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Nuova 11104: "Superare i limiti prescrittivi con un approccio prestazionale"

In vista della scadenza sulle osservazioni riguardanti la UNI 11104, in inchiesta pubblica fino al 23 marzo, Michel Di Tommaso propone un modello prestazionale basato su prove sperimentali per garantire durabilità e sostenibilità, superando vincoli arbitrari su materiali e miscele. Leggi l'intervista integrale.

"Il concetto di K è totalmente sbagliato, una mera operazione commerciale"

Andrea Dari:
Quali sono i principali limiti dell’attuale approccio prescrittivo della UNI 11104 rispetto alle esigenze reali del settore del calcestruzzo?

Michel di Tommaso:

L’approccio prescrittivo si basa su un'esperienza decennale pregressa da cui derivare specifiche “sicure” per il comportamento futuro in esercizio. Lo sforzo odierno di innovazione a livello tecnologico nella filiera del calcestruzzo porta invece a sviluppare miscele, materiali e sistemi per i quali l’esperienza pregressa non esiste ma esistono solo le prestazioni raggiungibili e quantificate tramite sperimentazione. Quindi il passo necessario per permettere alle iniziative sostenibili di competere con il calcestruzzo convenzionale è quello di mettere tutte le opzioni sullo stesso piano prestazionale.

 

Andrea Dari:
In che modo l’adozione di un approccio prestazionale potrebbe migliorare la qualità e la durabilità del calcestruzzo utilizzato nelle costruzioni italiane?

Michel Di Tommaso:

Permetterebbe di usare soluzioni che massimizzino il contenuto di aggiunte minerali e/o che permettono di introdurre vere novità sotto il profilo tecnologico (miscele non convenzionali, additivi non convenzionali, additivi speciali). In effetti, tutti gli sforzi verso la sostenibilità del processo produttivo stanno anche convogliando, nella maggior parte dei casi, nello sviluppo di miscele a durabilità potenziata

  

Andrea Dari:
Come potrebbe essere rivisto il Prospetto 3 (relativo al valore di K) per andare oltre ai limiti prescrittivi su acqua/cemento e contenuto minimo di cemento, introducendo un percorso alternativo basato su prove sperimentali (ad esempio la “valutazione preliminare” di cui all’11.2.3 delle NTC 2018) che dimostrino l’equivalenza prestazionale?

Michel Di Tommaso:

Il concetto di K è totalmente sbagliato ed è una mera operazione commerciale/lobbistica dei grandi produttori per sfavorire l’uso di ceneri, loppa, silice usate separatamente insieme al cemento Portland. In questo modo chi compra cemento durevole lo deve comprare di miscela e quando lo fa, il suo K è 1.0 perché i cementi di miscela non hanno il concetto di K, sebbene contengano aggiunte minerali. La mia esperienza su mercati dove il K delle aggiunte è 1.0 (USA, Canada, Australia, Middle East, Sud America, Oceania, Africa) mi insegna che il K delle aggiunte è, come minimo, 1.0, visto che in molti casi il loro uso migliora sensibilmente molti parametri legati alla durabilità. Quindi non si dovrebbe fissare un K a priori ma si dovrebbe determinare per confronto con miscela con/senza aggiunte, ovvero in modo prestazionale.

  

Andrea Dari:
Quali prove e criteri di valutazione (resistenza alla carbonatazione, penetrazione di acqua, attacco da cloruri, prove di gelo/disgelo, ecc.) risulterebbero indispensabili per un approccio prestazionale affidabile, in alternativa o a integrazione dei requisiti di composizione (rapporto a/c, contenuto minimo di cemento, valore di K)?

Michel Di Tommaso:

L’Italia, come moltissimi stati Europei, dovrebbe dotarsi e rendere obbligatorie tutta un serie di prove di durabilità mirate a definire la classe di esposizione corretta per il calcestruzzo. Per ogni classe “critica” (XC2-4, XD2-3, XS2-3, XA2-3) ci dovrebbe essere una norma di prova ed i criteri NAZIONALI di valutazione. Accettare che un calcestruzzo sia “resistente al gelo” perché il produttore dichiara di farlo con aria occlusa è, per esempio, una sciocchezza, cosi come pensare che, siccome un calcestruzzo contiene loppa o ceneri, allora sarà resistente ai cloruri per 120 anni, etc.

 

Andrea Dari:
In che misura andrebbero riconsiderati i limiti massimi sul rapporto aggiunta/cemento (per ceneri volanti, fumi di silice, loppa d’altoforno, ecc.) quando dati sperimentali dimostrano prestazioni equivalenti o superiori ai calcestruzzi “convenzionali” definiti dalla norma?

Michel Di Tommaso:

I limiti massimi, una volta che si chieda la conferma sperimentale della prestazione, lasciano il tempo che trovano. In effetti, di solito, i limiti massimi sono limiti da non superare, ma nessuno vieta di andare sotto, o molto al di sotto di essi per raggiungere certe prestazioni.

  

Andrea Dari:
In che modo la norma potrebbe esplicitare meglio l’opzione prestazionale, ad esempio chiarendo la possibilità di adottare procedure di verifica alternative ai requisiti prescrittivi, ed evitando di trasmettere l’idea che la UNI 11104 sia vincolante in senso “impositivo”?

Michel Di Tommaso:

Esattamente come fatto, per esempio, dalla nuova versione (2024) della norma Svizzera SN EN 206-1, si introduce un intero capitolo dedicato alle regole per definire come dimostrare la prestazione equivalente.

  

Andrea Dari:
Come si dovrebbe riorganizzare il capitolo dedicato agli aggregati di riciclo, attualmente basato su percentuali massime di sostituzione, per allinearlo all’approccio prestazionale e permettere di dimostrare l’adeguatezza del materiale tramite prove e certificazioni specifiche?

Michel Di Tommaso:

Sempre per restare sul tema prestazionale non dovrebbero essere imposti limiti alla sostituzione fatto salvo che gli aggregati di riciclo rispettino una serie di parametri qualitativi che l’Italia dovrebbe imporre scegliendo tra le classi qualitative disponibili nella norma Europea EN 12620. Poi, una volta che un aggregato di riciclo passasse i requisiti minimi (che possono variare a seconda della classe di esposizione/resistenza prevista per il calcestruzzo), si potrà dimostrare fino a che % massima la sostituzione è possibile per avere una prestazione equivalente ad un calcestruzzo di riferimento.

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