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Nuovo Codice Appalti: per gli architetti riportare le fasi del concorso a due

L'approvazione del Nuovo Codice Appalti rivela diverse criticità sul tema dei concorsi di progettazione che appaiono normati in maniera superficiale e poco dettagliata. Vediamo quali sono le modifiche e cosa comportano nella professione

Nuovo Codice Appalti: i concorsi messi in secondo piano

Dimenticanze e passi in dietro. Il nuovo Codice degli Appalti mette in secondo piano il tema dei concorsi.

Rispetto al codice in via di superamento (il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) per il futuro i concorsi vengono normati in maniera superficiale e poco dettagliata: si fa solo un riferimento generico al fatto che bisogna rifarsi alla normativa europea, molto di principio. In 40 righe si cerca di normare quello che nel vecchio Codice era trattato in una sezione ad hoc, con alcuni articoli di legge e questo approccio già la dice lunga sull’intento.

In premessa non vanno trascurati i numeri.

Infatti, i concorsi rappresentano una percentuale dell’ordine del 2 o 3% dell’ammontare degli affidamenti dei servizi di architettura e di ingegneria sul totale: occasioni minime, ma che riguardano un’attività che per la nostra professione è fondamentale e di grande riferimento culturale.

Il concorso è uno strumento nato a tutela dell’interesse della città e per promuovere una cultura del progetto di qualità. È, infatti, forse l’unico tra i metodi a disposizione della Pubblica amministrazione che garantisce al contempo trasparenza, meritocrazia e il perseguimento del massimo interesse pubblico nella qualità del risultato.

Questa pratica è però anche preziosa e delicata, fondando il suo funzionamento sulla volontà dei progettisti di accettare con generosità la sfida, e di mettersi al servizio dell’interesse pubblico dedicando energie, creatività, competenze e tempo, affinché possa essere individuata la migliore soluzione ai problemi che il progetto pone.

Il concorso non è un orpello di scarsa rilevanza, ma una modalità per rilanciare la cultura urbana collettiva. I numeri bassi, nell’ambito del più ampio mercato della progettazione pubblica, non devono rinunciare all’attenzione che il concorso merita.

In particolar va preservato l’affidamento dell’incarico, a valle dell’iniziativa concorsuale. Si aggiunga che il Consiglio nazionale degli architetti (Cnappc) e il sistema ordinistico in generale, sta attivando gruppi operativi che si occuperanno di apportare modifiche sia all’articolato di legge che agli allegati.

Tempo fa, nella fase degli emendamenti, il sistema delle professioni si era già messo in moto chiedendo di inserire un allegato specifico che trattasse il tema dei concorsi, ma nulla è stato fatto. Ad oggi rimangono purtroppo piccoli margini, ma si può ancora agire.

Necessario riportare a due le fasi di concorso

Più nel dettaglio, il testo di legge dice che nella norma il concorso si svolge in un grado unico e salvo casi che lo richiedano, può essere attivato in due gradi. Di fatto la nostra più grande battaglia in questo momento è cominciare a invertire questo paradigma riportando le fasi di un concorso a due. Essenziale per noi che la prima fase del concorso sia “leggera” e inneschi più menti possibili dalle quali estrapolare quelli che si ingaggiano per il successivo approfondimento.

Un secondo elemento critico è che bisogna riportare nell’alveo della ragionevolezza il materiale da consegnare da parte dei partecipanti del concorso. Richiedere la consegna di un progetto di fattibilità tecnica ed economica, include la richiesta di documenti per la fase permissistica di verifica, tema delicato per l’ingaggio dei professionisti la cui attività diventa strettamente legata alle autorizzazioni.

Speriamo nella ragionevolezza delle interlocuzioni che avremo con il normatore, a rafforzare la nostra risolutezza, in particolare sul sostegno dell'Anac, un valido compagno di strada.

Nella peggiore delle ipotesi, se il testo rimanesse così diventerebbe una battaglia luogo per luogo, Rup per Rup, una battaglia più culturale, senza avere alle spalle un testo normativo che metta nero su bianco la possibilità che un’amministrazione pubblica lo possa usare come strumento. Sta nel sistema ordinistico attivare un’opera capillare e profonda di un cambiamento di mentalità.

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