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Opere edilizie ante 1967: come devono essere le prove per lo stato legittimo?

Per quel che riguarda le prove dello stato legittimo di un'opera edilizia realizzata prima del 1° settembre 1967, in mancanza di una chiara documentazione dalla quale evincere la datazione dell'immobile e, ancor più, di qualsiasi principio di prova in ordine alla presunta data di realizzazione dell'immobile, non può neanche sostenersi che l'onere della prova contraria sia in capo all'amministrazione locale.

L'onere della prova della risalenza di un'opera edilizia a prima del 1967, quando, cioè, non era ancora in vigore la Legge Ponte e quindi si potevano realizzare immobili e costruzioni, senza permesso di costruire, fuori dal perimetro dei centri abitati, è sempre del privato ma servono documenti certi e rigorosi per dimostrare lo stato legittimo e, quindi, evitare la demolizione.

 

L'opera abusiva del contendere

Di un caso che, peraltro, coinvolge anche le regole del Decreto Salva Casa si occupa il Tar Catanzaro nella sentenza 126/2025 del 23 gennaio, relativa ad un'opera abusiva realizzata senza permesso di costruire.

Si tratta di una struttura in cemento armato con quattro pilastri di dimensioni 30x50, composta da piano terra e terrazzo dal quale fuoriescono quattro pilastri in cemento armato, oltre una scala adiacente in cemento armato.

Il proprietario aveva presentato una CILA per assentire l'intervento.

 

Ante 1967? Il ricorso e le regole

Il ricorrente sostiene che il manufatto realizzato in aderenza all'abitazione è stato ristrutturato in cemento armato (nel 1966), precedentemente alla legge 765/1967, che ha introdotto l'obbligo generalizzato della licenza edilizia.

Infatti, la legge 1150/1942 ha previsto che "Chiunque intenda nell'ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al sindaco".

Ma prima dell'avvento della legge 765/1967 (1° settembre 1967), l'obbligo di richiedere il permesso di costruire era circoscritto all'area dei centri abitati. Da quella data in poi, invece, si è allargato l'obbligo di richiedere e ottenere il titolo edilizio pieno a tutto il territorio comunale.

In tal senso, ha depositato

  • una perizia redatta dallo stesso ricorrente nella sua qualità di ingegnere e una aerofotogrammetria storica che evidenzierebbero la realizzazione dell’intervento anteriormente al 1967;
  • copia della SCIA in sanatoria presentata, ai sensi della legge 105/2024 ("Decreto Salva Casa").

 

Le prove non tengono: ecco perché

Il TAR respinge il ricorso, precisando, in primis, che “in presenza di un ordine di demolizione, l'onere di dimostrare che le opere sono legittime essendo state realizzate legittimamente senza titolo ante 1967, sicché rientrano fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto”.

Quindi si entra sul punto: cosa è stato presentato, esattamente, in questo caso?

La parte - evidenzia il TAR - non ha affatto provato l'epoca di realizzazione del manufatto, avendo prodotto in giudizio:

  • una perizia giurata redatta dallo stesso ricorrente, nella sua qualità di ingegnere;
  • una aerofotogrammetria dalla quale non è neppure possibile identificare l'ubicazione dell'immobile.

 

Senza prove certe, niente ribaltamento dell'onere sul comune

Non avendo, quindi, dimostrato in alcun modo la risalenza dell'opera a prima del 1° settembre 1967, non era neanche possibile 'ribaltare' l'onere della prova sul comune.

Infatti, qui non c'è una documentazione chiara sulla datazione e sulla presunta data di realizzazione dell'opera: ci fosse stata, il comune avrebbe dovuto 'controbattere', ma in questo caso il secondo 'step' non si inizia nemmeno.

Le prove, quindi, devono essere rigorose, certe e convincenti, non aleatorie e basate su autodichiarazioni del ricorrente stesso.

 

La CILA non basta

Riguardo alla CILA dichiarata inefficace dal comune, il TAR si limita a osservare che un intervento del genere (struttura in cemento armato composta da piano terra e terrazzo), sviluppando volumetria, avrebbe richiesto il permesso di costruire

 

Sanatoria col Salva Casa? No perché è una totale difformità

In ultimo, il TAR affronta la questione della SCIA in sanatoria richiesta con le regole del Salva Casa.

Secondo il ricorrente, infatti, l'istanza ex DL 69/2024 determinerebbe l'illegittimità dell'ordinanza di demolizione, essendosi formata la sanatoria per silenzio assenso.

Il TAR osserva che, anche prescindendo dalla effettiva possibilità, in presenza di nuova volumetria, di sanare l'abuso realizzato, ai sensi dell'art. 36 bis del Testo Unico Edilizia (accertamento di conformità semplificato), introdotto dalla legge 105/2024, tale disposizione riguarda espressamente gli “interventi edilizi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività”, mentre qui manca del tutto il permesso a costruire.

In ogni caso, la regola 'dice' che la presentazione dell'istanza di sanatoria, successiva all'ordinanza di demolizione, ha come unica conseguenza che la misura ripristinatoria non possa essere attuata sino alla conclusione del procedimento, quindi una mera sospensione.

In questo caso però la sanatoria col Salva Casa è impossibile in quanto, appunto, si tratta di una totale difformità (assenza del permesso di costruire).

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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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