Moderni sistemi resinosi protettivi per l’industria
Questi sistemi vengono utilizzati fin dagli anni ’70 nel settore industriale e si sono evoluti di pari passo con le maggiori esigenze e prestazioni richieste in tale ambito. Oggi garantiscono elevati standard qualitativi, ma la ricerca non si ferma mai.
I sistemi resinosi per la protezione delle superfici cementizie, soprattutto pavimentazioni, vengono utilizzati fin dagli anni ’70 nel settore industriale e si sono evoluti di pari passo con le maggiori esigenze e prestazioni richieste in tale ambito. Oggi garantiscono elevati standard qualitativi, ma la ricerca non si ferma mai. Ma in quale direzione?
Sviluppare per stupire
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”, così diceva il replicante Roy al blade runner Rick Deckard in un celeberrimo film cult del 1982. Il senso dello stupore la fa da padrone anche in un ipotetico futuro distopico, così come ai nostri giorni, in cui siamo alla perenne ricerca della scintilla che accenda il nostro interesse e meriti la nostra attenzione.
I produttori di sistemi resinosi per la protezione delle superfici cementizie di strutture industriali non sono da meno. I loro laboratori di R&D sono in perenne e fervida attività per sviluppare nuovi prodotti e nuovi sistemi, più efficienti e rispondenti alle normative, oltre che adeguati alle esigenze sempre più severe in tema di sicurezza e igiene dell’industria moderna. Non c’è produttore cui non piacerebbe affermare “ti propongo un sistema che non ti puoi neanche immaginare…”.
Lo sviluppo non ha mai fine
I sistemi resinosi protettivi sono per una buona fetta del loro business dedicati alle pavimentazioni, perlopiù in calcestruzzo, seguita dalla protezione delle superfici verticali di pareti e pilastri, canaline di raccolta reflui, soffitti, bacini di contenimento, eccetera.
Apparsi negli anni ’70, difficile dare una data precisa, nei decenni seguenti si è avuto un proliferare di prodotti e sistemi caratterizzati dalle prestazioni più varie. Da durissimi ad altamente elastici, da lisci a ruvidissimi, da isolanti a elettricamente conduttivi, impermeabili, igienici, sicuri, chimico resistenti, e chi più ne ha più ne metta.
Nell’ultimo decennio non ci sono stati sviluppi importanti in termini di sistemi resinosi capaci di esplorare nuovi orizzonti e soddisfare esigenze prima irrisolte. La ricerca si è molto dedicata anche alle nuove prospettive e opportunità di mercato offerte dal settore del terziario e dal mondo del sistema resinoso decorativo, dove gli spazi per “inventare e stupire” sono ancora molto ampi.
Ciò nonostante, il settore per il mondo industriale non si è mai fermato. Si sviluppano continuamente prodotti un po’ più performanti del precedente o se ne semplificano i costi mantenendo inalterate le proprietà. La ricerca non è infatti solo sfogo di fantasia e abilità chimica, ma deve abbinare il risultato finale a una fattibilità commerciale; un nuovo prodotto deve avere anche una sua logica di prezzo di mercato, proporzionata alle prestazioni e alle effettiva richiesta.
Per stare al passo coi tempi
Ma il vero motore che spinge e fa girare la ricerca è la tutela dell’ambiente e della salute di chi utilizzerà il prodotto, sia in fase di applicazione sia una volta indurito e in esercizio. Stiamo evolvendo verso una società e un mercato con una giusta dose di antropocentrismo, sempre più attenti ad argomenti quali la sostenibilità, l’impatto ambientale, la sicurezza personale, la salute. Sono temi cari ai sistemi resinosi dedicati ai settori del terziario e del residenziale, ma che fanno leva anche sulle soluzioni proposte in molti ambiti industriali.
I materiali prodotti, utilizzati e commercializzati all’interno dell’Unione Europea sono soggetti al REACH, un regolamento concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, incluse tutte le materie prime necessarie ai prodotti in questione. Tradotto in soldoni, esiste un elenco di sostanze chimiche il cui utilizzo è, ai fini pratici e su larga scala, vietato.
L’introduzione del regolamento nel 2006 portò alla modifica sostanziale di molti prodotti allora in commercio, che utilizzavano materie prime che si trovarono a essere bollate come pericolose. L’elenco è inoltre in continuo aggiornamento, per cui anche in tempi successivi ci si è trovati ad affrontare lo stesso problema. Vedi il caso del nonilfenolo, sostanza che veniva utilizzata nelle resine epossidiche, o in modo analogo anche per l’isocianato libero, che era spesso presente nei prodotti poliuretanici.
Modificare un prodotto non è sempre semplice. Sostituire una materia prima con un’altra più rispondente alle nuove disposizioni di salvaguardia della salute e sicurezza può rivelarsi semplice o complicato, lo sanno bene i chimici che lavorano nei laboratori di ricerca e sviluppo. Una piccola modifica può portare a sostanziali differenze nel prodotto finito, che è quello che si vorrebbe evitare. Ma il cammino, per quanto difficile a volte possa essere, porta sempre dritto alla meta desiderata.
Meglio non rilasciare…
I prodotti non devono essere sicuri solo per chi li manipola allo stato liquido e avere un basso impatto ambientale in fase di produzione, applicazione e utilizzo, nodo principale della sostenibilità ambientale, ma devono anche garantire che una volta in opera e completato il loro processo di indurimento non rilascino nell’ambiente sostanze nocive alla salute o ai beni prodotti e manipolati.
Devono avere cioè una bassa emissione di cosiddetti VOC (Volatile Organic Compounds, ossia Componenti Organici Volatili).
Se questo tema è tanto caro ai sistemi utilizzati in ambito residenziale e del terziario, non va dimenticato che alcuni settori industriali, oltre che per la tutela della salute dei propri operatori che dovrebbe essere un argomento di validità universale, il controllo della quantità e qualità dei VOC è importantissimo per le delicatissime produzioni che vi possono svolgere.
È il caso delle camere bianche nelle industrie elettroniche, ottiche, sanitarie, farmaceutiche, ma anche alimentari laddove si svolge il confezionamento.
Per tali settori sono stati sviluppati materiali caratterizzati da bassissime emissioni di VOC, sia per le pavimentazioni che per tutte le altre superfici.
Tali sistemi resinosi hanno inoltre la proprietà di rilasciare pochissime microparticelle quando vengo sottoposti a frizione, ad esempio quando ci si cammina sopra. Le particelle microscopiche, in sospensione nell’aria, potrebbero non essere compatibili con la produzione dei beni, ad esempio possono essere di dimensione così infinitesimali da interferire con i circuiti microscopici dei microchip nelle aziende elettroniche, o essere un luogo perfetto per il proliferare di batteri in ambienti in cui si fa confezionamento di farmaci o beni alimentari.
Negli ultimi anni sono stati sviluppati prodotti e sistemi resinosi che soddisfano anche le esigenze più severe di igiene e purezza dell’aria nelle camere bianche in accordo alla normativa ISO 14644. L’emissione “zero assoluto” non esiste, e non può esistere, ma ci siamo andati molto vicino.
L’evoluzione che non si vede
Quindi, se fossimo Roy, potremmo dire di aver visto sforzi immensi di formulatori di prodotti finiti e di produttori di materie prime, per offrire materiali sempre più sicuri e sostenibili senza compromettere le prestazioni finali. Il risultato, però, non è strabiliante a memoria delle future generazioni, perché non è visibile ai nostri occhi. Lo sforzo che ha coinvolti tutti i produttori non si manifesta con roboanti eventi galattici, ma è quotidianamente sotto il nostro naso, è proprio il caso di dirlo, anche se non ne siamo consapevoli.
E con l’occasione chiedo umilmente scusa a Ridley Scott e a Philip. K. Dick per aver rovinato la reputazione ai loro personaggi.
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