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Miglioramento sismico per i Beni tutelati: dal «minimo intervento» all’ «intervento minimo»

Nell'intervento tenuto durante un Convegno organizzato da AiCO, il professor Borri sottolinea l'importanza del tema della sicurezza sismica nel caso del patrimonio dei beni culturali che deve andare di pari passo con la sua conservazione e che richiede una attenta valutazione delle priorità.

Testo rielaborato dell’intervento tenuto il 25/01/2024 presso l’Accademia delle Scienze di Bologna, in occasione del Convegno “Prevenzione antisismica del costruito”, organizzato in collaborazione con AiCO – Ass. it. Compositi per le Costruzioni.


Sicurezza o conservazione?

C’è una sostanziale differenza tra la resilienza (capacità di superare eventi traumatici, come i sismi) delle costruzioni murarie e quella di quanto può trovarsi al loro interno nel momento di un sisma: le persone, i beni artistici e storici (affreschi, quadri, manufatti), etc.

Le costruzioni murarie presentano infatti, per loro intrinseche caratteristiche, la capacità di essere ricostruite, essendo, in genere, un assemblaggio di elementi sovrapposti gli uni agli altri, e proprio per questo possono essere disassemblate e riassemblate; è quello che succede dopo ogni evento sismico agli edifici danneggiati, con esiti, in genere, positivi, salvo i tempi - spesso lunghissimi – per le ricostruzioni ...

Situazione assai diversa riguarda ciò che si trova al loro interno nel momento di un sisma rovinoso; gli esiti sono spesso funesti e irreparabili, per la vita delle persone coinvolte, come anche per le opere (affreschi, pitture) che si trovavano sui muri crollati e per i manufatti artistici finiti sotto le macerie.

Così, ad ogni sisma rilevante si contano morti e feriti, oltre a persone rimaste senza casa e/o lavoro e perdite gravissime si hanno anche per i Beni Culturali, con innumerevoli opere completamente distrutte o sostanzialmente irrecuperabili.

Il caso degli affreschi - la cui resilienza è, praticamente, nulla - permette di evidenziare due aspetti fondamentali:

  1. la coincidenza tra sicurezza e conservazione;
  2. l’importanza di mettere le cose nel giusto ordine di importanza e di urgenza.

1) Se un affresco non è in condizioni di sicurezza e crolla, quel bene è perso e, al più, si potranno conservare i suoi frammenti.

La sua sicurezza (cioè il fatto di non crollare) coincide quindi con la sua conservazione (in vita).

Emblematico – in senso negativo - il caso degli affreschi delle volte della Basilica di Assisi, crollati con il sisma del 1997: dopo oltre 60.000 ore di paziente lavoro (e 37 milioni di euro spesi) le parti recuperate e riposizionate sulle volte sono una piccolissima percentuale dell’affresco originario; quello che vediamo oggi è costituito in massima parte da elementi aggiunti e dipinti dai restauratori.

2) Per beni di questo tipo, l'unica arma che abbiamo a disposizione è la prevenzione.

In altre parole: bisogna pensarci prima, attraverso interventi capaci di portare la sicurezza a livelli capaci di assicurare la stabilità di quegli elementi (muri, volte) cui sono strettamente collegati.

Si tratta quindi di “mettere le cose nel giusto ordine di importanza ed urgenza”: non ha senso preoccuparsi che un affresco sia ben aderente al muro, se, prima, non ci si preoccupa della stabilità di quel muro.

Purtroppo, nonostante tutte le evidenze (e i disastri avvenuti), sicurezza e conservazione sono spesso considerati concetti antitetici, mentre è chiaro che si tratta di aspetti strettamente connessi: se gravi carenze di sicurezza portano al crollo di una costruzione, di essa non si conserva alcunché, se non le macerie.

 

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Cosa dice la normativa?

Sul fronte normativo sussiste una certa frammentazione, tra le norme che hanno come obiettivo la sicurezza e quelle che riguardano la conservazione, cosa che può generare talune incertezze applicative.

Il DPR 380/2001 e la legge 186/2004 stabiliscono che le norme tecniche – che stabiliscono le regole per la sicurezza - sono di competenza del MiT - Ministero delle Infrastrutture, sia per gli edifici nuovi che per il consolidamento degli edifici esistenti.

In modo altrettanto chiaro, il DLgs 42/2004, o “Codice dei Beni Culturali e del paesaggio” - che dettano le regole per la conservazione - afferma che la “tutela” del patrimonio dei beni culturali e del paesaggio compete al MiC - Ministero della Cultura.

Questa separazione di competenze ha condotto ciascun Ministero a considerare prioritario l’aspetto su cui ha competenza.

A questo riguardo, però, la Giustizia, però, ha ben poche incertezze: se si leggono le sentenze passate in giudicato, ci si accorge che per la giustizia conta sempre e prima di ogni altra cosa, la sicurezza.

Non conta se mancano i soldi per fare l'intervento, non conta se il bene è un bene tutelato e quindi non si possono fare interventi efficaci.

Se una costruzione non è sicura non deve essere usata, né va fatta usare. Se si fa utilizzare significa che si ritiene sicura, ma se poi crolla allora vuol dire che non era sicura, e quindi qualcuno ha sbagliato …

Quindi, quel termine “tutela” è molto ampio e, per il MiC è sempre e comunque prioritario, ma per le leggi vigenti non può andare a ledere quelle richieste di sicurezza che la società richiede.

In altri termini, l’integrità delle vite umane deve essere sempre al primo posto nelle attenzioni di chi (proprietari, utilizzatori, organi di controllo) abbia competenza e responsabilità in merito alla sicurezza delle persone.

Ma, a parte tutto, negli ultimi trenta anni, questa politica di “tutela” per le costruzioni storiche nelle zone sismiche ha funzionato?

Quello che, purtroppo, è ripetutamente avvenuto fa venire in mente la “eterogenesi dei fini” (Giambattista Vico, filosofo napoletano fine ‘600), ovvero si sono avute “conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali”.

Detto in modo esplicito: nelle zone ad elevata pericolosità sismica, quanto più è stato fatto, negli ultimi trenta anni, dal MiC e dalle Soprintendenze, attraverso norme, prescrizioni, circolari, etc, che avevano come fine quello di “tutelare” i beni, tanto più le cose sono andate esattamente nella direzione diametralmente opposta, ovvero: quei beni sono andati distrutti.

Tra gli esempi più recenti si può citare il caso delle costruzioni storiche di Norcia: aver impedito interventi di tipo strutturale (indispensabili in una zona a così elevata pericolosità sismica) ha portato al crollo rovinoso degli edifici “tutelati”, mentre gli edifici ordinari adiacenti (che avevano la “fortuna” di non essere “tutelati”, e quindi avevano potuto avere interventi di consolidamento) hanno riportato solo danni limitati.

Nelle zone ad elevata sismicità, per le costruzioni storiche si può enunciare il seguente principio (che ho chiamato “Principio delle macerie virtuali”):

“Senza sicurezza non c’è conservazione”

(principio “enunciato” già vari anni fa, su: “Recupero e Conservazione” n.151/2016, “Structural” n. 210/2017, “Ingenio”, 1.9.2018 si veda l'articolo).

In altre parole: se non si fa prevenzione, non si conserva il bene; si potranno raccogliere e conservare solo le sue macerie.

Eppure, se si guarda bene, le norme capaci di tenere insieme sicurezza e conservazione ci sarebbero già, e sono proprio le norme ed i documenti di riferimento usuali per chi opera nel settore dei BBCC, quali, ad esempio, lo stesso Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs 42/2004), la Carta ICOMOS 2003 e la Circolare “Ballardini” del 1986.

Basterebbe applicare i princìpi contenuti in queste norme in modo appropriato e coerente (cosa che purtroppo spesso non avviene).

Ad esempio, tra i princìpi della Carta ICOMOS c’è il cosiddetto “minimo intervento”, spesso (fra)inteso, per gli interventi strutturali, come “fare poco o nulla”, mentre nella Carta ICOMOS c'è scritto ben altro: si devono considerare gli interventi capaci di garantire la sicurezza (prima condizione) e, tra questi (e solo tra questi), scegliere quello di impatto minimo (seconda condizione).

Questo stesso principio era scritto anche nella Circolare Ballardini del 1986 - esempio di ammirevole buon senso - che distingueva fra “patologie ordinarie”, dove bastano interventi di manutenzione, e situazioni di “patologie straordinarie”, nelle quali invece “è necessaria una più attenta valutazione …”.

Quanto sopra può essere così riassunto: laddove ci sono difetti gravi (quali, ad esempio, spinte non contrastate, snellezze eccessive, situazioni di carico eccessive) bisogna intervenire, passando quindi, concettualmente, da quel malinteso “minimo intervento” (fare poco o nulla) all’ “'intervento minimo inderogabile”, che consiste nel fare quello che è necessario proprio per la conservazione (in vita) del bene.

Gli avvenimenti del passato ci hanno mostrato con estrema chiarezza (e crudezza) cosa succede se non si interviene in modo adeguato.

Quel passato, se già lo abbiamo dimenticato, è destinato a ripetersi.

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