo Ermete Dalprato approfondisce un tema quanto mai attuale e controverso: quello delle opere temporanee, affrontando le problematiche applicative dopo averne inquadrato concettualmente la natura e da questa desumendo la coerente interpretazione normativa circa il loro rapporto con gli atti di pianificazione
Le opere temporanee sono rimaste per lungo tempo nel limbo della normativa edilizia ed urbanistica, gestite più per prassi che per espresse disposizioni.
Anzi la definizione di temporaneo è abbastanza recente e risale sostanzialmente al Testo Unico dell’Edilizia (art. 3, co. 1 lett e) del DPR 380/01) perché prima venivano definite “precarie” facendo riferimento alla loro “costituzione fisica” piuttosto che al periodo di permanenza.
La sostituzione dell’aggettivo che le qualifica (temporaneo anziché precario) non è solo una questione terminologica, ma sottende una sostanziale differenza concettuale: la loro disciplina normativa – per essere conseguente e coerente alla definizione – deve avere riguardo al periodo di permanenza dell’opera sul suolo e non alle caratteristiche costruttive. In altri termini l’opera “rileva” dal punto di vista edilizio e urbanistico solo in funzione della sua durata perché se destinata ad essere rimossa entro breve termine (da qui il concetto di temporaneità) non altera l’”uso” del suolo (che è ciò che interessa l’urbanistica) indipendentemente da come è fatta.
La rilevanza urbanistica delle opere temporanee
Da qui l’irrilevanza delle sue caratteristiche di “facile rimovibilità” o meno che in precedenza (cioè prima del Testo unico dell’Edilizia) erano state sempre prese a riferimento per valutare la loro ammissibilità.
Nonostante questo salto concettuale (fondamentale per comprendere la tipologia di opere di cui stiamo parlando) ancor oggi troviamo – anche in risoluzioni giurisprudenziali e non solo nel linguaggio corrente – l’improprio riferimento alla tipologia costruttiva (ovvero al concetto di precario).
Ad essere precisi il riferimento alla tipologia costruttiva non deve essere soppresso sempre e comunque, perché rimane valido per qualificare le opere fisse, ma comunque classificabili come “edilizia libera”, ma non per le opere “temporanee” per le quali la loro compatibilità dipende solo dalla durata.
In questa breve premessa abbiamo introdotto due definizioni che pongono altrettanti quesiti interpretativi e che vanno ulteriormente chiarite:
- temporaneo è un concetto qualitativo e, come tale, relativo: Cos’è temporaneo? Ovvero qual è la durata del periodo “breve” che può far ritenere l’opera temporanea;
- cosa vuol dire compatibile? Ovvero quali caratteristiche ulteriori sono richieste alle opere temporanee?
Sul primo punto ha risposto il Legislatore nazionale statuendo che sono temporanee le opere che permangono per non più di novanta giorni (articolo 6, DPR 380/01). A volte è intervenuto anche il legislatore regionale a modificare il termine; sul punto diremo magari in seguito, ma il concetto non cambia (non è la durata della “temporaneità” che muta la modalità di definizione delle opere).
Sul secondo punto sono sorti – neanche a dirlo – dubbi interpretativi indotti dall’incipit dell’articolo 6 del DPR 380/10 (all’interno del quale sono inserite le opere temporanee) che esordisce dicendo che dette opere sono eseguibili “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”.
Cercheremo di chiarire eventuali dubbi riferendoci (prima e innanzi tutto) al concetto che definisce il tipo di opera e (poi) all’interpretazione normativa.
La premessa dell’articolo 6 ha fatto affermare a qualcuno che le opere temporanee sono ammissibili solo se conformi al piano urbanistico, ovvero solo se sono previste nella zonizzazione e nella normativa di piano.
Il che è evidentemente una contraddizione in termini (un assurdo): perché se è vero, com’è vero, che le opere temporanee sono a termine:
- è ben difficile (oltre che incongruo) che il piano regolatore (che si occupa dell’assetto del territorio a regime) disponga in merito alle opere che a regime non sono. Se fosse in grado di prevedere le esigenze contingenti e temporanee future il piano dovrebbe avere capacità divinatorie;
- dovendo essere rimosse (a breve) le opere temporanee non lasciano segno del loro passaggio e dunque non incidono sulla pianificazione (perché non alterano quella a regime);
- se poi le opere fossero previste nel piano urbanistico allora potremmo richiedere un normale permesso a conservarle stabilmente e non solo temporaneamente.
Queste elementari deduzioni di concetto già dovrebbero bastare a ritenere le opere temporanee ininfluenti sulla pianificazione. Il che non vuol dire che siano realizzabili sempre e comunque, ma solo se su di loro non grava un espresso divieto.
In altri termini non è necessario che il piano urbanistico le preveda espressamente (che, come si è detto, sarebbe contradittorio), ma è sufficiente che non le escluda specificamente.
Infatti potrebbero sussistere motivazioni puntuali (di tutela ambientale per esempio) che portino l’amministrazione pubblica (comunale, regionale o statale) ad inibire l’insediamento di una certa tipologia di opere - anche se solo temporaneo – perché la loro installazione potrebbe pregiudicare la destinazione futura e permanente dei luoghi (di quei luoghi).
Conformità urbanistica e compatibilità: differenze concettuali
Occorre allora ben distinguere tra due concetti, contigui ma sostanzialmente diversi e, se vogliamo, complementari: la conformità e la compatibilità.
La conformità urbanistica è la rispondenza alle previsioni di piano regolatore, (il che comporta che le opere siano previste).
La compatibilità è il non conflitto con le norme del piano regolatore (il che comporta – molto più semplicemente – che le opere non siano vietate).
Ciò che non è vietato è ammesso (è compatibile), anche se non espressamente previsto (conforme). Per questo dianzi abbiamo parlato di compatibilità (necessaria) delle opere temporanee e non di conformità.
Questa lettura, tutta fondata sull’interpretazione concettuale (che rappresenta il fondamento e il fine delle norme), già dovrebbe bastare ad inquadrare correttamente la fattispecie.
Ma, per chi ama il conforto normativo, possiamo trarre anche dalle norme la conferma della fondatezza della deduzione dianzi esposta.
Una prima conferma sta proprio nell’articolo 6 del DPR 380/01 che tratta dell’edilizia libera.
L’inquadramento delle opere temporanee nell’edilizia libera
È appena il caso di sottolineare che le opere temporanee sono una tipologia a sé nella categoria dell’edilizia libera proprio perché individuate (al comma 1, lett. e-bis) non in ragione della loro “struttura” o della loro “funzione” come le altre, ma della loro “durata” (come abbiamo già ampiamente illustrato in premessa).
È indubbio che siano dunque eseguibili “senza alcun titolo abilitativo” come dice in esordio la norma dell’articolo 6, ma con la specificità di dover “dare comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale” (la cosiddetta CIL).
C’è da chiedersi perché questa caratterizzazione rispetto a tutte le altre opere di edilizia libera. La motivazione è semplice e deriva dalla loro natura: per dare possibilità all’amministrazione comunale di conoscere il termine di permanenza dal quale si desume la loro qualificazione e verificare l’effettiva rimozione alla scadenza, decorso il quale non sono più opere temporanee ma permanenti con necessità del permesso!
Si noti che nel panorama dei procedimenti edilizi la CIL è procedura prevista solo per le opere temporanee (nessun altra opera vi è sottoposta) e non va confusa con la CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) di cui all’articolo 6-bis.
A conferma che - mentre le opere soggette a CILA necessitano della dichiarazione del progettista “il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti" - le opere temporanee non richiedono attestazione di “conformità”: per quanto abbiamo esposto fin qui basta che siano “compatibili” ovvero non vietate.
In questo senso l’incipit dell’articolo 6 che ha creato perplessità e confusione è invece coerente con questa lettura. Infatti quando esordisce dicendo “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, …” va detto che le “prescrizioni” sono le norme immediatamente cogenti e limitative del piano (ovvero quelle ostative: dicono quello che non si può fare) che vanno distinte dalle “previsioni” del piano che sono invece le indicazioni di cui ciò che si può fare quando gli aventi titolo riterranno di attuare il piano.
È vero che nel linguaggio corrente a volte si usa parlare indifferentemente e impropriamente di previsioni e prescrizioni, ma concettualmente si tratta di cose diverse.
E bene lo deduciamo dalla pianificazione sovraordinata a quella comunale, il cui contenuto può essere quello di: “indirizzi”, “direttive” e “prescrizioni” ove queste ultime sono norme puntuali e specifiche per oggetti meritevoli di tutela immediatamente cogente, sovraordinata e indipendente dal piano comunale. Esprimono limitazioni, non possibilità edificatorie.
Le opere temporanee nel Glossario dell’Edilizia libera
Ma c’è un’altra conferma normativa che ritroviamo nelle più recenti disposizioni del “glossario dell’edilizia libera” approvato con d.m. 2 marzo 2018.
Il “glossario” elenca alcune tipologie (pur non esaustive) di opere “contingenti e temporanee” realizzabili con CIL e tra queste prevede: “Gazebo, Stand fieristico, Servizi igienici mobili, Tensostrutture, pressostrutture e assimilabili, Elementi espositivi vari, ….” (nn. 53-57 dell’elenco) per le quali non richiede mai limitazioni dimensionali che invece richiede per opere simili se fisse e permanenti nelle aree ludiche.
A riprova che se un gazebo è permanente deve essere di “limitate dimensioni” (nn. 44, 46, 48), se è temporaneo no. Ma se mancano le dimensioni fisiche come si potrebbe mai verificare la “conformità urbanistica”. Semplicemente perché non è richiesta.
Opere temporanee: gli aspetti edilizi
Tornando ora all’articolo 6 del DPR 380/01 vediamo che la norma dispone poi “il rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”.
E questo è logico e coerente: fin qui abbiamo visto l’aspetto urbanistico (sul quale le opere temporanee non incidono), ma ciò non toglie che siano invece da rispettare le norme edilizie “di settore” (quali quelle della sicurezza) anche se la permanenza delle opere è a termine.
Anche un’opera temporanea - nella sua pur limitata vita - non deve poter crollare, incendiarsi o creare qualsivoglia pregiudizio agli utilizzatori.
La norma dell’articolo 6 avrebbe potuto cumulativamente imporre il rispetto delle norme edilizie di settore e delle norme urbanistiche, ma non lo fa: differenzia invece e impone il “rispetto delle norme edilizie di settore” (ovvero ne impone l’adeguamento e la conformità) e più semplicemente fa “salve” le sole (eventuali) “prescrizioni” del piano; di fatto non impone la conformità a tutte le sue norme, ma solo la compatibilità.
Se leggiamo la norma per come è scritta ne deduciamo questa coerente interpretazione.
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