MILANO DESIGN WEEK: suggestione di pace
Tra le luci, i colori e i messaggi della Milano Design Week, Piero Torretta ci guida in una riflessione potente: l’arte non è solo bellezza, ma coscienza. Le installazioni parlano di guerra e di pace, di speranza e resistenza. Un editoriale che scuote e invita a ripensare la politica, la cultura e il nostro ruolo di cittadini.
“Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà inattesa, improvvisa proprio quando il potere si illuderà di aver vinto“
Giordano Bruno febbraio 1600 ( poche ore prima della esecuzione).
Lo scorso anno ci chiedevamo Chi sarebbe stato in grado di rimettere in sesto un mondo uscito dai cardini.
L’osservazione della realtà ci dice oggi che la soluzione, anziché avvicinarsi, si allontana.
La preoccupazione di una esplosione dei conflitti non si è attenuata.
Nonostante le promesse di chi cercava il consenso promettendo soluzioni “ad horas”, sembrano e sono lontane la Pace in Ucraina e a Gaza dove, con sistematicità <brutale>, si sono ripresentate atrocità anche nella Domenica delle Palme.
Strategie militari a scopo di distruzione ed occupazione dei territori non hanno né sosta, né argine efficace. Anche l’indignazione delle nostre coscienze sembra dissolversi nella indifferenza.
Così torna alla mente il pensiero di Dietrich Bonhoeffer - condannato ed impiccato nel 1945 dai nazisti -: “Il silenzio di fronte al male è male in sé stesso”.
Siamo ancora alle parole, abusate e troppo spesso male usate.
La politica, ovunque, sembra aver scelto la strada della paura. E a far paura, concorrono anche i <nuovi Guru> che balzano dagli affari alla politica, per poi tornare agli affari quando la politica fa cose che non gli aggradano. Così come i nuovi politici <emergenti> che fanno del disprezzo dell’avversario, la loro logica e della bassa considerazione sulla intelligenza delle persone, la loro targa.
Sulla stampa di questi giorni un commentatore solitamente arguto, dichiarava sconcerto di fronte al grido ed all’invocazione della piazza “fuori la guerra dalla storia”, definendolo un obiettivo di portata “evangelica”. Un problema, a suo dire, impossibile da risolvere, come abolire la povertà, cancellare la corruzione, raggiungere l’eguaglianza.
Certo nessuno si illude.
Sappiamo quanto sia difficile, spesso aldilà dell’impossibile. Ma è un auspicio in buona compagnia, come lo sono lo zero infortuni sul lavoro, lo zero morti sulle strade, l’abolizione della pena di morte, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione.
Lo sappiamo, ma nessuna persona di <buona volontà e senso civico> (almeno lo spero) mette in dubbio i principi e i valori Costituzionali che a tali obiettivi ambiscono.
“Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto” diceva Oscar Wilde.
Per questo tentare è l’impegno, riuscire è la speranza.
Io, come tutti quelli della mia generazione, siamo figli della Pace. Nel nostro Paese l’abbiamo coltivata e praticata per più di settant’anni. Un dono incommensurabile dei nostri Padri, dei nostri Nonni che hanno vissuto e patito i drammi delle dolorose guerre della prima parte del Novecento. Una testimonianza spesso silenziosa per il dolore che portava con sé. Ma una memoria che è un patrimonio ancora superiore al benessere materiale che la loro fatica ci ha garantito.
Grazie a loro abbiamo potuto anche coltivare l’illusione della musica che ha accompagnato la nostra gioventù. Musica come quella dei Giganti: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni perché non vogliamo mai nel cielo molecole malate, ma note musicali che formano gli accordi per una ballata di pace, di pace, di pace”.
Musica che accompagnava le parole poetiche di John Lennon: “Immaginate non vi sia nulla per cui uccidere o morire, immaginate tutta la gente che vive la vita in pace“.
Musica come quella di Gianni Morandi che malinconicamente cantava: “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, girava il mondo ma poi finì a fare la guerra in Vietnam. Ra ta ta ta, ra ta ta ta ta ta.
****
La scorsa settimana, come tutti gli anni, Milano - città sempre più attrattiva che però oggi vive le tribolazioni di un successo che alimenta la divaricazione sociale - ha accolto la moltitudine di visitatori per la Week Design. Una popolazione curiosa, colta, eccentrica (in alcuni casi anche ipocrita), alla ricerca di stimoli, di relazioni, di suggestioni (spesso anche solo di gadget) a cui i protagonisti del design, dell’arte, della architettura sono sempre ben felici di rispondere con le loro <suggestioni> e l’industria - mecenate, anche se legittimamente interessata - ben disposta a sostenere.
Alcuni l’hanno criticata ritenendola Disneyland del turismo.
Molteplici sono stati però gli stimoli per chi voleva riflettere su temi della tragica attualità. Ad iniziare dalla installazione <Città Paradiso> di Mario Cucinella nel cortile del Corriere della Sera, in cui ”gigantesche bolle bianche simboleggiano le idee che ci girano per la testa”, ne introducevano efficacemente lo spirito.
All’Orto Botanico di Brera due installazioni hanno trattato il tema della Guerra e della Pace.
La prima è di Marco Balich, “lo Strettone”: un corridoio di ferro e legno che simula una trincea di guerra. Il passaggio è obbligato, lento e nella semioscurità si è sommersi, avvolti, dal rumore delle mitragliatrici, dal rimbombo delle bombe, dallo stridere delle sirene. Suoni che riproducono le condizione di vita della guerra pensati per suscitare disagio, anche in chi la guerra non l’ha mai vissuta.(“Dulcis inexpertis bellum”)[1].
Alla fine dello Strettone ti accoglieva la scritta “Peace is a Choice” ed un simbolico <albero di ulivo con le luci dell’arcobaleno>. Sui muri laterali numerose insegne luminose, in lingue e grafie diverse, sovrastavano il messaggio IT MEANS PEACE per invocare la PACE. Un messaggio inequivoco di tranquillità che <incoraggia ad osare e a non perdere la speranza> con la consapevolezza che la Pace dipende anche da Noi, dalla nostra capacità di non far dissolvere l’indignazione nella indifferenza (Il silenzio di fronte al male) In fondo, nel magnifico giardino dell’Orto Botanico rigoglioso di colori e di profumi, svettavano <bandiere di guerra> come a segnare una <terra conquistata>. “WAR FLAGS” una installazione ideata da Philippe Stark per denunciare le violenze in atto nel <nuovo ordine mondiale in cui le guerre sono un affare affidato anche ad aziende private, Korporation che sono dedite alla promozione dell’odio nel mondo>.
Un invito, una esortazione, a prendere posizione verso una <distopia> che giorno dopo giorno da <sospesa> sta diventando <realtà>.
“Nobody Owns the Land” è il messaggio dell’architetto coreano Byoung Soo Cho la cui installazione occupava il cortile seicentesco di Palazzo Litta. Una superficie di terra rossa da percorrere a piedi nudi per il rispetto che la terra, ogni terra, merita. La terra è un “bene comune“ da salvaguardare, non da depredare, sulla terra ci si incontra, alla terra si appartiene, non la si possiede. Un messaggio che invoca il rispetto di tutti, ma anche un messaggio contro chi per la conquista della terra, per lo spostamento di un confine, per l’estrazione della materia, per l’occupazione esclusiva dello spazio e la sottomissione delle persone che la occupano, ancora oggi non esita a fare la guerra bombardando ospedali e lanciando missili sulle città, facendo della distruzione la missione della loro vita.
“Graffiti di luce” è l’installazione del designer Luca Trezzi collocata nel Chiostro Bramantesco e nella Sacrestia di Santa Maria delle Grazie. Un gioco di luci e strutture luminose che riprendono l’elemento di un graffito di fiori del Bramante conservato nell’intonaco del Chiostro. L’abbinamento con il patrimonio storico ed architettonico di un monumento i cui locali ospitano <l’Ultima cena di Leonardo> (uno dei tanti segni del suo rapporto con la città), è uno sprazzo di luce e di speranza sul disagio dell’umanità verso cui i potenti del mondo, non solo sono indifferenti, ma purtroppo ignoranti.
Una installazione profetica nella settimana che precede la Settimana Santa.
Design Week come ogni anno travalica gli aspetti commerciali e si colloca nella realtà. Un Expo permanente della Città che mette in mostra i suoi <gioielli monumentali> abbinati alla creatività ed al pensiero della contemporaneità.
Questo è il suo fascino ed i suoi protagonisti affiancano il <commercio dei prodotti e delle tendenze> con il pensiero, l’animo, le attese delle persone per la <bellezza della idea>.
Il contributo della <Città> al pensiero critico, non si ferma al limitato tempo del <Design Expo>,
Negli stessi giorni come in abbinamento al tema <Mondi Connessi> dell’evento 2025, a Palazzo Reale Nico Vascellari propone una installazione (presente sino a giugno) con un messaggio ancora più forte sulla marginalizzazione dell’uomo che pratica la guerra nell’illusione della pace.
<Pastorale>[2] è la sua opera collocata nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, uno spazio già di per sé, emblematica memoria del <potere distruttivo della guerra>.
Una scultura “meccatronica“ di forma cilindrica si impone nel mezzo di una coltre di terreno che copre il pavimento della grande sala. Alle persone, agli esseri umani, è riservato uno stretto corridoio che gira intorno: un ruolo da spettatori.
All’improvviso, con una frequenza regolare, dal profondo si muove un rumore sordo che cresce sino a deflagrare in una esplosione che si accompagna alla liberazione di minuscole particelle composte da semi e sementi floreali; un bombardamento di microorganismi che si diffondono nella sala e ricadono nella terra posta sul pavimento per germogliare e crescere.
Un atto liberatorio che è manifestazione di una <forza creatrice e simultaneamente distruttrice>. Una <volontà di potenza e volontà di vivere> che si afferma in tutte le forme della natura. L’atto della disseminazione imprime un gesto che incalza e sprona la rinascita non solo della natura, ma del linguaggio della creazione, del fare e del nascere.
E l’uomo?
Cammina ai bordi con un ruolo marginale. Assiste ma è escluso, sostituito nel nuovo <vitalismo> dalla macchina, dalla protervia di un progresso tecnologico che ci sta portando a distruggere la centralità dell’uomo e a dissolvere il suo dominio. Un uomo assente dall’auspicato percorso di ritorno alla natura la cui <forza di vita> è superiore ad ogni altra potenza scientifica, tecnologica, culturale.
La vita è sacra solo se proviamo a viverla e non a subirla passivamente sotto i segni della guerra e della violenza.
“Nonostante tutto la natura ancora fa sempre il suo corso” è la suggestione della installazione di Vascellari.
Ma l’uomo dove sta?
Dove sta se dimentica la poesia, se dimentica il potere della parola, se trascura il messaggio fastidioso e infestante dell’arte.
Un arte che va al di là della estetica, della bellezza esteriore, della immediatezza visiva, della struttura armoniosa, del suo valore commerciale, del suo possesso materiale, della sua permanenza nel tempo. “L’opera d’arte provoca un urto, scuote, chi la contempla”[3]
È questo il contributo alla riflessione che l’arte di <Design Week> ci vuole dare, la sua sollecitazione alla formazione del pensiero critico, alla nostra capacità di osservare, ascoltare, leggere, fare e farsi domande.
<La chiamata alle arti> del maestro Riccardo Muti, <per cantare in coro come atto etico, sociale politico per tutti coloro che credono nella armonia, nella bellezza, nella fratellanza di un mondo che tende al bene comune> a questo senso si riferisce.
L’arte è sempre un messaggio universale.
Non è obbligatorio condividerlo, ognuno ha diritto ad una propria idea, diritto a difenderla ed a diffonderla nei limiti e nei principi e nei valori che la nostra Costituzione , e tutte le Costituzioni dei Paese Liberi e Democratici, tutelano e che nessuna Legge ordinaria o maggioranza politica, può condizionare.
Diversa sembra essere la posizione del Segretario Usa alla difesa Pete Hegseth che ha disposto la rimozione di quasi 400 libri dalla Biblioteca della US Naval Academy. Una purga contro i contenuti legati alla diversità di genere, alla equità, alla inclusione ed alla discriminazione (la cultura sprezzantemente definita woke) e che si appalesa come una riconquista di un <discutibile intelletto> della propria terra.
Come se la conquista del suolo fosse anche la conquista delle menti.
Ma il pensiero è come l’aria, non può essere confinato, né comprato come ha in mente una certa politica.
In questo è emblematico l’impegno della Università di Harvard in replica all’attacco verbale e materiale del Presidente Trump che ha affermato “ad Harvard si insegnano solo odio e stupidità, sforna cervelli da gallina” ed ha tagliato 2,2 miliardi di fondi federali con la minaccia di togliere le esenzioni fiscali: “Non permettiamo al governo federale di chiedere di abbandonare la nostra indipendenza accademica e la nostra autonomia” .
****
Ha ragione Amleto: <il mondo è fuori di sesto>.
Però se la sua angoscia era “brutta sorte che io debba essere nato per mettere ordine”, oggi è doveroso chiedersi chi per Noi può mettere ordine al mondo?
Un compito che Noi possiamo solo chiedere alla <politica>, quella vera però quale <scienza e arte del governo di una comunità> con la capacità di aggregazione, composizione, sintesi e rappresentanza nell’interesse di tutti (il cantare in coro del maestro Muti).
Anche questo dobbiamo ritenerlo un problema impossibile, un obiettivo di <portata evangelica>?
La storia della ricostruzione postbellica del 900 ci dice come, pur con tutte le criticità, così è stata, o almeno ha cercato di essere, la politica che abbiamo conosciuto. Una politica che è stata il campo delle relazioni, della partecipazione, del confronto, delle visioni.
Un campo in cui le differenze di <classe sociale>, forse perché tutti erano <popolo> uniti nei valori di umanità della cultura cristiana, non erano così marcate e la politica era il respiro, l’incontro entro cui coltivare, con il supporto e l’esperienza di tutti, la speranza di un mondo fatto bene.
Un modo, nell’interesse di tutti, di <cantare insieme verso il bene comune> che la cultura <metropolitana contemporanea antagonista ed individualista>, può ritenere <provinciale>.
Ma sono i <valori> che hano garantito pace, sviluppo e diffusione del benessere, arrivando anche a coltivare la speranza della “fine della storia“ - e quindi di ogni ragione di ostilità, teorizzata da Francis Fukuyama - con l’affermazione in tutto il mondo <universale> del modello occidentale della democrazia liberale e di un capitalismo attento, equilibrato ed umano con <la persona al centro>.
A questo si riferivano ancora nel 2019 i CEO delle 180 maggiori multinazionali statunitensi membri della Business Roundtable (BRT) che condivisero l’impegno a superare la Stakeholders Theory postulata dal Nobel Milton Friedman sulla esclusiva massimizzazione del valore degli azionisti, facendo diventare loro impegno prioritario l’implementazione dello Stakeholder Capitalism in base al quale il management non avrebbe dovuto più servire solo l’interesse degli azionisti, ma fornire valore anche ai clienti, investire nei dipendenti, trattare equamente i fornitori, sostenere le comunità in cui operavano.
Un <nuovo approccio> che era alla base della Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile – approvata e sottoscritta alla unanimità dai 193 Paesi membri - e di tutta la politica della <Sostenibilità Europea> sintetizzata dalla Presidente Von der Leyen all’atto del suo insediamento il 1 dicembre del 2019 con il motto: “Non è la persona al servizio della economia, ma l’economia al servizio della persona”.
Una risposta, ma anche una presa di coscienza per il debito generato verso l’umanità dalla crisi dei mercati finanziari del 2007 per la cui <salvezza> si era reso necessario l’impiego di risorse pubbliche e quindi di un sacrificio di tutti.
****
Sappiamo come è andata.
Il COVID prima, le guerre in Ucraina e a Gaza poi, hanno ribaltato lo scenario, sia economico, sia politico, sia sociale.
Le preoccupazioni, le paure, la perdita di fiducia nella capacità della politica di essere al servizio delle <persone> e di saper respingere diplomaticamente-commercialmente-militarmente le prepotenze, le pretese, le aggressioni, le violenze, le protervie di Stati accentratori, hanno alimentato i nazionalismi, dato corpo ai sovranismi, alle chiusure verso lo straniero (soprattutto se povero), nella illusione di poter recuperare identità e centralità
Così si è persa la speranza della <politica delle relazioni> e siamo passati alla <politica delle contrapposizioni>. Così siamo passati dalla politica della speranza, alla politica della paura.
Oggi la politica ha la faccia scura degli autocrati che si fanno un <baffo> della divisione dei poteri. La faccia truce dei politici bulli che, pur democraticamente eletti, mostrano arroganza, presunzione e usano <la suggestione> dei messaggi per mascherare la debolezza (anche se venduta come forza) che li trovano sottomessi ai poteri dei mercati che ne condizionano le scelte, arrivando persino a legittimare e plaudire la compravendita dei voti. Chi ha lanciato la sfida ai mercati, pensava di dominarli, ma di fatto né è dominato. E Noi con Lui
L’uomo più potente del mondo, l’uomo democraticamente eletto dal Paese più potente del mondo, con la democrazia più rappresentativa e salda del mondo, il Paese che negli ultimi decenni ha dettato le regole e governato gli interessi della Umanità, ha dimostrato la sua e la nostra debolezza: siamo di fatto comandati da Mercati.
E il mondo è talmente <fuori di sesto> da non mostrare neppure meraviglia in quanto ai mercati <impersonali, senza faccia, occhi ed identità> è riconosciuto un senso, una ragione, una incontrovertibilità delle proprie azioni: l’interesse, il profitto senza nessuna possibilità o condizione di porre ad esso un limite od un argine (la retromarcia sulla ipotesi di tassazione degli extra profitti della finanza, della energia e delle multinazionali dell’high tech, ne sono la dimostrazione).
Sono passati pochi anni ma, nella assoluta apatia della politica, senza clamore, confronto, discussione, il mondo si è reimmerso nella Stakeholder Theory, facendosi un baffo dello Stakeholder Capitalism.
Così la <politica> anziché <scienza ed arte di governare una comunità>, al di là delle suggestioni e dei messaggi, al di là delle minacce e dei proclami, al di là degli ordini esecutivi mostrati scenograficamente con faccia truce a tutto il mondo, si dimostra sempre più uno strumento di interfaccia e copertura degli interessi di pochi.
Ma non diversa è l’idea che la politica si esaurisca negli affari, nella conquista o nella pretesa della <terra>, nel dominio sulla vita della gente, sullo stare o lasciare la <terra> alle condizioni che <gli affari> ritengono legittimo imporre.
Non diversa è però la pretesa della <politica> di imporre di lasciare la <terra> a chi contribuisce operosamente e legittimamente a renderla produttiva e proficua. Il caso Monfalcone e dei novemila immigrati impiegati nei cantieri navali della città è esemplare.
Ed ha ragione in questo caso il commentatore arguto di cui abbiamo già parlato: “La politica non è illudersi di cancellare quello che non ci piace, ma affrontare quello che c’è. E non serve rimpiangere il mondo quando era senza di loro, perché quel mondo non c’è più e senza immigrati i cantieri navali chiuderebbero e sarebbero delocalizzati chissà dove”[4].
Mercati e politica.
A Noi tocca scegliere, ma a Noi tocca anche il diritto di un <quadro politico libero>, non condizionato dai mercati che devono essere uno strumento per raggiungere i <fini della politica>, non <il fine esso stesso della politica>.
Solo così la politica può tornare ad essere al servizio di tutti. Solo così può decidere e scegliere in coerenza ai valori della tutela della persona umana, anche negli aspetti che sembrano più banali (come le manette ai rifugiati nel loro trasferimento senza essere condizionati dalle risorse e dal costo di soluzioni più umane) ed essere coerenti con le aspettative, i valori, i principi della Costituzione.
Di quello che succede si può solo commentare con le tristi parole di Franco Battiato: «Il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore... povera patria schiacciata dagli abusi del potere... me ne vergogno un poco e mi fa male vedere un uomo come un animale».
****
Non vi è nulla di semplice, anche se qualcuno vorrebbe farlo intendere.
Come per l’arte la bellezza estetica, <la levigatezza che procura una sensazione piacevole ma non collegata a nessuna profondità e si esaurisce nel “wow”>[5], anche nella politica la <superficie liscia> procura una sensazione piacevole e stimola il consenso di cui lo <status quo> ha bisogno per diffondere la presa inclusiva sugli individui e predisporre omologazioni.
Ma non è collegata a nessun senso, ad alcuna profondità, ad alcuna <vera bellezza politica>: Così il linguaggio e la comunicazione si livellano verso il basso in banalità, ovvietà, spesso in volgarità, spengono in tal modo la curiosità, il desiderio di scoperta, la riflessione, che è propedeutica ad ogni decisione consapevole.
Di questo occorrerebbe avere cognizione.
Ha scritto Gustavo Zagrebelsky[6] : “Non si tratta di democrazia contro aristocrazia, ma di due concezioni della democrazia l’una in opposizione all’altra: l’una <critica>, l’altra <acritica>. La democrazia critica pone se stessa sempre in discussione, non è mai paga e tronfia, sa riconoscere i suoi limiti e correggere i suoi errori. Non assume come sua massima <vox populi vox dei> secondo cui la maggioranza ha sempre ragione (…) La maggioranza non ha ragione né torto, ha invece il diritto di decidere perché le decisioni che riguardano tutti debbono assumersi, se non da tutti, dal maggior numero. È una questione di distribuzione e assunzione di responsabilità, non di ragione o torto (…) Tutto il contrario nella democrazia acritica. Se la maggioranza presume di avere sempre ragione, se la sua volontà è infallibile come quella divina, non si ha bisogno di coscienza critica, ma di demagoghi, ideologi, comunicatori, propagandisti e pubblicitari che diffondono certezze, curano l’inquietudine del dubbio, condannano il dissenso come errore. ”
Quanta verità nella comunicazione politica di cui siamo quotidianamente oggetto!.
E ancora: “Nessuna forma di governo può fornire garanzie circa la qualità delle decisioni. Tuttavia in un passo della Politica di Aristotele (1281 b) che sembra precorrere la sofisticata <democrazia deliberativa di Jurgen Habermas leggiamo: <Che i più debbano essere sovrani nello Stato, a preferenza dei migliori, che sono pochi, sembra che si possa sostenere. Ci sono sì delle difficoltà, ma forse c’è anche la verità (…). In realtà essendo in molti ciascuno ha una parte di virtù e di saggezza e, quando si raccolgono e si uniscono insieme, diventano un uomo con molti piedi, con molte mani e con molti sensi, così diventano un uomo con molte eccellenti doti di carattere ed intelligenza>. Dunque inferiori presi uno per uno, diventano superiori agli uomini migliori, quando è loro consentito di contribuire all’opera comune dando il meglio che è in loro>.
Principi affascinanti, sulla <partecipazione e condivisione delle decisioni>, ma soprattutto non nuovi e che trovano riscontro in molte riflessioni di molti costituzionalisti come la Presidente Emerita Marta Cartabia[7]: “Le formazioni sociali attraverso cui si svolge la personalità di ciascuno incastonate nell’art 2, le associazioni di ogni genere e natura protette dall’art 18, i sindacati (art 39) e i partiti politici (art 49) è attraverso di essi che la Costituzione ritiene che i cittadini possano concorrere “con metodo democratico a determinare le politiche nazionali”[8].
Principi condivisi e valorizzati con insistenza dal Presidente Mattarella in tutte le occasione di partecipazione ad eventi dei Corpi Sociali Intermedi: ” La sussidiarietà è un principio che lega e rafforza il rapporto tra istituzioni e società (…) Un modello che assicura spazi di autonomia , di partecipazione, di concorso della persone che trovano nelle formazioni espressive di valori o interessi della comunità, lo strumento per la loro affermazione confliggendo sia le pretese di massimizzazione delle ideologie autoritarie del 900 – che hanno portato alla oppressione dell’uomo sull’uomo - sia quelle nuove con la verticalizzazione del potere e la prevalenza di quello finanziario. (…) La rete delle comunità e dei corpi intermedi tiene alta la stessa qualità della democrazia, rinvigorisce la libertà di ciascuno, perché la libertà si realizza insieme a quella degli altri, si realizza in quella degli altri”[9]
****
Nel mondo complesso in cui viviamo Arte (bella) e Politica (vera), si congiungono nella asperità. Parlano alla coscienza, spingono la curiosità, il bisogno di aprire gli occhi su ciò che non vediamo, guardando contemporaneamente fuori di noi e dentro di noi, per visualizzare i problemi e individuare le soluzioni.
Guardando da giù in su, non solo da su in giù.
Per questo le ragioni, le cause della guerra e i percorsi della pace non possono solo essere “attesi“, vanno “ricercati” e non possono essere rigettate perché <sono degli altri>.
Anche se fosse, anche per chi vuole mantenersi nel <silenzio dell’indifferenza>, aprire gli occhi vuol dire essere consapevoli che, in qualsiasi forma, diretta od indiretta, armata od economica, le guerre possono arrivare anche da noi.
L’arte, più della cronaca e della informazione, in questo è la suggestione che ci tiene ancorata alla realtà.
Il premio World Press Photo 2025 è stato assegnato alla fotografa palestinese Samar Abu Elouf che lavora per il New York Times, per lo scatto che ritrae Mahmoud Ajjour, un bambino di nove anni gravemente ferito a Gaza nel marzo 2024. Fuggendo dai bombardamenti israeliani su Gaza City è stato colpito da un’esplosione che gli ha portato via le braccia. Ora sta imparando a giocare con il telefono, scrivere e aprire le porte usando i piedi.
<Questa è una foto silenziosa che parla d’alta voce> ha commentato il direttore del World Press Photo, con la forza dell’immagine di un bambino “mutilato per la vita“ e di una guerra le cui conseguenze si estenderanno per generazioni.
“Come farò ad abbracciarti“ sono state le prime parole che Mahmoud ha detto quando si è reso conto della mutilazione. Il suo sogno è di poter avere delle protesi e potere vivere come qualsiasi altro bambino.
La foto è cruda, tecnicamente ben riuscita, ed è stata premiata per <l’attenzione alla luce e la scelta di un tema pieno di interrogativi, in particolare sul futuro di Mahmoud>.
Un immagine che scuote la nostra coscienza.
Guardarla e riguardarla è il contributo che l’arte dà alla nostra consapevolezza sulla criticità, drammaticità, assurdità di ogni guerra.
Osservandola è legittimo chiedersi quali emozioni prova <l’uomo della politica>.
****
I Giganti, John Lennon, Gianni Morandi, Mario Cucinella, Marco Balich, Philippe Stark, Byoung So Cho, Luca Trezzi, Nico Vascellari, Franco Battiato, Samar Elou Elouf lanciano il <messaggio universale> dell’arte che in questi giorno di Pasqua si accompagna a quello di Papa Francesco : “la Guerra è una sconfitta, Sempre”.
<Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto>.
Sosteniamo, alimentiamo, stimoliamo sempre la <Speranza di un mondo fatto bene>-
<La vita è sacra solo se proviamo a viverla e non a subirla passivamente sotto il segno della guerra e della violenza>,
Questo è il messaggio di Milano, questo è il messaggio per cercare di rimettere nei cardini il mondo,
Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci,
un popolo non alzerà più la spada.
contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell’arte della guerra
Isaia (4,2)
Ringraziamento finale dell’editore
Ringrazio con gratitudine Piero Torretta per questo editoriale che va oltre il racconto di un evento, diventando testimonianza e stimolo civile. Le sue parole restituiscono senso alla Milano Design Week, rivelandone la profondità oltre il glamour: un palcoscenico di coscienza, dove l’arte si fa voce del nostro tempo. È un onore pubblicare riflessioni così dense e necessarie.
Andrea Dari
[1] <Dolce la guerra per chi non l’ha mai sperimentata> Erasmo da Rotterdam
[2] Il commento all’opera è una sintesi della critica e delle parole dell’autore.
[3] “L’opera d’arte provoca un urto, scuote chi la contempla (…) L’arte dotata di senso agisce sui sensi teoretici della vista e dell’udito. Essi solo hanno accesso al senso mentre l’olfatto, il gusto ed il tatto hanno da fare con la materialità con le sue qualità sensibili, con la sensazione piacevole non collegata ad alcun senso, ad alcuna profondità, e si esaurisce nel <WoW> - Byung-Chul Han – La salvezza del bello-.
[4] Mattia Feltri – La Stampa -
[5] Byung-Chul Han – La salvezza del bello - Nottetempo-.
[6] Gustavo Zagrebelsky –Mai più senza maestri – Il Mulino
[7] Marta Cartabia – Prolusione inaugurazione anno accademico 2019/2020 Università Statale di Milano :
[8] Giuliano Amato –Convegno Camera dei Deputati maggio 2023 <Potere e Costituzione>: “Una democrazia per ottenere osservanza non ha bisogno di costrizioni, ma della convinzione che si forma insieme partecipando al lavoro di messa a fuoco delle disposizioni e poi alla loro attuazione. È essenziale per il nostro futuro recuperare questa dimensione del potere, il potere partecipato che si ha attraverso i partiti o attraverso le formazioni intermedie
[9] Presidente Mattarella Incontro con la Fondazione per la Sussidiarietà 04/04/2025
Design
Il design in edilizia è progettazione integrata: INGENIO raccoglie articoli, soluzioni e tecnologie per affrontare estetica, funzione e innovazione nei progetti e nei cantieri.
Filosofia e Sociologia
Filosofia e sociologia diventano chiavi fondamentali per progettare città e spazi costruiti nel mondo della complessità digitale, ambientale e sociale. Scopri la selezione INGENIO.