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Opere abusive: se trasformano le superfici in residenziali rientrano nella ristrutturazione edilizia

Degli interventi sono qualificabili come ristrutturazione edilizia, ai sensi dell'art.10 lett.c) del Testo Unico Edilizia, se portano "ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente" e "hanno comportato un mutamento non consentito della destinazione d'uso"

Dei lavori abusivi costituiti dalla realizzazione del solaio di copertura di un fabbricato, con diversa configurazione plano-volumetrica rispetto alla concessione edilizia 'originaria' ed alla successiva DIA in variante, con cambio di destinazione d’uso non autorizzato, realizzazione di impianti idrico, elettrico e di riscaldamento e creazione di due wc, due camere, un locale soggiorno-cucina, un locale ripostiglio e due terrazzi, non rappresentano un intervento di modesta entità in parziale difformità da quanto autorizzato ma, seguendo i dettami dell'art.10 lett. c) del Testo Unico Edilizia, una ristrutturazione edilizia 'a se stante', che necessita di un permesso di costruire ad hoc.

 

Lavori edilizi: il miraggio della parziale difformità (e della fiscalizzazione)

Lo spiega il Consiglio di Stato nella sentenza 1303/2024 dell'8 febbraio, che si è espresso sull'ordinanza di demolizione di un comune per alcune opere le quali, secondo i ricorrenti, erano semplicemente state realizzate in 'parziale difformità dalla concessione edilizia' e dalla successiva DIA e non, quindi, in totale mancanza di qualsiasi abilitazione.

Ancora, sempre secondo i ricorrenti: dal carattere di abusività solo parziale delle opere in questione, eseguite in un contesto edilizio altrimenti legittimo, sarebbero, altresì, scaturite sia la necessità per l'amministrazione di applicare quanto previsto dall'art. 34 del del dpr 380/2001 in rapporto alla possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria ove la rimozione della parte abusiva non fosse stata eseguibile senza pregiudizio della porzione legittima, sia l’impossibilità per il TAR di applicare i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017 per il caso di provvedimento emesso in totale assenza di titolo edilizio.

 

Aumento del carico urbanistico e organismo modificato: i crismi della ristrutturazione edilizia

Niente da fare, Palazzo Spada è fermo e conciso nel rigettare il ricorso, visto che esso cotrasta con l'interpretazione ormai consolidata elaborata dalla giurisprudenza amministrativa in materia urbanistico-edilizia.

I lavori edilizi di cui sopra, infatti, integrano, come puntualmente evidenziato dal TAR competente, autonome opere di ristrutturazione edilizia in grado di incidere in via permanente sull’assetto preesistente.

Trasformando le superfici non residenziali in residenziali ed aumentando il carico urbanistico e la superficie utile, esse avrebbero sicuramente necessitato di uno specifico e distinto permesso di costruire, posto che - ai sensi dell'art.10 lett. c) DPR 380/2001 - le opere sono qualificabili come ristrutturazione edilizia in quanto portano “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” “hanno comportato un mutamento non consentito della destinazione d'uso”.

Da qui l’assenza, in primo luogo, dei presupposti per l'applicazione della cd. fiscalizzazione dell'abuso ex art.34 del dpr 380/2001 che, tra l’altro, come evidenziato dalla costante giurisprudenza, non risulta comunque in grado di incidere sulla legittimità dell’ingiunzione impugnata, poiché la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2023, n.199).

 

Le motivazioni per la demolizione

Il Consiglio di Stato ricorda inoltre che “i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi - quale l'ordine di demolizione - sono provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime, con la conseguenza che per la loro adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto e non essendo richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare” (Consiglio di Stato Sez. VII, 29 marzo 2023, n.3279).

 

Il comune non è tenuto a verificare la sanabilità di un abuso edilizio da demolire

Quanto - infine - all’accertamento di conformità che gli appellanti hanno dichiarato di voler proporre – senza peraltro fornire alcuna prova dell’avvenuta presentazione della relativa istanza - Palazzo Spada precisa, da un lato, che “in presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell'art. 36, d.p.r. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.p.r. n. 380 cit., che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato” (Consiglio di Stato Sez. VI, 11 luglio 2023, n.6765) e, dall’altro, che la presentazione dell'istanza di sanatoria non comporta, comunque, l'inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, ma, semmai, la mera sospensione di esso, con la conseguenza che l'ordine di demolizione potrà riprendere vigore non solo ove la richiesta venga espressamente respinta dall’Amministrazione, ma anche nell’ipotesi in cui il rigetto della domanda venga integrato per silentium ex art. 36, comma 3, dpr 380/2001 (Consiglio di Stato Sez. VI, 28 aprile 2023, n.4287).


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