Normazione tecnica e sicurezza reale del costruito: la vera sfida è andare oltre
GIOVANNI CARDINALE, vice Presidente del CNI, ci parla del rapporto tra norme, calcolo, progetto e responsabilità
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Circolare illustrativa delle NTC 2018 chiude, quasi totalmente, una stagione normativa di grande intensità che, nell’arco di quasi un decennio, ha visto la discussione e la pubblicazione in gazzetta ufficiale, dei decreti inerenti la classificazione del rischio sismico e le nuove norme tecniche, e della circolare illustrativa delle norme stesse.
Ho detto “quasi totalmente” perchè manca ancora il testo inerente la revisione degli Annessi Tecnici Nazionali agli Eurocodici e perchè, soprattutto, è in atto un grande lavoro per la scrittura di un “testo unico delle Costruzioni” che, negli obbiettivi e nelle speranze dello specifico tavolo tecnico istituito presso il MIT, dovrebbe sostituire l’attuale DPR 380/01, ormai obsoleto in molte parti.
Una stagione molto importante che, a chi come me ha avuto il privilegio di poterla vivere dall’interno delle varie commissioni relatrici/redattrici, previste dalle procedure di legge, ha dato una conoscenza diretta delle tante eccellenze presenti in tutte le componenti che, con ruoli istituzionali, hanno partecipato ai lavori (ministeri, regioni, Università, centri di ricerca, produttori, costruttori, tecnici, professionisti..) e della responsabilità che tutti hanno messo in questi lunghi anni di lavoro.-
Per il sistema ordinistico, per il CNI, per la Rete delle professioni tecniche, tutt’ora fortemente e con grande coesione impegnata nel nuovo testo unico per le costruzioni, è stata la stagione della partecipazione, del confronto, della crescita, della piena legittimazione, dell’integrazione con i centri decisionali, dell’essere il mezzo con cui tanti tecnici ,operanti nel settore a vario titolo, hanno potuto concretamente incidere sulle scelte finali.
Gli Ordini, per esempio, hanno dato prova di grandissima maturità quando non hanno avanzato alcuna richiesta di proroga o di lunghi periodi transitori per l’utilizzo delle nuove norme che, anzi, hanno fortemente voluto immediatamente operative.
Il dibattito ed i giudizi su questa stagione, come è naturale che sia, hanno caratteri diversi ed anche opposti, ma alcuni risultati sono lì a dimostrare, concretamente, la capacità del sistema di cogliere la complessità e trasferire in norma molte delle esperienze e delle innovazioni del settore; solo per ricordare alcuni aspetti decisamente nuovi:
- una maggiore attenzione al concetto di rischio
- un testo normativo che sancisce la specificità della costruzione esistente
- la volontà, attraverso la classificazione del rischio sismico, di contribuire in modo tanto forte quanto concreto alle politiche di prevenzione
Il dibattito culturale ha travalicato i confini delle aule didattiche, dell’Università o della formazione permanente, ed è finalmente approdato alla società, ai singoli cittadini.
Basti pensare, da questo punto di vista, al successo dell’iniziativa “diamoci una scossa” che CNI, CNPPAC, FONDAZIONE INARCASSA hanno promosso e sostenuto proprio per parlare alla gente e diffondere l’importanza della diagnostica, della conoscenza, della prevenzione.
Ecco, tra i segni distintivi di questa stagione, c’è stata certamente la volontà di fare sistema (Ordini, Università, Ministeri, Regioni, Costruttori ecc.) e di parlare con voce unitaria alla società ed ai media interessati , questi ultimi, più alla ricerca del colpevole che non alla diffusione dei concetti sopra richiamati.
Le immancabili critiche, a mio avviso, devono essere inquadrate nel processo epistemologico alla Popper (Congetture e confutazioni) che vede una teoria affermarsi quanto più essa sa rispondere ai dubbi che vengono posti; personalmente le ho sempre accettate e lette con l’attenzione e l’umiltà dovute.
Abbiamo quindi raggiunto il traguardo finale? Io penso di non ma ho l’intima consapevolezza che questa stagione abbia reso possibile immaginare altre strade ed altri approcci per cogliere la complessità e coniugarla con la sostenibilità di un vero piano nazionale di prevenzione.
Evitare di dare a tutto sempre e solo una risposta normativa
Certo, dobbiamo uscire dalla pericolosa tentazione, che a volte leggo qua e là nei tanti contributi sul tema, di cadere nel mantra della ripetizione ossessiva delle parole “sicurezza, tutela, prevenzione, cura...” e, soprattutto, dalla ancora più pericolosa tentazione di dare a tutto sempre e solo una risposta normativa.
L’uscita della Circolare, per esempio ha avuto reazioni diverse; alcune, per me incomprensibili, quasi indirizzate a ritenere che finalmente avevamo un nuovo testo normativo, più avanzato.
Il merito maggiore di questa Circolare, scritta quasi in parallelo con l’iter di approvazione delle norme che seguì il parere favorevole dell’Assemblea del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del novembre 2014, è la sua attenzione a colmare il vuoto di “ciò che la norma non dice e non vieta”, e la responsabilità nell’indirizzare parti potenzialmente critiche della norma verso interpretazioni più aderenti alla realtà del “progettare” e del “costruire” oltre che del “costruito”.
Ora però, a mio avviso, è necessario andare oltre perchè dal dibattito spesso vedo uscire l’idea che sarà ancora il calcolo a darci tutte le risposte che servono a garantire un serio processo di prevenzione; magari calcoli sempre più complessi, resi possibili solo da algoritmi e modellazioni iper-sofisticate.
Un rapido sguardo ai tanti eventi formativi che Ordini, Fiere, manifestazioni culturali e commerciali in genere, per non parlare del web e dei tanti portali, dà immediatamente conto di un forte aumento della presentazione dei software, unico strumento per fare quelle analisi sempre più sofisticate.
E qui la circolare, invece, dice parole chiare e forti in quella introduzione che, rappresentando la novità maggiore di questo testo, mette nel giusto rapporto diagnosi, conoscenza, analisi, modello, calcoli e “progetto”.
Le immagini della città dell’Aquila, della sua periferia, dei tanti comuni devastati dal terremoto, come le immagini delle fabbriche crollate in Emilia o quelle dei più recenti eventi del centro Italia, scorrono via veloci e sono utilizzate in contesti diversi e con finalità diverse.
Nel vedere quelle immagini, io, rafforzo la mia convinzione che non si possa continuare a “violentare” edifici modesti, di piccole dimensioni in pianta ed in alzato, con tessiture murarie incerte e neanche omogenee nella stesso paramento, attraverso modelli di calcolo avanzati di cui tutti conosciamo tanto la potenza quanto i limiti e, tra questi, l’assoluta forte sensibilità degli stessi ai dati di input.
Evitare la supremazia del calcolo sul progetto
Continuare su questa strada vorrebbe dire credere alla supremazia del calcolo sul progetto, del modello virtuale sulla realtà del costruito, affidando la sicurezza delle persone alla illusorietà del valore di qualche decimale.
La stagione delle norme ci consegna una maturità tecnica, scientifica e professionale; ci consegna una forte diffusione di formazione specifica e ci rende pronti per un passaggio davvero innovativo teso ad eliminare, tra le altre cose, i veri limiti della norma:
- l’assenza di gradualità e proporzionalità
- la assoluta cogenza tanto dei principi generali quanto delle parti di dettaglio.
Lo scenario normativo, infatti, è unico per l’infinita gamma di situazioni reali e, soprattutto, impone la stessa complessità nell’approccio ad ogni caso reale.
Quelle piccole, modeste costruzioni, dell’Abruzzo, del centro Italia e di tutta l’Italia, in tempo di pace, come in emergenza, se vogliamo davvero percorrere la strada della prevenzione, non hanno bisogno di calcoli avanzati ma solo di poter essere lette anche attraverso la libertà e responsabilità, del progettista, di praticare altre scelte, oltre a quella del rispetto della norma; per esempio:
- essere ricostruite ex novo
- essere oggetto di interventi semplici, tratti dalle tante pratiche sperimentate, attuabili senza l’obbligo di rispondere alle specificità del dettato normativo e, per la parte sismica, senza troppi calcoli complessi.
Il tema del “com’era dov’era” è un tema che va oltre il limiti della tecnica ed approda a fatti sociali, sociologici, umani, economici; non voglio trattarlo in modo superficiale; dico solo, con ferma convinzione, che non possa esserci ricostruzione e/o prevenzione sostenibile senza eliminazione di obblighi imposti da standard ( es, DM 1444/68) pensati in altri tempi e con altri scopi.
Gradualità e proporzionalità rendono una norma tecnica più sostenibile proprio attraverso la possibilità di operare, nei casi semplici, e sempre a valle di una fase diagnostica e di rispetto delle prestazioni statiche, con metodi molto più legati al progetto ed al costruire che non al calcolo; metodi che possono utilizzare, e modulare sul caso di specie, le tante buone pratiche che dal terremoto del Friuli in poi arricchiscono la nostra conoscenza, e sono state anche testate dagli eventi sismici successivi.
Sismica: l'importanza della Prevenzione
L’abito della “prevenzione” non può continuare ad essere l’abito dei convegni e della cultura e, meno che mai, l’abito da indossare nel giorno del lutto.
Deve essere l’abito permanente di una comunità fatta di gente comune, specialisti, ricercatori, costruttori, amministratori, autorità, ecc. che fa i conti con la consapevolezza del rischio e cerca di ridurlo utilizzando nei modi sostenibili nelle diverse occasioni.
Una comunità che fa i conti con la sostenibilità economica e che propone soluzioni adeguate, condivise, e valutate in una seria analisi benefici-costi; costi e benefici tecnici, sociali, economici.
La stagione che abbiamo davanti deve essere la stagione delle norme volontarie, della vera centralità ed originalità del progetto, della responsabilità di tutti gli attori del processo edilizio; norme volontarie, cogenti magari sul piano dei contratti, ma non su quello della legge penale; norme volontarie che operano a valle di poche, chiare e non interpretabili , norme cogenti per tutti quegli aspetti di sicurezza che solo lo Stato deve determinare.
Le cose peggiori che questa stagione mi ha regalato sono le parole dei tanti colleghi, in grande maggioranza giovani, che, scontenti di un rapporto non simmetrico con il sistema delle autorizzazioni sismiche, e spaventati dalle tante pronunce di una magistratura che parla un altro linguaggio, vogliono, al contrario, norme sempre più cogenti e sempre più dettagliate, della serie “dimmi come si deve fare”.
Certo, non possiamo immaginare questo futuro senza eliminare le troppe situazioni in cui una lettura molto particolare della norma fatta dai magistrati mette tutti nella condizione di dover rispettare in modo acritico ed ultra conservativo ogni riga della norma, nella speranza di ottenere almeno il consenso del magistrato di turno, prima ancora della sicurezza reale.
Il professionista consapevole e competente, così come il dirigente o funzionario pubblico, non possono essere esposti ad incertezze da sentenze incerte loro stesse nelle premesse e negli esiti, spesso sostenute da consulenze tecniche che di tutte le aleatorietà del progettare e del costruire, pour presenti nelle norme, fanno giustizia sommaria.
L’intervento sul costruito, anche quando si potessero finalmente utilizzare protocolli già sperimentati, nell’accezione che ho sopra indicato, richiede sempre un approccio sartoriale, fatto di conoscenza, competenza, creatività, confronto tra le tante ipotesi di lavoro, sintesi e scelta finale, cioè, in una parola, “progetto”.
Un patto nella Società per la Prevenzione
La cosa che più serve ad un reale piano di prevenzione è un patto nella società; un patto perchè le politiche di prevenzione non siano il terreno dello scontro tra partiti ma rappresentino l’impegno della continuità di chiunque si alterni al governo nazionale o locale; un patto perchè competenze reali, magari certificate, sostituiscano l’espressione di un titolo senza contenuti; un patto in cui magistrati, tecnici, costruttori, amministratori , parlino un linguaggio comune; un patto che renda tutti consapevoli del significato del rischio; un patto che, anche con riferimento ai beni storici e monumentali, sappia parlare col linguaggio del rischio e sappia coniugare tutela e sicurezza.
Un patto nella società perché le analisi benefici-costi non forniscono dati e letture oggettive ma solo ipotesi e strade praticabili perché sostenibili; strade che certo aumentano la sicurezza reale del costruito senza certificarla attraverso l’obbligo del raggiungimento di traguardi non sostenibili.
Senza tutto questo immagini ed anniversari continueranno ad essere la tragedia di chi in quei luoghi viveva o deve continuare a vivere, o deve lasciarli, l’occasione di momentanee adesioni politiche e culturali, il terreno dove ognuno potrà esprimere le proprie convinzioni tecniche e le proprie critiche ad una logica normativa che si vorrebbe, magari, solo sostituire con un’altra norma improntata, però, alle stesse finalità impositive a valle delle quali c’è e ci sarà sempre e solo la ricerca del Colpevole.
Le norme, diceva Franco Levi “sono come la lingua di Esopo, la migliore e la peggiore delle cose”; la risposta non può e non deve essere normativa ma culturale e sociale e deve portare a condividere consapevolezze dei rischi, dei traguardi, delle vittorie e delle sconfitte,.-
Non posso certo impegnare il CNI e tantomeno il sistema degli Ordini in questa visione; posso solo continuare a mettere su questa strada tutto il mio impegno per le finalità espresse.