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Mettersi le mani sugli occhi non protegge dal mondo che cambia

In un tempo di trasformazioni profonde, il vero progresso nasce da chi sa guardare avanti. Innovazione e consapevolezza sono oggi la chiave per costruire un futuro industriale sostenibile.

Nel mese di febbraio ho avuto il privilegio di moderare per due giornate un evento promosso dal Consorzio Fabre. Un’occasione straordinaria per osservare da vicino l’evoluzione – anzi, la rivoluzione – in corso nel campo dei controlli infrastrutturali. Dalle istituzioni come ANSFISA, RFI, ANAS, ASTM, Autovie Venete, alle Università e alle aziende coinvolte: tutti hanno portato contributi concreti, visioni chiare, tecnologie all’avanguardia. Abbiamo parlato di sensori, satelliti, intelligenze artificiali, sperimentazioni reali. Un fermento impressionante.

Alla fine del convegno, sentivo il bisogno di scrivere un editoriale per raccontare tutto questo. Ma la routine quotidiana ha avuto la meglio. Fino ad oggi.

Perché oggi ho partecipato a un altro evento, questa volta centrato su innovazione e digitalizzazione. Un appuntamento ricco di stimoli, che mi ha colpito fin dall’inizio. Perché tutto è partito da un bullone. Un semplice bullone, ma intelligente: dotato di sensori, capace di dialogare con i sistemi di monitoraggio, di supportare la sicurezza, la manutenzione predittiva, la gestione ottimizzata dei costi.

E mi sono detto: questo bullone, da solo, può cambiare il modo in cui progettiamo le infrastrutture del futuro. Può pesare, eccome, nelle scelte progettuali.

E può raccontarci molto di come sta cambiando davvero il nostro mondo.

E così, in questa riflessione che è continuata durante l’evento, durante il viaggio di ritorno, mi sono accordo che esistono interi settori industriali che stanno perdendo rilevanza, mercato, ruolo. Non perché manchi il valore del loro lavoro, non perché non abbiano avuto un passato glorioso. Ma perché si ostinano a guardare solo indietro. A ricordare il loro ruolo di ieri, le tecnologie di ieri, i rapporti di ieri. E nel frattempo il mondo è già altrove.

Basta oggi un software che cambia i paradigmi della progettazione per spingere una tecnologia e affossarne un’altra. Basta un bullone che diventa intelligente per rendere preferibile una soluzione rispetto a un’altra. Accade ogni giorno che un cigno si alzi in volo: bianco per chi ha gli occhi aperti, nero per chi li tiene chiusi.

Stiamo vivendo un’evoluzione tanto rapida e profonda che può rendere obsoleto, da un giorno all’altro, qualsiasi settore, qualsiasi tecnologia. La digitalizzazione sta cambiando tutto: il modo di progettare, di costruire, di affidare gli appalti, di gestire le opere, di scegliere soluzioni, tecnologie, materiali. Stesso discorso per la sostenibilità, che non è una moda ma una nuova grammatica per leggere il presente.

Eppure, in molti preferiscono chiudere gli occhi.

Mi ricordano quei bambini che, per nascondersi, si coprono il volto con le mani, convinti che basti non vedere per non essere visti. Sperano così che tutto resti com’era. Ma l’illusione dell’invisibilità non cambia la realtà. Non ferma l’innovazione. Non blocca il cambiamento.

   

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Non è il momento di mettere la mani sugli occhi.

Il ruolo che cerco di portare avanti come editore di INGENIO è quello aumentare il livello di luce, accendere riflettori dove altri abbassano lo sguardo, offrire strumenti per capire prima di giudicare. Lo facciamo con spirito critico, con indipendenza, con la volontà di servire non un’ideologia, ma una visione: quella di un settore delle costruzioni più sicuro, più efficiente, più sostenibile, più umano. Le opere per avere un senso, devono essere pensate per l’uomo, per la sua vita, per il suo futuro.

Con INGENIO cerchiamo ogni giorno di dare un contributo concreto a questa trasformazione. Lo facciamo creando contenuti, aprendo spazi di confronto, stimolando dialoghi, anche scomodi. Ci interfacciamo con tutti - Istituzioni, Università, Industria, Professioni - lo facciamo a viso aperto, mettendoci la firma.

Perché questo è il nostro mestiere. Questo è il nostro ruolo. Questa è la nostra responsabilità, perché non ci limitiamo a raccontare il cambiamento. Lo alimentiamo.

Andrea Dari

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