Nozze di cristallo per il Testo Unico sulla Sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/08)
Emanato nell'ormai lontano 2008, l'evoluzione del Testo Unico in materia di sicurezza dei lavoratori ci offre lo spunto per una riflessione di più ampio respiro sui concetti stessi di "lavoro" e di "responsabilità".
15 anni di Testo Unico sulla Sicurezza: un bilancio controverso
A distanza di tre lustri e di numerose revisioni , il Testo Unico 81/08 costituisce ancora oggi un riferimento imprescindibile per quel che concerne i criteri che consentono ai professionisti del settore di analizzare, divulgare e - almeno in parte - contribuire a far evolvere il concetto stesso di sicurezza occupazionale al netto di numerose incongruenze e di non poche difficoltà pratiche derivanti, soprattutto, dal lento processo di mediazione tra la fonte giuridica e la quotidiana realtà sul campo.
Proporre un bilancio che sia, al contempo, una sintesi e una disamina atta a descrivere in modo efficace (quanto veritiero, si spera) l'esperienza di oltre quindici anni di norme , dibattiti istituzionali e controversie legislative non è né immediato né facile, specie se si tenta di schivare la più placida ovvietà o - peggio - l'insulsa retorica autoreferenziale fatta di vibranti appelli alle Istituzioni e di statistiche affastellate senza un criterio logico se non quello d'infervorare (o sedare) gli animi secondo la linea politica prediletta.
Più semplicemente, il costante invito a "parlare di sicurezza" che accompagna l'opinionismo social e da talk-show rischia sovente di tramutarsi nell'ennesima collezione di luoghi comuni a tal punto disancorati dall'esperienza concreta da tradursi in un vacuo riempitivo di maniera alla stregua di analoghi dibattiti su temi fondativi quali "giustizia" e "salute": argomenti solitamente proposti come universali, ma che difficilmente superano indenni gli scogli costituiti dalle convinzioni (e dai pregiudizi) individuali.
In breve, tratteggiare un ritratto fedele (o anche solo approssimativo) di questi anni elevando il tenore del discorso al di sopra della banale oleografia fatta di "estintori rossi e caschetti gialli" equivale, per complessità, a cercare di riassumere in quattro-cinque pagine scritte in buon italiano (l'aspirazione è quella, almeno) un viaggio di pari durata attraverso i cambiamenti economici e culturali non solo del nostro Paese, ma legati ad un contesto ancora più esteso che, almeno per onestà intellettuale, dovrebbe abbracciare la normativa comunitaria europea (sempre più intrecciata alla nostra legislazione nazionale) estendendosi sino agli standard internazionali di maggior rilievo (ISO 45001 in primis).
Questo, per porre in luce il primo cambiamento di paradigma che ha accompagnato l'evoluzione del Testo Unico, da successore designato della 626 a riferimento legislativo preminente, ma non più esclusivo, per quel che concerne la ricerca di equi criteri secondo cui tutelare non soltanto quel tanto auspicato diritto "alla salute, [...], alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana" già menzionato nella nostra Costituzione , ma anche quegli stessi capisaldi di un welfare condiviso che discendono proprio dal benessere lavorativo tout-court.
Perché parlare di sicurezza sul lavoro significa rivolgere l'attenzione non tanto agli aspetti giuridici e sanzionatori di un sistema-Paese che, nell'arco di questi stessi quindici anni, ha sostenuto la pressione incessante derivante da un perenne stato di crisi: significa anche comprendere come tutti questi fattori abbiano contribuito a cambiare il senso stesso della parola "lavoro" in un intreccio di problematiche ambientali e umane che, in ultima analisi, sono il frutto di un progressivo, sostanziale mutamento della concezione individuale dei concetti di responsabilità sociale e professionale.
Se negli anni '60 del secolo scorso − l'epoca d'oro dell'industrializzazione italiana promossa dall'IRI − la comunità poteva accettare disagi e sacrifici per lasciarsi alle spalle le privazioni vissute durante la guerra, nel lungo periodo − in particolare, negli ultimi decenni, con l'avvicendamento generazionale − si è preso atto che questo scambio (la perdita di "qualità di vita" a fronte di un migliore "tenore di vita") non è più accettabile né dal punto di vista etico né sotto l'aspetto tecnologico-produttivo. Tutto questo ha segnato la sorte di molte grandi realtà produttive in tutta Italia (Terni, Piombino, Taranto ecc.), ma − soprattutto − ha rinfocolato il dibattito in merito ai limiti che l'attività lavorativa può (e deve) avere nei confronti della salute dei lavoratori e della collettività in genere.
La transizione tecnologica
Fatta questa premessa, vale la pena di ridurre gli interrogativi all'essenziale per chiedersi:
«Dopo tre lustri dall'emanazione del TU 81/08, siamo più "sicuri"? I letterali fiumi d'inchiostro (reale e digitale) versati a questo riguardo, ci sono valsi almeno quel benessere minimo da cui muoveva l'intento del Legislatore?»
Ancora una volta, la risposta non è immediata e, per lo più, ci porta a constatare come l'evoluzione dei mezzi di lavoro sotto il profilo tecnico-funzionale, abbia ridotto alcuni profili di rischio, salvo introdurne di nuovi in egual misura problematici.
Grattando appena con l'unghia la superficie di una certa comunicazione patinata e tutta tesa ad esaltare in modo piuttosto monocorde i frutti legati allo sviluppo delle nuove tecnologie, è facile constatare come l'attenzione del sistema-Paese si focalizzi su due traguardi tutt'altro che innovativi, ma − semmai − figli di un taylorismo rimesso a nuovo per l'occasione: la sostituzione dei lavoratori attraverso una robotizzazione portata, ove possibile, ai massimi livelli (ed ecco che si prospettano le cosiddette "dark factories": impianti produttivi in cui si presume che non sia presente forza-lavoro umana e, pertanto, tenuti al buio per ottimizzare ulteriormente il consumo energetico), ovvero − in altri contesti − la vigilanza via via sempre più puntuale dei lavoratori stessi (es. mediante tag indossabili o videocamere di monitoraggio gestite dalla IA) in una sovrapposizione via via sempre più indistinta (e talvolta inappropriata ) dei concetti di sicurezza (safety) e di sorveglianza (security) nel difficoltoso sforzo di gestire e proteggere, innanzitutto, il patrimonio di informazioni che il nuovo assetto dell'impresa stessa genera, scambia e, sovente, lascia del tutto inutilizzato in assenza di una strategia data-driven coerente.
Al netto di alcuni primi, lodevoli tentativi di proporre delle linee-guida pensate per mantenere sul giusto binario etico il processo di digitalizzazione e remotizzazione delle attività lavorative, la sensazione di chi si confronta direttamente coi protagonisti di questa transizione (progettisti, sistemisti e, ovviamente, professionisti della sicurezza) è che il mercato si vada sostanzialmente polarizzando secondo una tendenza che porterà solo una quota-parte delle imprese ad accedere in modo consapevole alle tecnologie espressamente abilitanti in un'ottica affine all'attuale adattando, ossia "avvolgendo" i luoghi di lavoro attorno alle risorse di nuova generazione, col rischio preminente di risultare via via sempre meno flessibili: in breve, sempre meno a misura d'uomo.
Si accodano a questo approccio i produttori di impianti in ambito B2B, nominalmente focalizzati su un modello di servitizzazione d'avanguardia che il mercato stenta a recepire, ma che si rivela − in molti casi − ridotto ad un concetto di facciata assimilabile ad un leasing di lungo termine e basato sulla malintesa ambizione di poter tramutare il macchinario in una scatola nera di cui l'azienda acquirente non conosca nulla tranne le funzioni di input e quelle di output, tralasciando del tutto il profilo di responsabilità occupazionale (e umana) che rimane in capo alle figure di garanzia all'interno dell'impresa stessa sia in termini di procedure e coordinamento delle attività, sia per quanto concerne le eventuali interferenze col sistema "ospite" in ambito emergenziale.
A rimanere tagliate fuori dalle maglie di questa transizione (in toto o, comunque, secondo dinamiche ibride) ecco le innumerevoli micro-imprese e le piccole attività di taglio familiare: loro continuano a navigare a vista, in un'alternanza di standard dettata da committenti e appaltatori che decidono, molto spesso unilateralmente, il ritmo con cui acquisire nuove competenze in ambito IoT.
Sin dagli anni '80 del secolo scorso, il mantra della "riqualificazione del capitale umano" accompagna ciascuna fase della moderna rivoluzione industriale, ma in pochi entrano nel dettaglio sino a contemplare un'evenienza di base sin troppo spesso sottaciuta: ossia, che le abilità individuali non sono intercambiabili né scalabili al passo degli aggiornamenti software senza che ciò comporti una radicale dequalificazione delle singole mansioni , ovvero l'isolamento di una porzione crescente di soggetti marginalizzati dal processo di ricollocamento in seno ai grandi gruppi, a riprova che − per quanto si possa credere altrimenti − le malattie professionali per eccellenza nel XXI saranno, a buon diritto, il "tecnostress" e l'isolamento.
E se il forte traino derivante dalla richiesta di potenza di calcolo per gestire la mole di dati generata dall'interconnessione dei sistemi evoluti detta il ritmo frenetico di espansione delle infrastrutture − al netto di una condizione di digital-divide che affligge ancora una quota non trascurabile di Comuni italiani − lo stesso non si può dire per la normativa, destinata ad un eterno gioco di rimessa rispetto all'innovazione .
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Sicurezza
Gli approfondimenti e le news riguardanti il tema della sicurezza intesa sia come strutturale, antincendio, sul lavoro, ambientale, informatica, ecc.
Sicurezza Lavoro
La "Sicurezza sul Lavoro" comprende tutte le misure, le procedure e le normative destinate a proteggere la salute e l'integrità fisica e psicologica dei lavoratori durante l'esercizio delle loro attività professionali. La sicurezza sul lavoro è regolamentata dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 noto anche come Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (TUSL).
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