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Opere edilizie ante 1967, definizione di centro abitato e rilevanza urbanistica: le regole

La nozione di centro abitato, anche per quanto concerne le opere realizzate prima del 1967, va individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili.

Per le opere risalenti a prima del 1967, le quali, in zone differenti dal centro abitato, potevano essere assentite anche senza licenza edilizia, è determinante 'capire' la corretta definizione, appunto, di 'centro abitato', per quel che poi va a impattare sulla rilevanza urbanistica, visto che solamente in determinate zone era richiesta una licenza edilizia prima del 1° settembre 1967.

 

La nozione di centro abitato

Il caso della sentenza 2798/2024 del 22 marzo del Consiglio di Stato è un po' complesso ma merita di essere segnalato: alla fine, Palazzo Spada evidenzia che la nozione di centro abitato trova riscontro nell’art. 3 del nuovo Codice della Strada, che, in un’ottica finalistica di diversificazione delle regole di circolazione stradale, lo identifica in un “insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine”.

Lo stesso va, dunque, individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili.

La sua rilevanza urbanistica discende, peraltro, dalla legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge ponte) che, introducendo l’art. 41-quinquies nella legge 1150/1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione e, quindi, dal d.m. 1° aprile 1968, n. 1404, in ordine alle distanze dell’edificazione dal nastro stradale.

 

Le opere edilizie contestate: a quando risalgono?

Tutto parte dall'ingiunzione a demolire hanno per un portone in legno e un cancello apposti a chiusura di un corridoio coperto che si affaccia sulla medesima via.

I proprietari ricorrenti sostengono che il TAR non avrebbe tenuto conto della documentata preesistenza della chiusura del corridoio da tempo immemore: il locale era infatti già censito all’impianto del catasto urbano.

Ma il punto essenziale della vicenda è la chiusura di un vano, già utilizzato come corridoio d’accesso, successivamente adibito a rimessaggio a servizio del ristorante.

 

Le prove della data di realizzazione gravano sul privato

Aldilà dei singoli interventi, come già abbiamo avuto modo di 'verificare' con altre sentenze, ciò che conta ed è 'dirimente' è individuare la data di realizzazione dell’immobile nella sua consistenza finale, comprensiva del corridoio, comunque lo si voglia denominare e a prescindere dalla sua concreta utilizzazione.

Al riguardo, la giurisprudenza ha da sempre affermato che l’obbligo di comprovare la preesistente consistenza di un immobile all’epoca di edificazione libera grava sulla proprietà.

Il privato, cioè, è onerato a provare la data di realizzazione dell’intervento edilizio, non solo per poter fruire del beneficio di una sanatoria, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.

Solo il privato, infatti, può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, in via generale, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio negli anni precedenti al 1967 (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903; id., 4 marzo 2019, n. 1476; 20 aprile 2020, n. 2524; 9 giugno 2023, n. 5668).

 

Abusi edilizi: chi deve provare che risalgono a prima del 1967 per evitare la demolizione?

In virtù del principio di vicinanza della prova, è il proprietario (o il responsabile dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione che deve provare il carattere risalente del manufatto, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c.d. legge ponte 761/1967.


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La data spartiacque del 1° settembre 1967: da lì in poi licenza edilizia per tutti gli interventi

Come è noto, infatti, solo con l'art. 10 della legge 765/1967 (entrata in vigore il 1° settembre 1967), l'obbligo di licenza edilizia è stato esteso a tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sull’intero territorio comunale.

 

Prima del 1° settembre 1967: titolo edilizio solo per certi interventi e nei centri urbani

In precedenza, l’art. 31, comma 1, della l. n. 1150 del 1942 lo prevedeva solo per certi interventi edilizi e limitatamente ad alcune zone territoriali, ovvero, per quanto qui di interesse, i centri abitati e, ove esisteva il piano regolatore comunale, anche le zone di espansione ivi espressamente indicate, salvo quanto dettato per altre zone o per tutto il territorio comunale dal Regolamento edilizio, accompagnato o meno dal Programma di fabbricazione comunale.

 

Stato legittimo dell'immobile: il DL Semplificazioni consente di attingere ai titoli abilitativi delle vicende 'trasformative'

Al fine di agevolare la prova di tale stato legittimo dell’immobile, laddove si tratti di manufatti che insistono in loco da molti anni, il legislatore ha introdotto il comma 1-bis nell’art. 9-bis del dpr 380/2001 (col DL 76/2020 - Semplificazioni, convertito, con modificazioni, dalla legge 120/2020), che consente di attingere ai titoli abilitativi relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative.

 

Stato legittimo dell'immobile: quando i titoli abilitativi pregressi salvano dalla demolizione

Lo stato legittimo dell'immobile è quello riveniente dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa, nonché, se a questo siano susseguiti ulteriori titoli abilitativi, dal titolo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare.


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Il corridoio preesisteva al 1967

Nel caso di specie, è documentato che il corridoio preesistesse al 1967.

Ciò trova conferma in tutte le indicazioni catastali dettagliatamente evocate da parte appellante, nonché nella rappresentazione dello stato dei luoghi al momento della presentazione dell’istanza di rilascio della concessione edilizia del 2000.

 

La collocazione dell'opera: borgo antico non equivale a centro abitato

Il Comune ritiene tuttavia di trarre la prova dell’abusività dell’opera dalla mancata produzione della licenza edilizia che comunque sarebbe stata necessaria per chiudere il corridoio, data l’insistenza dell’immobile nel “borgo antico”.

Questa affermazione - spiega Palazzo Spada - avrebbe potuto avere una qualche plausibilità ove fosse stato versato in atti il titolo originario in forza del quale è stato realizzato il fabbricato, con conseguente prova dell’apertura verso la strada del corridoio, e quindi, indirettamente, della sua chiusura solo in epoca successiva.

Diversamente, non è dato comprendere da quale circostanza, anche fattuale, la difesa civica evinca che la chiusura sia sopravvenuta e non originaria, e che solo per la stessa sarebbe stata necessaria una licenza aggiuntiva.

Del resto, neppure è stata data prova che per quella zona la «licenza del podestà» fosse davvero necessaria a far data dal 1942, stante che l’ubicazione del fabbricato nel c.d. “borgo antico” non implica affatto la sua riconduzione a ciò che, secondo le indicazioni pianificatorie dell’epoca, doveva essere perimetrato come centro abitato.

 

La definizione di centro abitato e la non necessarietà del titolo abilitativo

Infatti, come il Palazzo Spada ha già avuto modo di precisare (Cons. Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3656), la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci, per cui occorre far riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza.

Esso trova ora riscontro nell’art. 3 del c.d. Nuovo codice della Strada, che lo identifica in un «insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine», che tuttavia nasce per esigenze di diversificazione delle regole di circolazione stradale.

Va dunque individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili.

La sua rilevanza urbanistica discende dalla legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge ponte) che introducendo l’art. 41-quinquies nella legge 1150 del 1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione e, quindi, dal D.M. 1° aprile 1968, n. 1404, in ordine alle distanze dell’edificazione dal nastro stradale.

Non risponde dunque al preciso disposto del richiamato art. 41-quinquies, comma 6, della legge 1150/1942, assimilare ciò che nel lessico comune fa pensare all’originario nucleo abitato (il “borgo antico”, appunto), alla necessaria perimetrazione di una zona espressamente richiesta dalla legge.

Le considerazioni del Comune sull’irrilevanza della vetustà della chiusura 'scemano', in quanto non risulta affatto provata la necessita del titolo edificatorio in quella zona del Comune sin dal 1942, ammesso e non concesso essa sia sopravvenuta alla realizzazione originaria del manufatto.

Del resto, per concludere, va evidenziato che la concessione edilizia del 23 aprile 2001 per la ristrutturazione con cambio di destinazione d'uso e fusione di due unità immobiliari, a piano terra, rappresenta chiaramente l’esistenza del corridoio chiuso. In particolare, esso risulta nell’elaborato grafico di rilievo dello stato dei luoghi come corridoio coperto di accesso e nell’elaborato di progetto come trasformazione da corridoio di accesso in locale di deposito e passaggio di servizio, ad uso esclusivo del locale commerciale, nonché nella relazione tecnico-descrittiva dei lavori.

Il ricorso va quindi accolto.


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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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