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Monastero di S.Fermo, Verona: come lo studio della documentazione postbellica ha supportato la verifica sismica

Grazie allo studio documentale, ai rilievi in sito e alla diagnostica strutturale è stato possibile risalire ai materiali, alle tecniche e agli interventi effettuati sull'edificio storico risalente al X secolo e danneggiato nella Seconda Guerra mondiale. Da queste informazioni è stato poi possibile fare un'analisi strutturale.

Il complesso dell'ex monastero di San Fermo Maggiore a Verona è un sistema di chiostri contigui.

Il primo nucleo monastico sulle sponde del fiume Adige è legato alla presenza benedettina probabilmente a partire dal 996. Con le trasformazioni operate dai Minori Francescani a partire dal 1261 l'insediamento monastico si espanse. La trasformazione del Convento per l'inserimento di uffici governativi inizia nel 1807 e si protrae in più fasi fino al 1937.
Durante la Seconda Guerra Mondiale il complesso venne pesantemente danneggiato dai bombardamenti. La ricostruzione avvenne in più lotti e durò fino agli anni '70. Successivamente si verificarono altre modifiche per adeguarsi alle esigenze della nuova destinazione d'uso come sede della Soprintendenza di Verona.

L'articolo presenta una campagna di studi sugli interventi del dopoguerra, effettuata sulla documentazione di cantiere disponibile presso l'archivio cittadino. Sono stati realizzati almeno 13 lotti, dei quali si sono analizzati tutti i documenti contabili.

Successivamente le informazioni ricavate dai documenti sono state verificate sull'edificio con sopralluoghi e piccoli saggi. Sono stati eseguiti rilievi geometrici laser scanner e rilievi strutturali.

Tutti i risultati sono stati utilizzati per definire la campagna diagnostica delle strutture. Particolare attenzione è stata posta nello studio dell'inserimento dei telai in cemento armato all'interno della struttura originaria in muratura di pietra.
Lo studio ha rivelato che le tecniche di costruzione tradizionali sono rimaste una pratica comune durante i 30 anni di ricostruzione e si sono adattate all'introduzione di nuovi materiali a base di cemento.

Infine, è stata effettuata l'analisi strutturale con i risultati ottenuti dagli studi sopra indicati.

  

Da Monastero a Soprintendenza

Verona è una città storica, abitata fin dai tempi dei romani e tuttora un importante centro economico del nord Italia. Il complesso architettonico di San Fermo Maggiore è situato nel settore orientale del nucleo urbano antico di Verona ed è un sistema di chiostri contigui: è costituito dalla chiesa e dal complesso ex conventuale, organizzato attorno a tre chiostri. L'edificio sorge su un terreno pianeggiante a breve distanza dalla sponda del fiume Adige, nei pressi di Ponte Navi, importante ponte urbano.

Attualmente la chiesa e il chiostro più settentrionale ospitano la Parrocchia di San Fermo Maggiore, mentre gli altri due chiostri grandi sono la sede della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, che è l'ente responsabile della tutela del patrimonio culturale del territorio.

Il complesso monastico di San Fermo Maggiore fu edificato in più periodi storici a partire dal X secolo: il primo nucleo fu fondato dall'ordine benedettino probabilmente a partire dall'anno 996 e venne trasformato sotto la gestione dei frati minori francescani a partire dal 1261. Essi ampliarono l'insediamento secondo le fasi costruttive della chiesa, adattandolo alle trasformazioni della città e alle diverse forme di rapporto con le sponde del fiume.

Dopo la caduta della Repubblica di Venezia e la soppressione del convento per decreto napoleonico, nel 1807 iniziò la trasformazione del complesso edilizio sotto il dominio austriaco, che divenne sede di una caserma e di vari uffici governativi. Le modifiche alla tipologia conventuale per l'inserimento degli uffici governativi interessarono in più fasi l'intero complesso fino al 1937.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, il complesso architettonico subì gravi danni in seguito al bombardamento della città del 23 febbraio 1943 e alla violenta esplosione successiva a quella del vicino Ponte Navi, nella notte del 25 aprile 1945, quando le truppe tedesche in ritirata fecero saltare tutti i ponti sull'Adige. In quell'occasione i tetti e le pareti sommitali crollarono compromettendo anche le strutture sottostanti, rendendo gli edifici completamente inagibili.

Nel 1952, su iniziativa del Soprintendente Pietro Gazzola, il Demanio affidò la parte pubblica del complesso al Ministero della Pubblica Istruzione, avviando l'istituzione degli Uffici della Soprintendenza ai Monumenti. Furono inoltre stipulati accordi con la Parrocchia di San Fermo, proprietaria di una porzione del complesso, per definirne la proprietà di alcuni settori.

Gli interventi di ricostruzione e restauro delle parti crollate si sono svolti in più fasi e sono stati curati direttamente dal Genio Civile, con finanziamenti pubblici stanziati dai ministeri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici.

I lavori furono suddivisi in stralci e lotti funzionali, che facevano riferimento ad una stima generale di recupero dai danni di guerra per un importo di lire 98 milioni. Gli stralci dei lavori (otto in totale) sono stati finanziati dal Ministero dei Lavori Pubblici e sono serviti a recuperare le strutture danneggiate, mentre i lotti funzionali (almeno cinque) sono serviti per adeguare gli spazi a nuovi servizi e uffici, nonché dotarli di moderne reti tecnologiche. I lotti di lavoro procedevano parallelamente agli stralci e le risorse economiche utilizzate provenivano dal Ministero della Pubblica Istruzione.
I lavori terminarono nel 1967 e il complesso architettonico di San Fermo divenne sede della Soprintendenza ai Monumenti per le Province di Verona, Mantova e Cremona, divenuta poi Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza. Negli anni '80 alcuni locali furono occupati dalla Soprintendenza Archeologica per il Veneto - Nucleo Operativo di Verona.

Oggi, dopo le recenti riforme ministeriali (di cui al DPCM 171/2014 e DM 44/2016) che hanno portato all'unificazione delle Soprintendenze territoriali, l'intero complesso è occupato dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza.

  

Il contesto dello studio

Questo studio nasce dall’impegno del Governo Italiano (Ministero della Cultura) nel salvaguardare e tutelare il patrimonio storico-artistico e architettonico nazionale dai danni provocati da eventi sismici, mettendo a disposizione ingenti risorse economiche per realizzare interventi volti a ridurre la vulnerabilità degli edifici, al fine di evitare i danni, spesso irreversibili, registrati negli anni passati.

Sono stati stanziati importanti finanziamenti e la Soprintendenza di Verona ha avviato un percorso di conoscenza e analisi sulla sua sede storica, coordinando un gruppo di lavoro comprendente professionisti interni e professionisti esterni altamente specializzati. Responsabile del procedimento è l'architetto Silvia Dandria, che ha coordinato il team e dato indicazioni. L'architetto Massimo Donisi ha coordinato le ricerche storiche, l'ingegnere Elena Manzoni ha coordinato gli studi e le analisi strutturali, con il supporto del collega Emilio Costanzo.

Tale studio rappresenta la base per la redazione di una specifica scheda tecnica (ai sensi dell'articolo 16 del DM 154/2017), strumento per descrivere le caratteristiche, le tecniche esecutive e lo stato di conservazione del bene culturale su cui è necessario intervenire, nonché per segnalare eventuali variazioni dovute a precedenti interventi, al fine di dare un quadro esaustivo delle caratteristiche del bene e fornire indicazioni generali sugli interventi previsti e sulle metodologie da applicare.

 

Studi documentali

La Soprintendenza ha innanzitutto commissionato il rilievo geometrico laser scanner dell'intero complesso per ottenere una base grafica aggiornata che tenga conto della complessità dell'edificio e delle sue peculiarità costruttive.

Un primo livello di ricerca ha previsto la ricerca delle fonti pubblicate note [1] [2] [3] [4] [5], con particolare attenzione a quelle incentrate sulla conoscenza storico-costruttiva del complesso architettonico, al fine di delineare un primo quadro conoscitivo, utile come base per le ricerche d'archivio più impegnative.

Sono stati poi consultati tre archivi: l'Archivio della Soprintendenza, l'Archivio di Stato di Verona e l'archivio privato di Piero Gazzola, il Soprintendente che diresse i lavori di ricostruzione.

La ricerca nei primi due archivi è stata particolarmente fruttuosa, perché è stato possibile conoscere l'evoluzione delle tecniche costruttive durante le diverse fasi edilizie, ma anche il dibattito culturale alla base delle scelte architettoniche, oltre alle vicissitudini finanziarie e amministrative.

Il fondo archivistico più interessante, conservato presso l'Archivio di Stato di Verona, sebbene non ancora inventariato, è risultato essere quello del Genio Civile - Danni di Guerra, anche se molte informazioni utili sono state recuperate anche da altri fondi.

I documenti dell'Archivio della Soprintendenza hanno confermato quanto visto nell'Archivio di Stato e hanno consentito di approfondire il dibattito socioculturale e le scelte progettuali, prima e durante le fasi lavorative.

Le ricerche hanno confermato che le opere erano suddivise in stralci e lotti funzionali, che si riferivano ad una stima generale di recupero dai danni di guerra per un importo di 98 milioni di lire. Gli otto stralci, finanziati dal Ministero dei Lavori Pubblici, sono serviti a recuperare le strutture danneggiate, mentre i cinque lotti funzionali sono serviti ad adeguare gli spazi alla nuova destinazione ad uffici, nonché a dotarli di moderne tecnologie.

 

Figura 1 - Vedute aeree: a sinistra l'immagine attuale, a destra dei primi anni '50 del XX secolo.
Figura 1 - Vedute aeree: a sinistra l'immagine attuale, a destra dei primi anni '50 del XX secolo.

  

Figura 2 - Foto dei chiostri nel dopoguerra: a sinistra i chiostri settentrionale, occidentale e la chiesa, a destra il chiostro orientale
Figura 2 - Foto dei chiostri nel dopoguerra: a sinistra i chiostri settentrionale, occidentale e la chiesa, a destra il chiostro orientale (Fonte: Archivio di Stato di Verona)

   

Figura 3 - Un esempio di documenti contabili con quantità e disegno
Figura 3 - Un esempio di documenti contabili con quantità e disegno (Fonte: Archivio di Stato di Verona)

 

Foto, disegni e documenti contabili sono stati ritrovati e studiati. Da queste informazioni è stato possibile realizzare una mappa dei materiali, delle tecniche e degli interventi effettuati nella ricostruzione post-seconda guerra mondiale.

  

Figura 4 - Mappa dei lotti e degli interventi
Figura 4 - Mappa dei lotti e degli interventi

  

Sono stati poi consultati gli studi più recenti sulle strutture del complesso architettonico e le relative campagne diagnostiche. [6] [7] [8].

  

Identificazione strutturale

Al tempo della guerra gli edifici del complesso erano realizzati in muratura di pietra grezza o di ciottoli, rivestiti con mattoni cotti e legati con malta di calce. Fa eccezione la parte confinante con la chiesa e rivolta verso piazza San Fermo, dove erano, e sono tuttora, presenti strutture con grandi blocchi di pietra. In alcune zone erano presenti muri in cotto e malta di calce, che in alcuni punti sono ancora in opera, ma possiamo ipotizzare che questa tecnica fosse riservata ad archi o punti particolarmente sottoposti a sollecitazioni.

I colonnati dei chiostri avevano colonne in pietra che sono ancora al loro posto, anche se "consolidate", secondo i documenti di cantiere, anche se oggi non è chiaro quali operazioni furono eseguite.

Gli orizzontamenti dei chiostri avevano volte a crociera in mattoni e malta di calce e sono giunti fino a noi, anche se in “consolidati” o ricostruiti. Molti orizzontamenti erano in legno.

Dopo gli studi documentali, i rilievi in sito e la diagnostica strutturale, è stato possibile individuare la struttura del complesso, i materiali utilizzati, la loro geometria e il loro stato di conservazione in termini globali e ricostruire la storia materiale dell'edificio.

Con la ricostruzione postbellica, tutte le strutture orizzontali furono sostituite con solai laterocementizi, con cordoli perimetrali in cemento armato, che attraversano lo spessore del muro nei muri ricostruiti, o solo monolaterali laddove rimangono i muri precedenti. Dai documenti non risulta chiaro se i solai fossero rinforzati con armature.

I tetti erano realizzati in mattoni e lastre di cemento o legno.

Sono rimaste le strutture verticali decorate, ovvero i muri perimetrali dei chiostri, che mostrano ancora alcuni antichi affreschi.

Negli altri punti il loro destino è stato variabile, ma le tecniche utilizzate nei 30 anni di cantieri successivi possono essere riassunte nelle seguenti tipologie:

  • murature originali in pietra e cotto, intonacate con malta cementizia, ripristinate con cuciscuci e malta cementizia, talvolta anche rivestite con tavelle o materiale laterizio di varia natura;
  • nuova muratura mista in pietra e mattoni cotti, legata con malta cementizia;
  • muratura nuova in mattoni e malta di calce;
  • nuova muratura in mattoni e malta cementizia.

Il dosaggio della quantità di cemento nelle malte e la dimensione della pietra varia nel tempo.

Tali tecniche sono distribuite nel complesso in modo disomogeneo, a seconda della permanenza della muratura originaria dopo i bombardamenti. Per le nuove murature sembra leggibile una sorta di criterio gerarchico, che vede l'utilizzo di murature miste nelle murature meno portanti e di mattoni in quelle a cui è riservato un carico statico maggiore. I nuovi muri possono essere anche alti, anche se non particolarmente snelli, e sono intervallati da cordoli in cemento armato, in corrispondenza dei livelli superiori e talvolta intermedi. La stessa parete in muratura può essere realizzata con tecniche diverse nel suo sviluppo verticale, anche nello stesso spazio interpiano.

In alcune zone sono stati realizzati telai in cemento armato per sostituire i muri di spina assenti o per regolarizzare geometrie non ortogonali o per nuove volumetrie.

Gli architravi sono sempre presenti, possono essere realizzati in c.a. oppure muratura e calcestruzzo gettato in opera o con elementi prefabbricati.

Le opere del dopoguerra sono espressione di un momento storico peculiare, in cui si avvertiva la povertà di risorse necessarie a ricostruire un'intera Nazione, non si rinunciava alla fiducia nei nuovi materiali, che si sperimentavano in nuove forme e usi, rafforzati dalle nuove metodi di calcolo. Il benessere economico immediatamente successivo diede poi impulso alla ricerca, anche formale, di soluzioni grandiose e moderne che si prestassero a rappresentare l'istituzione che aveva sede in quei luoghi e un Paese che finalmente si spingeva a realizzare le opere del designer e produttori italiani oltre i confini nazionali.

Dopo la ricostruzione furono eseguiti numerosi interventi. Di alcuni abbiamo tracce ben documentate, ma furono effettuati altri interventi di cui abbiamo solo documentazione frammentaria.

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