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Miscele cementizie: imitare, riprodurre e potenziare con il biossido di titanio

Questo lavoro si prefigge di tracciare un percorso evolutivo sulle origini delle applicazioni del biossido di titanio nelle miscele cementizie, che nel 2000 guadagnano l’attributo di tecnologie smart. Obiettivo è la comprensione delle azioni autopulenti e antinquinanti, mutuate da meccanismi strutturati su scala nanometrica esistenti in natura. Imitare, riprodurre e potenziare sono gli step che gestiscono l’approccio della ricerca su questi temi, in cui la Natura è insegnante.

C’era una prima volta … la chiesa di Meier a Roma

Nell’interazione con le nanoparticelle di biossido di titanio, le miscele cementizie guadagnano l’accesso al dominio dei materiali intelligenti. La storia è scritta da strategie pubblicitarie che hanno contribuito ad innescare una fase di conoscenza su una nanotecnologia promettente, mentre si diffondono le immagini della mela che si conserva più a lungo nel sacchetto contenente biossido di titanio esposto alla luce. Ma la Storia con S maiuscola segnava una svolta nel campo del costruire con il calcestruzzo autopulente e antinquinante della Chiesa Dives in Misericordia, progettata da Richard Meier nel 1996 e realizzata nella periferia di Roma nel 20031 (Fig. 1).

Una doppia sfida, dunque! La prima più orientata al sociale, in cui la “casa di Pietro” si fa carico del tipico impegno ecologico nelle periferie delle grandi città. La seconda, invece, diretta alla materializzazione della perfezione dell’istituzione divina, attraverso un bianco che promette di rimanere sempre brillante. La scelta del bianco che non si sporca non si limita ad essere una semplice scelta linguistica, ma una richiesta all’innovazione tecnologica di rigenerare il progetto del calcestruzzo alla scala nanometrica. In tal modo, la vecchia pietra artificiale accede, contemporaneamente, sia nel campo delle tecnologie sostenibili che di quelle smart.2 Eppure, questo primato tutto italiano svanisce prima ancora dell’ultimazione della chiesa, il cui progetto viene completato solo nel 2003. Infatti, nel 2001 si inaugura la Cité de la Musique e des Beaux Arts di Chambéry, il cui cantiere ha preso avvio nel 1999. Molte sono le opere francesi che seguono nel giro di pochi anni, ponendo un punto fermo nel panorama europeo, a cominciare dall’Hotel de Police a Bordeaux, alla Maison Laffitte a Ilot Mermoz, fino all’ampliamento della Sede Air France dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi e altre. La Francia guadagna un primato rispetto a sporadiche realizzazioni nel resto dell’Europa.

 

Nanoparticelle di biossido di titanio, con dimensioni variabili dai 5 ai 30 nanometri, si aggiungono nel cemento in percentuali del 5-10% e tutte le miscele cementizie che lo contengono, calcestruzzi, pitture e intonaci, pur conservando l’aspetto esteriore, riescono ad attivare azioni di self-cleaning e anti-pollution, replicando meccanismi esistenti in natura e potenziandoli.

 

Chiesa Dives in Misericordia di Richard Meier
Figura 1 – La chiesa Dives in Misericordia di Richard Meier, Roma, 2003. a) esterno; b) interno; c) dettaglio vele in calcestruzzo autopulente e antinquinante. (© Gigliola Ausiello)

 

Sempre un passo avanti … i giapponesi

La paternità si attribuisce al chimico giapponese Akuira Fujishima, professore emerito dell’Università di Tokyo, che, nel 1967, durante il dottorato di ricerca, sotto la supervisione del professor Kenichi Honda, scopriva le proprietà autopulenti del biossido di titanio. Ma, soltanto nel corso degli anni Novanta, dopo almeno un ventennio di studi sulla fotocatalisi, le sperimentazioni si concentrano su un pigmento nanometrico, da impiegare, per le sue caratteristiche fisiche e chimiche, come complemento nella polvere di cementi 3. Ne consegue che i calcestruzzi e tutti i rivestimenti cementizi, pitture e intonaci, contenenti nanoparticelle di biossido di titanio, assumono un comportamento attivo nell’efficienza prestazionale,4 che ha reso possibile il guadagno dell’attributo “intelligente”.

Le reazioni fotochimiche, attivate dalla luce, avvengono alla scala nanometrica e quindi sfuggono alla percezione dell’occhio umano. Il pigmento bianco più prodotto al mondo, tra l’altro con ridotte emissioni di sostanze inquinanti, si ricava dall’anatasio, minerale in forma cristallina metastabile e quindi incline ad attivare reazioni fotochimiche, se irradiato dalla radiazione solare.

Ma il vero inizio della Storia dell’utilizzo del biossido di titanio in edilizia non è più tanto la scoperta dei professori giapponesi, quanto la svolta innescata dalla prima eccezionale realizzazione romana che segna, con la nuova architettura di Meier, un punto di partenza importante, per il dinamismo che entra nelle architetture e per le nanotecnologie che, con la piccola scala, assecondano azioni e movimenti al di là della percezione umana.

 

Un’azione fotochimica mutuata dalla natura: l’autopulizia

L’innovativo effetto autopulente è indotto dalle nanoparticelle di biossido di titanio che, riescono a riprodurre il meccanismo naturale con cui le foglie di loto si autopuliscono, conservandosi sempre lucenti. La luce solare rende attiva la materia stessa del costruire, per connotarla di una reale valenza ecosostenibile.5

La “mutevolezza” entra nella materia e si consolida al suo interno per rafforzarla caratterialmente, a vantaggio del guadagno prestazionale variabile nel tempo, in base al mutare di un fattore esterno quale la luce. In questo modo, si offre al concetto di mutevolezza un nuovo grado di libertà, in misura tale da guadagnare comportamenti dinamici alla scala nanometrica. Ma variabilità prestazionale nel tempo, innescata da un impulso esterno come la luce, significa “intelligenza”, valore aggiunto nel tessuto materico, destinato a introdurre azioni dinamiche nei materiali e nelle tecnologie, sottendendo comportamenti virtuosi e, al contempo, cambiamenti non visibili a occhio nudo. Il dinamismo, come per tante nanotecnologie, si lega prevalentemente a reazioni chimiche, indotte da stimoli esterni, che avvengono a una scala impercettibile all’occhio umano.

 

Tra purezza e pulizia

La capacità di "autopulizia" è denominata "effetto loto", in relazione al comportamento naturale delle foglie di questa pianta che, immerse in acque fangose, si presentano sempre lucide e pulite. Il meccanismo è indotto dalla presenza di nanoparticelle naturali a rilievo, che definiscono la superficie della foglia e impediscono alle gocce d’acqua di distendersi. La goccia rimane sollevata poggiando soltanto su minutissime setole, poi scorre sulla superficie individuata da queste, rotolando e conservando la sua forma quasi sferica. In questo moto trascina con sé polveri e insetti, che in tal modo vengono naturalmente rimossi.

La struttura nanometrica è costituita da materiale composito, formato da cellule convesse di dimensioni variabili da 120 a 130 nm e rivestimento ceroso a bassa energia superficiale, che insiste su una struttura micrometrica di dimensioni variabili da 1 a 10 μm, creando in tal modo sostegni piuttosto alti. Questo insieme di appoggi così slanciati caratterizza una superficie superidrofobica esemplare, su cui si fondano moltissimi studi sull’autopulizia, sia recenti che datati. Tuttavia, macroscopicamente la superficie si presenta liscia e lucida. La rimozione costante dello sporco, limitando l’ostruzione degli stomi, agevola la penetrazione della radiazione solare che, attraverso la fotosintesi, garantisce migliori condizioni di vita alla pianta (Fig. 2).

 

Imitare la natura: ecco come un film di biossido di titanio rende le superfici edilizie autopulenti
Figura 2 – a) Foglie e fiori di loto: esterno; b) effetto loto; c) dettaglio superficie superidrofobica della foglia di loto. (© Gigliola Ausiello)

 

Non sarà un caso che il bel fiore di questa pianta è simbolo della purezza fin dall'antichità e, pertanto, possiede valenze religiose per gli induisti e i buddisti che lo considerano un fiore sacro.6

La superidrofobicità delle foglie di loto7 funge, da vari anni, da modello per sperimentare il comportamento che il biossido di titanio, semiconduttore a basso costo, attivato dalla luce, riesce a riprodurre sulle superfici costruite, rendendole capaci di impedire il ristagno di particelle e polveri che sono rimosse dalle gocce d’acqua.

La denominazione "effetto loto", diviene “effetto Honda-Fujishima”, dopo gli studi dei due chimici giapponesi. Nel caso del biossido di titanio, l’azione fotochimica indotta dal biossido di titanio, per quanto attiene la capacità di essere autopulente della superficie irradiata dalla luce, si traduce nella modificazione alla scala nanometrica della “rugosità” della superficie stessa. La formazione di un sottile film di biossido di titanio è responsabile di una trasformazione con cui la superficie raggiunge condizioni di superidrofobicità, che hanno inizio dopo trenta minuti di esposizione alla luce e terminano dopo circa due ore. Alla scala nanometrica, la ruvidezza della superficie assume proporzioni tali da poter garantire alle gocce d’acqua di poggiare solo sulle escrescenze della superficie stessa, lasciando al di sotto un micro-cuscino d’aria.8 Con la cessazione dell’irraggiamento si ripristinano gradualmente le condizioni iniziali e la superficie perde la nanoruvidezza acquisita. La variabilità prestazionale, che presiede al comportamento “intelligente”, è data dall’alternanza tra due proprietà della superficie, corrispondenti a condizioni di buio e di luce, che rendono i materiali autopulenti.

 

Tra micro e nano: la natura che costruisce (a due piani)

Le caratteristiche di superidrofobicità delle superfici di alcune foglie di piante e di pelle di animali sono garantite da una struttura gerarchica, formata da almeno due classi, dimensionalmente diverse. La ruvidezza che ne consegue è, in effetti, una “costruzione a due livelli”, formata da una prima serie di protuberanze a rilievo misurabili alla scala micrometrica, sulla quale insiste una seconda sequenza di escrescenze, anch’esse a rilievo, di dimensioni nanometriche. Ciascuna di queste famiglie di sporgenze presenta rapporti dimensionali in cui tende a prevalere l’altezza, ma, essendo ordinate su due livelli, nell’insieme costituiscono dei sostegni piuttosto slanciati. Si ottiene, in tal modo, un “castello” strutturale di sporgenze nanometriche, non percepibile a occhio nudo, su cui far poggiare le gocce d’acqua, in modo da lasciare uno strato d’aria che impedisca il contatto diretto tra gocce d’acqua e superficie sottostante. La struttura gerarchica micro e nano aumenta notevolmente la superficie solida, rendendola molto convessa, ma, al contempo, limita significativamente la superficie di contatto tra acqua e sporgenze terminali nanometriche. Ne consegue una superficie superidrofobica, che teme l’acqua in quanto l’aria resta intrappolata e limita il contatto diretto tra acqua e superficie.

Dalla relazione delle tre fasi diverse in gioco, solida, liquida e gassosa, si ottiene un angolo di contatto θ tra acqua e superficie che, se compreso tra 90° e 180°, individua una superficie idrofobica (Fig. 3d). Se l’angolo θ è maggiore di 150°, la ruvidezza è ancora maggiore nanometricamente e l’effetto trappola dell’aria è anch’esso maggiore, caratterizzando una superficie superidrofobica. Fig. 3b). In questi casi, il meccanismo di autopulizia, naturale o indotto artificialmente, è basato sul principio di impedire o limitare il contatto con l’acqua, che non poggia sulla superficie solida e porta via, durante il suo transito sulla superficie stessa, le particelle di sporco e i detriti presenti. Lo spessore maggiore della lama d’aria agevola il transito della goccia, in quanto l’attrito tra acqua e aria è molto minore, rispetto a un contatto diretto tra acqua e superficie. La goccia d’acqua tende, in questo caso, ad assumere una forma sferica che ne agevola il moto di scorrimento.

Imitare la natura: ecco come un film di biossido di titanio rende le superfici edilizie idrofobiche
Figura 3 – a) superficie superidrofilica; b) superficie superidrofobica; c) superficie idrofilica d) superficie idrofobica. (© Gigliola Ausiello)

 

Altri due sono i parametri che governano l’autopulizia delle superfici superidrofobiche. Il primo è la differenza tra gli angoli di contatto in avanzamento e in ritirata (Фa - Фr), che nasce da un’asimmetria della goccia d’acqua sulla superficie9. Le proporzioni della struttura gerarchica a rilievo sono tali da far perdere alla goccia la sua forma quasi sferica. La goccia di deforma e, pur restando sollevata con lo strato d’aria intrappolata, tende a aderire alle estremità dei rilievi nanometrici (Fig. 4) Questo fenomeno è tipico della rosa, dei girasoli e dei fiori della clivia (Fig. 5).

Imitare la natura: ecco come un film di biossido di titanio rende le superfici edilizie idrofobiche
Figura 4 – La goccia d’acqua con angoli di contatto in avanzamento (Фa) e in ritirata (Фr). (© Gigliola Ausiello)

 

L’altro parametro è l’angolo minimo di inclinazione della superficie, affinché la goccia possa rotolare verso il basso.10 Se l'angolo di contatto è superiore a 150° e l'angolo di scorrimento è inferiore a 10°, le gocce d'acqua scivoleranno efficacemente sulla superficie insieme alla polvere.

La perfezione della foglia di loto si coglie attraverso i valori dei due parametri che gestiscono l’interfaccia superficie-aria-acqua: l'angolo di contatto statico θ che varia da 165 a 170°, mentre la differenza tra gli angoli di contatto in avanzamento e in ritirata è pari a 3.

 

Imitare la natura: ecco come un film di biossido di titanio rende le superfici edilizie idrofobiche
Figura 5 – Superfici superidrofobiche: la goccia d’acqua è a rilievo: a) rosa; b) girasole; c) clivia. (© Gigliola Ausiello)

 

Il dinamismo della goccia d’acqua sulle superfici idrofobiche e superidrofobiche individua due condizioni diverse, ciascuna delle quali ha una sua stabilità e quindi è termodinamicamente favorevole. Quando la goccia d’acqua raggiunge la pressione limite, collassa tra i rilievi della struttura gerarchica, in quanto non sono più sufficientemente alti e fitti, la goccia d’acqua si deforma, lo strato d’aria viene a mancare e si ottiene il pieno contatto con la superficie solida. Sono dunque, le caratteristiche della superficie a differenziare i comportamenti con due relazioni diverse rispetto alla tensione superficiale dell’acqua.

La transizione di bagnatura viene replicata dalla presenza del biossido di titanio che, attraverso reazioni fotochimiche, indotte dall’irraggiamento solare, cambia le caratteristiche di bagnatura delle superfici e le modifica da idrofobiche in superidrofobiche,11 creando le condizioni per un’azione di autopulizia più vantaggiosa energeticamente.

L’angolo θ, che definisce la bagnabilità della superficie, nella sua escursione tra 0° e 90°, invece, individua le superfici idrofiliche (Fig. 3c), che amano l’acqua, ma quando l’angolo di contatto è minore di 5° le superfici sono superidrofiliche (Fig 3a).

In questi casi, il meccanismo di autopulizia è diverso, in quanto l’acqua si distende agevolmente sulla superficie solida e molto velocemente. Poi, insinuandosi al di sotto di eventuali particelle di sporco o detriti, ne consente la rimozione di grandi quantità, con un’azione tagliante come quella di una spatola. Esempi di bagnabilità elevata sono alcune piante carnivore, il vetro e l’acciaio.

 

Natura docet

Ma la meraviglia insita in questo inizio è che si imita la natura, pienamente in linea con la logica di Leonardo, in un’accezione di natura come maestra, celebrata da Leonardo con l’espressione “inventare non significa altro che saper riprodurre"12.

[...] CONTINUA LA LETTURA NEL PDF IN ALLEGATO

 

Cosa scoprirai proseguendo la lettura

Un viaggio affascinante tra natura e innovazione: il testo ti guiderà attraverso l’evoluzione delle superfici autopulenti e antinquinanti ispirate ai meccanismi naturali. Dalle foglie di loto alle piume d’anatra, passando per petali di rosa e superfici animali, scoprirai come la natura abbia da sempre sperimentato soluzioni avanzate per l’autopulizia, ben prima che la scienza ne cogliesse l’essenza.

Potrai approfondire sul ruolo del biossido di titanio, elemento chiave nella riproduzione di questi fenomeni in ambito edilizio, e la sua capacità di attivare processi fotocatalitici in grado di ridurre l’inquinamento atmosferico. Vedrai come queste scoperte si siano concretizzate in materiali intelligenti, capaci di coniugare estetica, funzionalità e sostenibilità.

Infine, una riflessione sull’attuale sfida della durabilità di queste tecnologie nel tempo e sulle nuove frontiere della ricerca per preservarne l’efficacia. Un racconto che unisce natura, scienza, architettura e visione del futuro.

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