Nuovo Codice Appalti: Gestione Informativa Digitale a due velocità tra domanda e attuazione dell'investimento pubblico
La nota si concentra sulle implicazioni della digitalizzazione, in particolare della gestione informativa digitale (GID), nel settore delle costruzioni con il nuovo Codice Appalti. Il testo evidenzia le sfide legate al cambiamento culturale e tecnologico (dal ruolo delle Big Tech o l'incognita per una futura Intelligenza Artificiale Generale), sottolineando il ruolo centrale del Responsabile Unico del Progetto nell'affrontare questa transizione.
Digitalizzazione nel nuovo Codice Appalti: gestione informativa digitale (GID), ruolo RUP e cultura organizzativa necessaria
Il contesto in cui la digitalizzazione si sta diffondendo nel settore dell’ambiente costruito, anzitutto tramite il Codice dei Contratti Pubblici, D. Lgs. 36/2023 (e s.m.i.), è, in senso ampio, in altri settori economici e, soprattutto, nella vita quotidiana, ormai maturo e fortemente critico, nel senso che se ne chiaramente intravedono i rischi e le minacce.
Dal ruolo esercitato dalle Big Tech entro il capitalismo digitale alle incognite per una futura Intelligenza Artificiale Generale, molteplici sono le criticità emerse: per il settore specifico, piuttosto arretrato quanto a consapevolezza sulla natura del dato, si pone oggi l’interrogativo se addentrarsi appieno nella logica digitale sino al rischio di farsi operare dai dati oppure se cercare di addomesticarne la valenza, circoscrivendo i dati stessi in un ambito analogico.
Detto altrimenti, si tratta di decidere se aderire a una logica aliena, per trarne benefici, solo a patto di comprenderla, ovvero se tentare di utilizzarne solo porzioni limitate entro un quadro noto: la doppia velocità a cui si allude nel titolo della nota.
Il che, da un lato, significherebbe travisare le potenzialità della trasformazione digitale, non essendo in grado di coglierne l’intima essenza, ma, dall’altro, consentirebbe forse di limitare un utilizzo superficiale dei dispositivi di semi automazione delle decisioni, di cui le tematiche relative ai modelli linguistici sono emblema.
La sfida che, dunque, si avanza riguarda proprio la capacità di governare tali processi senza banalizzarli ma, anche, senza esserne vittime.
È del tutto evidente, infatti, che le dinamiche della digitalizzazione stiano creando condizioni di deformazione delle logiche non solo economiche, ma anche politiche, tali da far temere esiti del tutto incontrollati e incontrollabili.
In teoria, un ruolo determinante per la crescita della cultura digitale sarebbe, secondo la legislazione, da assegnare alla domanda pubblica, soggetto della legge, nella funzione appaltante o concedente, vale a dire principalmente legata alla gestione dell’affidamento e dell’esecuzione del singolo contratto.
È, comunque, evidente che il versante della domanda, in particolare di quella pubblica, nella sua maggioranza, è attualmente quasi del tutto impreparato a esercitare il ruolo di determinante del cambiamento: anzi, si augurerebbe che taluni vincoli legislativi fossero differiti. D’altronde, il trasferimento alla decisione algoritmica dei poteri interesserebbe, ancor prima che alla committenza, pubblica o privata che sia, ai soggetti finanziari.
Porre, in effetti, in primo piano, anteporre, pertanto, il soggetto finanziatore o investitore al soggetto committente sarà imprescindibile, nella misura in cui le provviste finanziarie diverranno sempre più decisive e, al contempo, ad esempio nel settore immobiliare, la finanziarizzazione degli attori della promozione e dello sviluppo si svilupperà sempre più. Sotto questo profilo, potrebbe mutare anche la concezione del fine ultimo del prodotto immobiliare, se non addirittura di quello infrastrutturale.
La mitigazione del rischio non può che diventare la priorità per legittimare la digitalizzazione
Di conseguenza, la mitigazione del rischio non può che diventare la priorità per legittimare la digitalizzazione, ma il settore sarà sempre più assoggettato alle peculiari logiche del mondo della Finanza.
Come che sia, già all’interno del Codice, il tema della gestione informativa digitale, senza considerare quello complementare dell’approvvigionamento digitale, si gioca tra la dimensione dell’organizzazione, rappresentata dall’atto dell’organizzazione, dal dirigente competente e dal gestore dei flussi informativi (oltre che dal gestore dell’ambiente di condivisione dei dati) e quella dell’investimento, rappresentata dal capitolato informativo, dal responsabile unico del progetto e dal coordinatore dei flussi informativi.
Si ricordi, in più, che tutto l’assunto su cui si basa il progetto riformista per i Contratti Pubblici improntato alla digitalizzazione è fondato sul convincimento che una ottimale gestione dell’informazione non possa che beneficare la qualità della decisione., ma, in realtà, detto assunto, oltre a essere certo non automatico, deve considerare il fenomeno come socio-tecnico.
Come detto, e come si ribadirà, è palese, tuttavia, che il massimo obiettivo sotteso a questa equazione risieda nella semi-automazione dei processi decisionali, con le debite conseguenze relative alla riserva di umanità.
Certo: una simile ipotesi, l’unica autenticamente rinvenibile nella razionalità digitale, appare oggi assai peregrina, alla luce del livello di maturità, o meglio, di immaturità della domanda pubblica, intesa nella sua generalità, ma a essa non si potrà sfuggire.
Il ruolo del Responsabile Unico del Progetto in rapporto alla digitalizzazione
Di là della scadenza del 1° Gennaio 2025, prevista, in attesa del cosiddetto correttivo, dal Codice dei Contratti Pubblici in materia di gestione informativa digitale, senza trascurare l’ambito dei lavori privati e di quelli, comunque, non soggetti alla legislazione relativa ai lavori pubblici, vale la pena di avanzare alcune ulteriori riflessioni sul responsabile unico del progetto, anche in rapporto alla digitalizzazione.
Ora, mettendo da parte il limitativo e ambiguo acronimo BIM, su cui sarebbe meglio non insistere oltre, per prediligere la gestione informativa digitale, vi sono segni, da parte del mercato, invero più sul versante dell’offerta di dispositivi tecnologici che non della corrispondente domanda (ad esempio, a proposito dell’ambiente di condivisione dei dati), che finalmente l’attenzione si stia concentrando sul dato e sul suo valore.
Molti accenni a soluzioni per la cosiddetta Intelligenza Artificiale, rivelano, di fatto, una accresciuta consapevolezza sulla detenzione di elenchi di dati dotati di valore, dal punto di vista di un approccio statistico di natura probabilistica in termini predittivi. Il punto, tuttavia, è, anzitutto, che la transizione dal documento al dato appare problematica e certamente remota nel suo compimento.
Al contempo, però, la trasposizione del pensiero e dell’azione, ancora oggi essenzialmente analogica, al piano del dato pone questioni estremamente impegnative sul potenziale riduzionismo che essa possa implicare.
Non per nulla, come detto, il campo di applicazione di tale tema è la cosiddetta Intelligenza Artificiale, espressione quanto mai fuorviante, come tante altre (non solo BIM), che si basa su elaborazioni probabilistiche di serie di dati.
È inutile, infatti, nascondere che l’obiettivo che la ricerca scientifica nel settore della costruzione e dell’immobiliare si stia ponendo riguarda l’emancipazione dei contenuti informativi da supporto documentali e la loro piena operatività da parte degli algoritmi.
Ciò accade perché il fine consiste nel generare forme almeno di semi automatismo decisionale, per conferire maggiore efficienza ai processi e per ridurre l’apporto di risorse umane che, peraltro, molto spesso nell’ambito paiono difettare delle necessarie competenze.
Parimenti, un simile e controverso sforzo è paradossalmente ostacolato da una involontaria (o inconsapevole?) resistenza analogica esercitata dalla gran parte degli attori del mercato.
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