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Metodologia speditiva per il dimensionamento di tiranti per edifici murari

Con il presente studio si è inteso approfondire l’ambito di applicazione dei tiranti, già abbondantemente trattato in letteratura ed in normativa, al fine di fornire un approccio diretto per il loro dimensionamento attraverso abachi di semplice impiego. L’obiettivo è di consentire procedure più snelle di implementazione di tali sistemi su larga scala, sia durante la gestione dell’emergenza (messe in sicurezza), sia nelle successive fasi di ricostruzione dei centri storici.

I tiranti sono i presidi antisismici più antichi utilizzati negli edifici in muratura, in quanto presentano un elevato grado di efficacia per il contrasto dei pericolosi meccanismi di collasso fuori dal piano delle pareti. Sono applicabili con estrema facilità, presentano elevata reversibilità e sono altamente economici. Anche i recenti terremoti hanno sottolineato la notevole propensione delle costruzioni murarie ad esibire modalità di collasso delle pareti per cinematismi da azioni fuori dal piano. Il tema, pertanto, è stato ritenuto di notevole interesse per gli autori, che propongono una metodologia speditiva di dimensionamento. Il metodo si basa sull’elaborazione di abachi di immediata lettura che forniscono, in funzione del meccanismo di ribaltamento considerato, la stima del tiro da affidare al tirante. Analogamente vengono svolte analisi dimensionali per il capochiave, al fine di predeterminare le dimensioni geometriche, considerando una tipologia a paletto ed a piastra circolare. I risultati mostrati si riferiscono al meccanismo di ribaltamento semplice di parete monolitica ad un livello. Il procedimento fornisce uno strumento molto rapido sia per la progettazione dei tiranti che per la verifica di idoneità in esercizio, risultando particolarmente utile nei casi di implementazione su larga scala di tali interventi come nei processi di ricostruzione post-sisma.

INTRODUZIONE

Storicamente, l’osservazione e lo studio delle modalità di collasso degli edifici murari successive ad eventi sismici, ha costituito la base per l’interpretazione del comportamento dinamico di tali costruzioni, consentendo lo sviluppo di teorie e tecniche di analisi.

L’accresciuta sensibilità che negli ultimi decenni si è sviluppata per il recupero e la riqualificazione dei centri storici italiani, ha prodotto notevoli risultati nella ricerca di migliori metodologie di studio e di analisi delle costruzioni murarie, con l’obiettivo di ridurre i livelli di vulnerabilità sismica. 

Gli edifici storici sopravvissuti ai terremoti passati, conservano le tracce degli interventi che la pratica tecnica e l’esperienza di ogni epoca ha applicato. 

Tra queste, l’impiego di “tiranti” o “catene” che ad oggi caratterizza prospetti, porticati, logge, etc., di tutti i centri storici italiani, è uno tra i più antichi sistemi di protezione sismica. 

Le modalità applicative di tali sistemi sono molteplici, e fortemente dipendenti dalle tecniche di realizzazione locali, nonché dall’importanza della costruzione. Il materiale impiegabile doveva resistere alle trazioni, quindi originariamente veniva utilizzato il legno (figura 1). L’obiettivo era la creazione di un “effetto catena”, vale a dire l’applicazione locale di elementi tenso-resistenti in grado di sopperire all’intrinseca mancanza di resistenza a trazione della muratura. In tal modo veniva a configurarsi uno schema statico compatibile all’assorbimento di spinte, e flussi di trazione da flessione e da azioni inerziali nella direzione fuori dal piano. Una tecnica molto diffusa consisteva nell’attribuire tale funzione alle travi di impalcato, prolungandole oltre lo spessore murario ed applicando un contrasto in testata.

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Figura 1. Catena lignea (San Demetrio ne’ Vestini AQ, 2012)

Quando gli elementi lignei erano inseriti nello stesso paramento murario si realizzavano i cosiddetti “radiciamenti” aventi la medesima funzione delle moderne barre di acciaio.

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Figura 2. Radiciamento (Cocullo AQ, 2012)

In epoca successiva, con la diffusione a livello industriale dell’acciaio quale materiale da costruzione, questo di fatto sostituì il legno per tali applicazioni.

Oggigiorno le tirantature rimangono ancora una valida tecnica di intervento, anche se realizzate in materiale tecnologicamente più prestazionale (acciaio zincato, acciaio inox, materiale composito, etc.).

Generalmente la necessità tali dispositivi è causata dalla mancanza di collegamenti efficaci sismicamente tra le pareti e tra pareti ed orizzontamenti. Ciò comporta il rischio di disarticolazione del sistema strutturale durante l’eccitazione sismica, con rovina della costruzione o di parti di questa.

Collegamenti inefficienti si traducono nell’impossibilità di distribuire le azioni sismiche tra le varie pareti, e quindi nella incapacità di collaborazione di tutte le strutture all’assorbimento delle azioni inerziali. I tiranti incrementano la resistenza globale dell’edificio, legando tra loro le pareti e contribuendo in modo sostanziale al mantenimento della configurazione scatolare. Inoltre, va osservato che se per tecniche di intervento similari quali quelle basate sull’inserimento di cordoli (in breccia e non) o solai e coperture rigidi, nei recenti terremoti si è avuto modo di verificare dannose controindicazioni, per le catene, invece, l’efficacia al contrasto dei meccanismi di collasso fuori dal piano è comprovata. Infatti l’applicazione di tali dispositivi comporta l’incremento della resistenza senza modifica di massa, di rigidezza e dello stato tensionale preesistente.

Nel passato, il dimensionamento dei tiranti era legato ai principi della regola dell’arte basati sulle proporzionalità geometriche dei vari elementi, che conducevano ad elementi di sezione trasversale considerevole, anche perché frutto di regole basate sulla solidità e sulla durabilità dove si trascurava la resistenza del materiale.

In seguito a terremoti devastanti quali quelli del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980), cominciò una nuova fase tecnico-scientifica rivolta alla definizione di strumenti operativi per fronteggiare efficacemente l’emergenza sismica nazionale. In questo contesto furono rivisitati i metodi di verifica di stabilità delle costruzioni murarie intrapresi da J. Heyman (1966,1982) e a livello nazionale da N. Pagano (1969) e A. Giuffré (1985,1991).

Il modello elastico lineare per lo studio della risposta della muratura cominciò a ritenersi deficitario ed altre metodologie di analisi cominciarono a prendere vita modellandosi sulle modalità di collasso effettivamente osservabili in seguito ai fenomeni tellurici.

Gli approfondimenti sul comportamento sismico degli edifici murari ha condotto ad assumere due tipologie distinte di risposta: quella di I° modo, dominata da fenomeni di ribaltamento di pareti o parti di esse fuori dal piano; e da II° modo, caratterizzata dalla rottura delle pareti nel proprio piano (per taglio e pressoflessione). A tali modalità di comportamento corrispondono tecniche di analisi profondamente diverse tra loro.

I meccanismi di fuori piano rientrano nell’ambito della risposta da I° modo; le specifiche forme di danno sono state caratterizzate e schematizzate su base osservazionale, secondo metodi prettamente empirici e basati sull’esperienza. D’altronde, la natura stessa del materiale, altamente variabile e

disomogeneo, non consente l’adozione di modelli matematici esaustivi per l’interpretazione della risposta meccanica.

La classificazione dei meccanismi è stata condotta attraverso vaste operazioni di schedatura e di classificazione dei danni a livello nazionale. A partire dai primi anni ’80 con le Schede Irpinia’80, perfezionatesi nelle successive versioni della Scheda Abruzzo ’84, la Scheda GNDT 9/86 (Parma 1983 e Sicilia 1990), ed infine la Scheda AeDes 9/97, 5/2000 (Marche 1997, Pollino 1998, Molise 2002, Etna 2002, L’Aquila 2009, Emilia 2012).

In MEDEA (Manuale di Esercitazioni sul Danno Ed Agibilità per edifici ordinari in muratura, Zuccaro e Papa 2002), è possibile consultare abachi di una vasta serie di meccanismi di collasso (nel piano e fuori dal piano) in varie tipologie di edifici murari (edifici singoli, aggregati, edifici di culto), da cui sono derivati vari metodi di calcolo matematici.

Da un punto di vista normativo il dimensionamento dei tiranti è affrontato sin dalla Legge n. 219 del 14 maggio 1981 e dalla relativa Circolare n. 21745 del 30/07/1981 “Istruzioni per l’applicazione della normativa tecnica per la riparazione ed il rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma”, dove sono riportate alcune prescrizioni tecniche per l’esecuzione.

Le attuali norme di cui al D.M. Infrastrutture del 14 gennaio 2008 e relativa Circolare n. 617 del 02/02/2009 “Norme Tecniche delle Costruzioni” ribadiscono l’importanza della valutazione della sicurezza nei confronti dei meccanismi fuori-piano e forniscono una metodologia di analisi sismica secondo i principi dell’analisi limite dei corpi rigidi.

Con il presente studio si è inteso approfondire l’ambito di applicazione dei tiranti, già abbondantemente trattato in letteratura ed in normativa, al fine di fornire un approccio diretto per il loro dimensionamento attraverso abachi di semplice impiego. L’obiettivo è di consentire procedure più snelle di implementazione di tali sistemi su larga scala, sia durante la gestione dell’emergenza (messe in sicurezza), sia nelle successive fasi di ricostruzione dei centri storici.

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Articolo tratto dagli atti del Convegno ANIDIS 2015 

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