Oltre il Dibattito sugli Oneri Diretti della SARS-CoV-2: una Logica di Integrazione tra gli Attori del Processo
Molto si è discusso, anche nel settore della costruzione e dell'immobiliare, del significato della quarta rivoluzione industriale, meglio nota come Industria o Impresa 4.0.
Tra l’altro, a lungo, pur con risvolti positivi, il 4.0 è stato inteso come insieme di interventi e di dispositivi puntuali, in luogo di essere concepito, come tale al contrario era, quale disegno di riconfigurazione strategica delle catene di fornitura.
Questa locuzione, 4.0, sorta in Germania tra il 2010 e il 2011, aveva, almeno originariamente l'intento di riportare, come alcuni sociologi industriali tedeschi hanno chiarito, all'attenzione dei decisori politici, sotto l’egida della digitalizzazione, l'industria di prodotto, tanto più che essa stava divenendo sempre più servitizzata.
Tra le finalità che ci si proponeva figuravano, peraltro, il re-shoring dei fornitori e l'inclusione degli operatori qualificati più anziani.
In buona sostanza, oltre al coinvolgimento del cliente finale in tempo reale all'interno della catena di fornitura, gli elementi salienti che emergevano erano la sincronizzazione dei luoghi e dei processi produttivi remoti (negli Stati Uniti, il 4.0 era definito come Industrial Internet of Things) nonché l'autonomazione, vale a dire l'introduzione di semi automatismi predittivi a supporto dei processi decisionali.
La centralità del dato numerico, anche per il cantiere, digitale o digitalizzato, si declinava, perciò, sotto il duplice aspetto della gestione dell'informazione e della comunicazione.
Il che spiega la ragione per cui, molto più che automazione e robotica (valida probabilmente specialmente per quanto inerisce alla manifattura dell'indotto), conti l'intelligence in grado di sostenere i processi decisionali attraverso ecosistemi, piattaforme e ambienti digitali, a loro volta capaci di abilitare i processi tramite la relazione non mediata con i modelli e con le strutture di dati.
Di là degli aspetti peculiari del 4.0, che ha ormai, in ambito (non solo) manifatturiero generato hub e competence centre (o center), è palese che per il settore della costruzione e dell'immobiliare la posta in gioco ultima non riguardi esclusivamente tali aspetti, ma sottintenda una questione assai più sensibile, evidente, attualmente, nell'ultima delle sue fattispecie, quella attinente alla dis-integrazione tra universi committenti, professionali e imprenditoriali, manifesta nella veste della potenziale controversia relativa agli oneri diretti supplementari imputabili all'emergenza pandemica attribuita alla SARS-CoV-2.
Da questa ottica, più che discettare dell’opportunità o meno di ricondurre il cantiere alla fabbrica (ad esempio, tramite forme di prefabbricazione), è l’integrazione tra i soggetti, tema ripetuto sino alla nausea, a essere decisivo.
Molte sarebbero le esemplificazioni di questa condizione, per certi versi anti-industriale, tra cui quella per cui gli stessi modelli informativi, aggregati o disciplinari, siano configurati dal ceto professionale secondo logiche coerenti con il proprio punto di vista, ma difficilmente commensurabili con quelle degli esecutori e, al limite, dei manutentori e dei gestori.
Ecco, dunque, che proprio guardando alla situazione dovuta alla pandemìa, ci si rende conto che il nesso colla quarta rivoluzione industriale si fa stringente sotto due profili: quello legato al coordinamento spaziale delle attività che si svolgono in cantiere e quello inerente alla propedeuticità temporale delle stesse; il che, sotto il profilo di ciò che attiene a soluzioni logistiche più raffinate, dovrebbe denotare una convergenza di intenzioni e di interessi tra le parti, sinora rivelatasi assai problematica, come dimostra, in altro ambito, la vicenda controversa dell'appalto integrato, convergenza che si riflette nella considerazione di quanto la catena di fornitura possa influire nel conseguimento delle condizioni di salute.
Per questa ragione, non solo per via di metafora, se l'organizzazione del cantiere e della catena di fornitura figura come cruciale all'interno dei protocolli dedicati alla SARS-CoV-2, in prospettiva anche in senso digitale (non fosse altro che in virtù della necessità di ridurre i contatti fisici e i supporti cartacei, di registrare tempestivamente l’avvenuta sanificazione dei macchinari o del fatto che la app governativa finalizzata al tracciamento dei contatti possa divenire diario o registro sanitario personale), l'integrazione dei punti di vista e delle logiche di committenti, professionisti e imprenditori risulta ancora più saliente.
Ciò, in effetti, che la pandemìa evidenzia è, del resto, che non solo la dimensione della salute qui prevalga su quella dell’infortunio, o meglio, che ne utilizzi alcune categorie già condivise, come la struttura di scomposizione dei pacchetti di lavoro o lo sfasamento temporale a favore di sicurezza, già contemplati nel dettato legislativo, bensì che la salute medesima ivi acquisisca una accezione collettiva, strettamente legata al fermo produzione, che è poi il nucleo dei protocolli aziendali che mirano alla sorveglianza sanitaria, anche preventiva, pure al di fuori dei luoghi e dei tempi lavorativi.
Di là della vertenza sulla identità dei soggetti cui spettano gli oneri supplementari ingenerati dagli addendum ai PSC e ai DVR, è proprio l'essenza stessa della cultura industriale che invita le tipologie di attori committenti, professionali e imprenditoriali (e le loro rappresentanze) a trovare, infine, un punto di convergenza.
Se, d’altronde, è evidente che la gravità della situazione induca gli attori della Domanda e dell’Offerta, dei servizi e dei lavori, a mettere in risalto le proprie oggettive difficoltà con una certa legittima esasperazione, occorre, tuttavia, riconoscere come la convergenza sul ridisegno dei sistemi di priorità, di convenienza e di responsabilità sia la manifestazione più credibile della volontà di attuare una trasformazione industriale del settore, all’insegna della collaborazione o del partenariato.