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Oneri aziendali della sicurezza negli appalti pubblici

L’omessa indicazione degli oneri aziendali della sicurezza è causa di esclusione dell’offerta, o è consentito il soccorso istruttorio? Ecco un articolo di approfondimento

L’omessa indicazione degli oneri aziendali della sicurezza è causa di esclusione dell’offerta, o è consentito il soccorso istruttorio? Alla fine (forse) di un dibattito cui resta estranea la sicurezza sostanziale, l’impressione è che sia sufficiente indicare un numero qualsiasi (che non sia zero).

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Omessa indicazione degli oneri aziendali della sicurezza nell’offerta: esclusione o soccorso istruttorio?

Il concorrente di una gara d’appalto pubblico ha l’obbligo di indicare nella offerta economica “gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro” (art. 95 comma 10 del D.Lgs. n. 50/2016, Codice dei Contratti Pubblici).

Sulla portata escludente di questo obbligo la giurisprudenza negli anni si è spaccata in due.

Secondo la tesi c.d. formalistica, la mancata indicazione nell’offerta costituisce causa di esclusione e non è suscettibile di soccorso istruttorio (altrimenti si avrebbe una modifica ex post dell’offerta medesima).

Secondo la tesi opposta c.d. sostanzialistica, non può farsi luogo alla esclusione del concorrente ma si deve ricorrere al soccorso istruttorio, “a meno che si contesti al ricorrente di aver presentato un’offerta economica indeterminata o incongrua, perché formulata senza considerare i costi derivanti dal doveroso adempimento degli oneri di sicurezza”. Se invece nella gara “non è in discussione l’adempimento da parte del concorrente degli obblighi di sicurezza, né il computo dei relativi oneri nella formulazione dell’offerta”, allora gli oneri aziendali non possono essere qualificati incondizionatamente come elemento sostanziale dell’offerta, e quindi il soccorso istruttorio è possibile perché non è una modifica dell’offerta.

Di fronte a questa contrapposizione, l’Adunanza Plenaria con tre ordinanze gemelle (n. 1-2-3/2019) pubblicate il 24 gennaio 2019 ha deciso di rinviare la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La Plenaria ha chiesto alla Corte, di valutare se l’obbligo di indicare gli oneri a pena di esclusione sia conforme al diritto europeo che impone agli Stati “misure adeguate” per garantire il rispetto degli obblighi nel diritto del lavoro; ma nel formulare il quesito ha anche sviluppato alcune sue considerazioni concernenti l’obbligo dichiarativo.

Dopodichè, la Corte di Giustizia si è pronunciata con la sentenza n. 309 del 2 maggio 2019 in tema di oneri della  manodopera; e la successiva giurisprudenza amministrativa di merito, richiamatasi anche a quest’ultima, ha fornito ulteriori spunti di riflessione per la questione che vogliamo affrontare, che è la seguente.

Il tema della sicurezza dei lavoratori viene affrontato davvero nella normativa sugli appalti pubblici e, soprattutto, nella fase di scelta del contraente che su quella normativa si basa?

La sicurezza sul lavoro entra davvero nella valutazione dell’offerta presentata dal concorrente?

O il dibattito sull’indicazione degli oneri della sicurezza ruota attorno a profili formali, che con la sicurezza nulla hanno a che vedere?

Obbligo di dichiarare e obbligo di lavorare in sicurezza

L’ ordinanza di rimessione (Cons. Stato n. 6069/2018) alla Adunanza Plenaria chiedeva di decidere se un’offerta priva di indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale sia causa di esclusione senza possibilità di soccorso istruttorio “anche quando non è in discussione l’adempimento da parte del concorrente degli oneri di sicurezza, né il computo dei relativi oneri nella formulazione dell’offerta, né vengono in rilievo profili di anomalia dell’offerta”.

La tesi sostanzialistica, infatti, aveva messo in dubbio l’efficacia escludente della omessa indicazione degli oneri aziendali muovendo da un assunto, ricordato anche in Adunanza Plenaria n. 19/2016: “nel caso oggetto del giudizio…non è in discussione l’adempimento da parte del concorrente degli obblighi di sicurezza; … si contesta soltanto che l’offerta non specifica la quota di prezzo corrispondente ai predetti oneri”: il contenzioso insomma non è mai stato sugli adempimenti di sicurezza, perché oggetto del giudizio non è mai stato  la contestazione sulla sicurezza sostanziale di un concorrente.

Il tema è la incompletezza formale/sostanziale dell’offerta, non la mancanza di sicurezza nella prestazione offerta. Il che probabilmente spiega anche l’eterogenea tipologia delle espressioni utilizzate nelle pronunce per esprimere questo presupposto di “sicurezza sostanziale” non contestata: a volte si afferma che l’offerta è stata formulata “considerando i costi derivanti dal doveroso adempimento degli oneri di sicurezza”; a volte che “non è in discussione l’adempimento da parte del concorrente degli obblighi di sicurezza”; a volte che “dal punto di vista sostanziale l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale”. Il senso comunque è chiaro: il fatto che il concorrente rispetti le norme di sicurezza non è in discussione; quello che manca è (soltanto) la indicazione (formale?) degli oneri all’interno dell’offerta.

Se il tema non è la sicurezza sostanziale della prestazione offerta, ma la completezza dell’offerta economica rispetto al testo di legge, non ci si è mai domandati cosa si debba indicare, quando si indicano “gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”; perché questi oneri vadano indicati. Alla fine, nessuna delle sentenze si è mai interrogata, su cosa siano gli oneri aziendali della sicurezza, a cosa serva la loro indicazione, quale sia il loro posto nel sistema normativo che regola la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Per l’Adunanza Plenaria, l’obbligo di indicazione degli oneri è uno strumento di tutela dei lavoratori

L’Adunanza Plenaria n. 1/2019 ha aderito alla tesi dell’automatismo espulsivo.

Nella sua enunciazione per punti, essa condivide le ragioni della tesi formalistica: ricorda che esiste una disposizione del diritto nazionale che fissa in modo del tutto chiaro l’obbligo di ‘indicare’ i costi della sicurezza e non soltanto quello – più generico – di ‘tenerne conto’ ai fini della formulazione dell’offerta, che pertanto vale l’art. 83 comma 9 del Codice che esclude il soccorso istruttorio per le carenze dichiarative relative all’offerta economica e all’offerta tecnica; il beneficio del soccorso istruttorio si giustificava quando, nella vigenza del Decreto 163/2006, mancava una norma che, in maniera chiara e univoca, prescrivesse espressamente la doverosità della dichiarazione relativa agli oneri di sicurezza; ma essendoci ora tale norma, è venuta meno la ragione che aveva indotto l’Adunanza Plenaria ad ammettere il soccorso istruttorio.

Poi però si va oltre, e viene sviluppato un argomento qualificato come “di carattere sostanziale”: l’obbligo di indicare i costi “risponde all’evidente esigenza di rafforzare gli strumenti di tutela dei lavoratori, di responsabilizzare gli operatori economici e di rendere più agevoli ed efficaci gli strumenti di vigilanza e controllo da parte delle amministrazioni” con la conseguenza che “il concorrente che formuli un’offerta economica omettendo del tutto di specificare quali siano gli oneri connessi alle prestazioni lavorative non commette soltanto una violazione di carattere formale, ma presenta un’offerta di fatto indeterminata nella sua parte più rilevante, in tal modo mostrando un contegno certamente incompatibile con l’onere di diligenza particolarmente qualificata che ci si può ragionevolmente attendere da un operatore professionale”.

Mentre per la tesi sostanzialistica è possibile distinguere tra adempimenti di sicurezza in senso sostanziale e indicazione formale dei corrispondenti oneri nell’offerta, e quindi omettere di indicare gli oneri non significa necessariamente non adempiere agli obblighi di sicurezza, nella ordinanza della Adunanza Plenaria n. 1/2019 che rimette la questione alla Corte di Giustizia, questa distinzione non esiste più.

Affermando che quando manca l’indicazione degli oneri della sicurezza allora l’offerta è per definizione “indeterminata nella sua parte più rilevante”, ed il “contegno” del concorrente è “certamente incompatibile con l’onere di diligenza particolarmente qualificata” che ci si attende da un operatore professionale, la Plenaria attribuisce all’obbligo di indicazione degli oneri aziendali una funzione sostanziale.

In realtà, a ben vedere, l’Adunanza Plenaria non si spinge ad affermare che una offerta con indicazione degli oneri aziendali equivale ad esecuzione della prestazione in sicurezza, e neppure che la mancata indicazione degli oneri significa necessariamente una prestazione non sicura. Del resto, se un concorrente che omette la dichiarazione è per forza anche un operatore professionale “non sicuro”, e quindi è certo che in caso di aggiudicazione gli obblighi di sicurezza non saranno rispettati, allora non sarebbe stata necessaria la remissione della questione alla Corte di Giustizia, cui la Plenaria chiede di chiarire l’ambito oggettivo dell’art. 18 par. 2 della Direttiva 2014/24 là dove impone agli Stati di adottare “misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro”: non sarebbe stato necessario perché sarebbe stata fuor di dubbio la rispondenza al diritto dell’Unione europea, e all’art. 18 della Direttiva nello specifico, di una norma nazionale che avesse per contenuto diretto e specifico una misura di tutela della sicurezza dei lavoratori.

Secondo l’Adunanza, “in una gara d’appalto una offerta presuppone la puntuale valutazione del ‘punto di convenienza’ della commessa sul piano finanziario ed organizzativo e, dunque, la stesura di un vero e proprio business plan, comprendente cioè tutti gli oneri diretti, indiretti ed eventuali”; l’obbligo di indicare gli oneri aziendali della sicurezza nelle offerte garantisce dunque che essi non siano “un artato ‘costruito’ postumo, di carattere meramente formale”, ed impedisce “le più fantasiose allocazioni postume di valori indeterminati (e/o percentuali generiche) operati con riferimento talvolta alle spese generali, talvolta agli imprevisti, talvolta agli oneri indiretti, talvolta agli utili, ecc.”: al contrario, l’obbligo di indicazione nell’offerta impone all’operatore economico di far emergere fin da subito gli oneri della sicurezza come “un ‘dato oggettivo’ che ha il suo presupposto logico, economico e fattuale nel computo economico di tutti gli oneri, ivi compresi quelli aziendali per la sicurezza del personale, che sono connessi all’affare”.

La conclusione è che “la mancata dichiarazione costituisce un elemento in grado di far dubitare della serietà ed appropriatezza dell’offerta”.

La riprova definitiva che la sicurezza dei lavoratori è tutelata dall’art. 95 comma 10 soltanto per via mediata, attraverso la verifica della serietà dell’offerta, si rinviene nella stessa pronuncia, là dove la Plenaria rimette alla Corte di Giustizia il proprio quesito interpretativo individuando la disciplina nazionale da esaminare non soltanto nell’art. 95 comma 10 (oltre che nell’art. 83 comma 9 che regola il soccorso istruttorio) ma anche nell’art. 97 comma 5 del Codice dei Contratti: cioè la norma che, come noto, regola il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta.

Il ragionamento del Collegio sembra essere dunque, che la mancata indicazione degli oneri aziendali della sicurezza non consente di verificare se essi sono congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche della prestazione oggetto di appalto; un’offerta che non consente questa verifica manca di serietà e di appropriatezza; pertanto l’offerta va esclusa.

Oneri della sicurezza, o costi della manodopera?

C’è un problema di fondo, in tutto questo: le fattispecie oggetto dei giudizi da cui sono scaturite le tre ordinanze di rimessione riguardano l’omessa indicazione dei costi della manodopera, e non degli oneri di sicurezza.

Ora, è un dato di fatto che molte delle sentenze in argomento sono il frutto di una lettura per così dire “unificante” in cui i due distinti valori economici che l’art. 95 comma 10 impone di indicare nell’offerta, cioè appunto i costi della manodopera e gli oneri aziendali della sicurezza, sono considerati indifferentemente; così come si cita in maniera generale l’art. 97, comma 5 del Codice senza distinzione di lettere.

Senonchè, l’art. 95 comma 10 prevede sì l’obbligo di indicare entrambi i costi, ma mentre per i costi della manodopera prevede poi anche la verifica di congruità da parte delle stazioni appaltanti “prima dell’aggiudicazione”, non prevede tale adempimento per gli oneri della sicurezza: rispetto a questi ultimi manca proprio quella fase procedimentale che la mancata indicazione degli oneri di sicurezza andrebbe a pregiudicare e che per questo renderebbe l’offerta “non seria”; manca proprio la fase che, secondo questa lettura, garantirebbe effettività alla tutela dei lavoratori.

Ma vi è una ulteriore differenza assai rilevante, ed è che il costo della manodopera costituisce un dato numerico la cui “congruità” è verificabile rispetto a dei valori di riferimento predeterminati (cfr. art. 23 comma 16); gli oneri aziendali della sicurezza costituiscono al contrario un elemento che non è predeterminato né nei minimi né in assoluto; più in generale, sono un elemento che non ha una sua previsione normativa di alcun tipo.

Il che significa, che mentre per i costi della manodopera la ricaduta “sostanziale” dell’obbligo di indicazione dei costi in quanto “strumentale” alla verifica di congruità ha un suo riscontro sia nella previsione generale di tale verifica, sia nella esistenza di un dato oggettivo per il compimento della verifica medesima, ciò non può dirsi altrettanto per gli “oneri aziendali della sicurezza”.

E allora, per poter aderire o meno alla interpretazione della Plenaria che vede nell’obbligo di indicazione dei costi aziendali della sicurezza uno strumento di effettiva tutela e nella indicazione in offerta un elemento sostanziale della stessa, occorre porsi l’ultima domanda, quello che manca in tutto il dibattito giurisprudenziale: cosa sono gli oneri aziendali della sicurezza, e qual è il significato dell’obbligo di indicarli nell’offerta.

Gli oneri aziendali della sicurezza nella normativa sugli appalti privati non esistono

Mentre gli oneri aziendali della sicurezza devono essere indicati (anche se non sempre) quando si applica il Codice dei Contratti, che però non dice né cosa sono, né come quantificarli, essi non sono disciplinati, anzi neppure mai menzionati, nel Decreto n. 81/08 (il cosiddetto Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro) o più in generale nelle disposizioni in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, quelle cioè che prevedono gli adempimenti, cui questi oneri si riferiscono.

Non manca soltanto una disposizione sul criterio di quantificazione, manca proprio una norma che imponga di indicare gli oneri della sicurezza “aziendali” negli appalti e quindi, prima ancora, che dica cosa essi siano; il riferimento usualmente è costituito infatti dai lavori di fonti tecniche, a volte istituzionali come ad esempio ITACA (cfr. “Verifica della congruità degli oneri aziendali della sicurezza nei contratti di lavoro pubblici: aggiornamento delle prime indicazioni operative, rev. Settembre 2015”).

Non si tratta, ovviamente, di scarsa attenzione del sistema normativo di sicurezza sul lavoro al tema dei costi della sicurezza: piuttosto, il legislatore si occupa del vero tema, cioè i costi della sicurezza “aggiuntivi” rispetto alla organizzazione del datore di lavoro; in particolare, i costi per gestire i rischi da interferenza delle lavorazioni negli appalti intra-aziendali dell’art. 26 e nei cantieri edili del titolo IV del Decreto 81.

Altri oneri non esistono, e non sono mai né menzionati, né disciplinati, il che non costituisce una dimenticanza del legislatore, né comporta affatto un vuoto di tutela: semplicemente, non esistono nella normativa perché non è attraverso il costo aziendale della prestazione, che la normativa di sicurezza persegue il proprio obiettivo di tutela della persona del lavoratore.

Al legislatore della sicurezza non interessa sapere quanto costa all’operatore economico l’adempimento degli obblighi di sicurezza propri della sua attività; gli interessa sapere che l’obbligo è adempiuto nella sostanza.

Questo vale altrettanto anche quando l’operatore economico svolge la propria prestazione in favore di un terzo, nel contesto di un rapporto di appalto: la serietà dell’offerta in punto sicurezza, come elemento strumentale alla effettiva tutela dei lavoratori, e quindi la garanzia che l’affidamento all’appaltatore non viene compiuto sacrificando la salute di questi ultimi, non è perseguita dal committente attraverso improbabili analisi dell’offerta economica, né attraverso obblighi a ciò propedeutici di redazione dell’offerta secondo voci obbligatorie; la garanzia della sicurezza si ottiene con il ben più sostanziale – questi sì! – strumento della verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore. Ai sensi dell’art. 26 (per gli appalti intra-aziendali) e dell’art. 90 (per gli appalti aventi ad oggetto lavori edili) del Decreto 81/08, il committente verifica i requisiti sostanziali di sicurezza dell’esecutore per quanto concerne gli obblighi di sicurezza sul lavoro, in relazione ai lavori, servizi e forniture “da affidare”. Che questo obbligo, pur pacificamente applicabile anche agli appalti pubblici, non trovi particolare menzione nel Codice dei Contratti, è solo un altro indice dell’approccio assai poco “sostanziale” che il legislatore dell’appalto pubblico ha mostrato da sempre nei confronti del tema della sicurezza.

Gli oneri aziendali della sicurezza non sono valutabili

Ma c’è un altro aspetto di diritto positivo, che va considerato.

Le misure di sicurezza e gli adempimenti cui gli oneri aziendali indicati nell’offerta del concorrente dovrebbero riferirsi, non devono essere indicate nell’offerta del concorrente, e non sono quindi note alla stazione appaltante. Nell’offerta non vengono indicati gli adempimenti generali ai quali ad esempio ITACA ricollega gli “oneri gestionali annui”, da indicare “in quota parte”; ma neppure vengono indicate le misure preventive connesse allo specifico appalto, cui sono connessi gli “oneri operativi”; non a caso la verifica di congruità si basa, in questi documenti, sul riscontro rispetto a parametri convenzionali quali le spese generali.

L’intera operazione di verifica della congruità degli oneri aziendali si svolge sulla base di un parametro di riferimento del tutto astratto, e certo non disegnato sugli specifici contenuti dell’offerta oggetto di verifica; e questo perché manca a monte un dato normativo al quale fare riferimento e più in generale perché  il sistema normativo della sicurezza non è finalizzato a questo tipo di verifica né lo considera come un momento importante (anzi, non lo considera proprio).

Ritenere che gli oneri aziendali costituiscono un elemento sostanziale dell’offerta, insuscettibile di soccorso istruttorio e causa di esclusione ove non indicati, è dunque tesi da  maneggiare con attenzione.

Alla fine, negare ad un operatore economico il diritto a concorrere a causa di una omissione dichiarativa, argomentando con ragioni di mancata tutela, impone di poter affermare con certezza che l’obbligo dichiarativo garantisce quella tutela; e quindi impone di affermare, che esiste il modo di verificare se quella dichiarazione garantisce quella tutela.

La sentenza della Corte di Giustizia; le pronunce di merito più recenti

Ed è proprio in questa prospettiva che suscitano motivo di riflessione le vicende che sono seguite all’Adunanza Plenaria del 2019, a partire dalla sentenza della Corte di Giustizia n. 309 del 2 maggio 2019.

Quest’ultima – riguardante una precedente remissione disposta dal TAR Lazio - in realtà non ha nemmeno sfiorato i temi di cui qui si discute; ha dato una risposta (peraltro per certi versi ambigua) legata esclusivamente ai profili formali, affermando che l’esclusione è giustificata, salvo che vi sia l’impossibilità materiale per l’offerente di indicare i costi a causa delle caratteristiche dei moduli o della conformazione del bando; ma soprattutto, è una sentenza che riguarda solamente i costi della manodopera e quindi non pertinente al tema.

E’ pertanto fuorviante trattare il tema degli oneri aziendali della sicurezza menzionando la sentenza 309 della Corte di Giustizia.

Alcune recenti sentenze del Giudice Amministrativo lo hanno fatto, ma in realtà esse discutono della presenza o meno di un errore materiale del concorrente giustificato dalle regole di gara (che appare essere diventato il nuovo tema di discussione).

La Corte di Giustizia è richiamata anche, ma non in maniera decisiva, da TAR Campobasso, 3 giugno 2019 n. 204. Questa sentenza merita di essere citata perché affronta invece direttamente il tema degli oneri della sicurezza, che il concorrente aveva sì indicato, ma come “pari a zero”.

Secondo il TAR, ciò costituisce una “negazione dell’obbligo che grava sull’impresa rispetto alla ostensione dei costi in questione e nella elusione delle esigenze di tutela” sottese all’obbligo dichiarativo. E’ una affermazione impegnativa: significa che, per il TAR, l’indicazione di un qualsiasi altro numero diverso da zero avrebbe soddisfatto quella esigenza di tutela? Oppure significa che qualsiasi altro numero avrebbe potuto (dovuto?) essere verificato dalla stazione appaltante, che così sarebbe stata in grado di valutare la congruità o meno del numero?

Risposta nella sentenza non c’è.

Poiché il concorrente, ammesso in quel caso a giustificare il valore anomalo, aveva affermato che “tali oneri sono stati indicati pari ad Euro 0,00, poiché gli stessi risultano già regolarmente ammortizzati nell’esecuzione di pregresse commesse”, ebbene il TAR nega congruità a questa motivazione della cifra “zero”.

Esso afferma che “in materia di appalti di lavori gli oneri per la sicurezza rappresentano un costo normalmente non eludibile, e che – a rigor di logica – eventuali vantaggi conseguiti in precedenti commesse, non assumono immediata e diretta rilevanza rispetto alla commessa a cui si riferisce la dichiarazione.
Invero, l’obbligo dichiarativo concernente i costi della sicurezza non si stempera in una dimensione dinamica e soggettiva (rapportata cioè alla gestione dell’impresa nel tempo) ma ha una rigida rilevanza statica ed oggettiva, essendo volto ad esplicitare gli oneri in argomento rispetto alla esecuzione del singolo contratto, onde garantire, in concreto, il soddisfacimento degli interessi pubblici di riferimento”.

Se bene si intende, il TAR introduce – finalmente, verrebbe da dire – il tema della necessità di accertare un diretto, specifico e motivato collegamento tra i costi indicati nell’offerta, e i contenuti della prestazione oggetto del contratto cui quell’offerta si riferisce.

Però si ferma troppo presto: non costretto dal caso concreto (avendo escluso che il costo “zero” sia ammissibile per definizione: tesi anch’essa tutta da discutere), il Collegio non si pone la domanda, di come un costo “un euro” o “mille euro” sarebbe stato valutato.

Ancora una volta, in realtà, la tesi apparentemente più rigorosa, quella per la quale in una offerta la sicurezza non può mancare, si risolve in una soluzione non altrettanto rigorosa, quella per la quale l’importante è che una cifra ci sia.

Quale sia questa cifra, alla fine, non sembra però essere considerato così importante.

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