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Mercati Digitalizzati e Velocità Differenziate

Questa è la vera sfida: possedere una Visione Prospettica del Mercato, o dei Mercati, nonché esercitare una Progettualità Forte

ANGELO-LUIGI-CAMILLO-CIRIBINI.jpgIl 2018 sembra essere, per le sorti dei processi digitali nel comparto, un anno decisivo, in quanto costituisce il ponte ideale tra due stati, quello «analogico» e quello «digitale», ma pure tra quello delle  «costruzioni» e quello dell'«ambiente costruito», quantunque manchi, nello specifico e in generale, una chiara politica o strategia industriale di medio-lungo termine.

Ciò che, infatti, appare il tema di maggior interesse è il divario che intercorre tra le incondizionate adesioni retoriche alla «svolta digitale», la progressiva presa di coscienza della sua natura e delle sue implicazioni da parte degli operatori della Domanda e dell'Offerta e le tattiche resistenziali (non apertamente oppositive) che una parte di essi inevitabilmente porrà in atto.

buildingSmart Italia, alla stessa stregua di altre entità, pur differenti, sconta palesemente questa incertezza del mercato su dinamiche evolutive sempre dichiarate, in parte in essere, ma, in maggioranza, del tutto potenziali.

D'altra parte, nelle logiche accademiche, a fronte di una parziale opacità delle transazioni in essere sul mercato, che è anche, però, indice della sua complessità, sta una interpretazione dei processi piuttosto meccanicistica, in cui gli aspetti digitali dovrebbero fungere da elemento riduttore di quella stessa complessità.

Il tema dominante, perciò, risiede tutto nella difficile dialettica tra annunci e prassi, causando spesso un corto circuito tra le attese, crescenti, e gli esiti, interlocutorii, come indicano la scarsa alfabetizzazione digitale del Settore e il difficile ricambio generazionale.

In altri termini, oltre a una inter-operabilità tra gli applicativi, ve ne sono altre, tra apparati mentali delle varie discipline, tra visitatori e nativi digitali, tra soggetti diversi delle fasi dei processi e degli interventi: la stessa nozione di «neutralità», originariamente riferita a una versione alterata rispetto ai formati dei singoli applicativi commerciali, meriterebbe, entro questo quadro più vasto una riflessione apposita, in quanto qui, la «proprietà» equivarrebbe a «soggettività», «identità».

Ciò risulta importante per una associazione, come buildingSmart Italia, per cui statutariamente l'obiettivo sia quello, in termini strettamente tecnici, legati ai software, di rendere possibile la comunicazione di tutti i soggetti tra di loro: anche se, sotto altri aspetti, come si analizzerà, tale inter-operabilità appare controversa, da discutere, secondo una accezione usuale, poiché tenta naturaliter di ridurre il tasso della complessità (e del rischio connesso) attraverso norme e convenzioni.

In realtà, ciò che sembra mancare è l'inter-operabilità tra i processi informativi e quelli decisionali, laddove, nonostante i buoni propositi, le sfere e le corrispondenti professionalità permangono poco relazionate.

D'altra parte, è bene rammentare che il legame tra «informazioni» e «decisioni» non è del tutto lineare: per poter essere realmente inter-operabili (non solo attraverso gli applicativi certificati, ma anche tramite sintonie concettuali) occorre comprendersi, prendere con sé le ragioni altrui, essere, appunto, collaborativi.

E se i motivi di improduttività e di inefficienza del comparto possono ascriversi anche a questo fattore, la sua rimozione non appare scontata.

Al contempo, però, il linguaggio della macchina ammette con difficoltà le ambiguità e le sfumature che accomunano, paradossalmente, gli spunti creativi e le negoziazioni flessibili.

Il CRESME, nel suo recente rapporto annuale sull'andamento congiunturale del Settore, sottolineava due priorità da cui dovrebbe dipendere la crescita del mercato: l'attuazione effettiva del programma infrastrutturale in precedenza deliberato e l'avvio del programma di rigenerazione urbana, ma, come risulterà chiaro nella conclusione, la interpretazione di «infrastrutturazione» e di «rigenerazione» potrebbe significare essenzialmente realizzare con modalità digitali nuove opere d'arte e nuovi edifici in sostituzione di quelli demoliti (nei termini classici) oppure dare vita con culture digitali a cespiti infrastrutturali e immobiliari, più o meno esistenti, As a Service: ipotesi diametralmente opposta.

Lo stesso istituto di ricerche economiche ricordava, altresì, che, in buona parte, specie per gli interventi sul costruito, la atomizzazione del mercato in termini di attori è speculare alla natura del patrimonio immobiliare oggetto delle attività, allorché, per contro, i competitori nazionali di maggiori dimensioni sono prevalentemente attivi al di fuori del mercato domestico: cosicché, per alcuni versi, potrebbero mancare gli interlocutori necessari a sancire il rapido mutamento.

In entrambi i casi, della infrastrutturazione del territorio e della riqualificazione di porzioni di città, sarebbe riduttivo associare queste determinanti dell'evoluzione del mercato alle categorie delle Smart Infrastructure e delle Smart City: e, comunque, alla maggior parte degli operatori economici ciò non sarebbe familiare, ma la digitalizzazione appare davvero oggi come il sinonimo di innovazione.

Se si volesse attribuire una rappresentazione iconica all'evento che buildingSmart Italia organizza nel mese di Marzo 2018, precisamente il 9, presso il Politecnico di Milano, si potrebbe probabilmente individuarla nella semina e nella raccolta (come, con uno sforzo di immaginazione ne La semina delle patate di Vincent van Gogh, custodito al Von der Heydt-Museum di Wuppertal): in questo caso di dati.

Poiché l'incontro si tiene all'indomani delle elezioni politiche generali, è d'obbligo partire dal Manifesto della cosiddetta Filiera (Imprenditoriale) delle Costruzioni, che rivendica una interpretazione specificamente adattata al Settore delle Costruzioni della Quarta Rivoluzione Industriale, ravvisando evidentemente una certa negligenza all'interno del Piano Nazionale Impresa (già Industria) 4.0.

Al contempo, l'Osservatorio di OICE rileva un incremento tendenziale, sia pur modesto, del ricorso all'acronimo BIM nei bandi di gara (altra cosa sarebbe dire che si praticano azioni di committenza computazionale): attendendo il 1 Gennaio 2019, data ufficiale dell'avvio della condizione di cogenza, sempreché il decreto ministeriale che la prescrive non sia stato, nel frattempo, modificato o revocato.

D'altra parte, se conforta il fatto che la Digitalizzazione non sia specifico oggetto del desiderio di riscrittura da parte delle rappresentanze (ma, in realtà, le logiche dello Information Management sono intrecciate a quelle della catena di fornitura e, dunque, ai vincoli sull'elenco preventivo dei subappaltatori, vexata quaestio del codice dei contratti pubblici), il comune denominatore che se ne ricava è la necessità di una maggiore professionalizzazione della Domanda Pubblica, la cui maturità digitale appare molto disomogenea.

In realtà, già ora, quello dell'Italia Digitale della Costruzione e dell'Immobiliare è un paesaggio eterogeneo a più velocità, in cui convivono il neofita che stenta a comprendere il significato dei termini contenuti nel decreto ministeriale obbligatorio (e nelle norme volontarie) e il pioniere che pensa di iniziare a praticare il machine learning, il committente pubblico che pensa a edificare analogicamente immobili nella loro «tangibilità» e lo sviluppatore immobiliare che digitalmente propone «immaginari» (oltre ai cespiti, ben inteso, o meglio, attraverso di essi).

Si tratta, cioè, di uno scenario che vede all'opera alcuni soggetti che iniziano a produrre faticosamente dati leggibili dalla macchina e altri che si ingeniano a raccoglierli sistematicamente per farli fruttare al meglio, poiché, come sostiene The Economist, i dati costituiscono i giacimenti petroliferi di questo secolo (a partire dalle cartelle cliniche digitalizzate dei cittadini).

Anche se, a livello comunitario, ci si attende di ottenere una omogeneità nei gradi di maturità digitale dei vari mercati domestici degli Stati Membri, è evidente che l'attività futura di buildingSmart Italia, nella sua missione storica legata alla ottimizzazione dei flussi e degli scambi informativi, dovrà, così come accadrà per gli altri attori, scontare questa dicotomia o, se si vuole, tale discrasia, non potrà fare a meno di ammettere che la coesistenza di velocità differenziate sia costitutiva.

Si osservi attentamente: non si tratta tanto di ragionare sulla competenza strumentale, come se i diversi operatori dovessero praticare il tema secondo differenti gradi di difficoltà, come per le discese sciistiche o per le ascensioni alpinistiche, quanto di gestire il divario tra chi il dato lo produce, con una certa «inconsapevolezza», e chi lo sa «strutturare» coscientemente e far fruttare, per migliorare la produttività, al fine di ridurre l'intensità di lavoro o allo scopo di offrire servizi ad alto valore aggiunto.

Non si dimentichi, infatti, che i benefici della digitalizzazione difficilmente deriveranno in prevalenza dall'abbattimento dei costi unitari originati dalla razionalizzazione dei processi, bensì dalla capacità di inventarsi valori aggiunti con nuove identità e tramite prodotti inediti.

Francamente, nonostante le retoriche che animano il dibattito sulla digitalizzazione, tracce di autentiche intenzioni di rinnovamento identitario degli attori e dei loro prodotti appaiono assai scarse, poiché la base professionale e imprenditoriale ha una conoscenza del tema assai limitata e porta con sé un notevole scetticismo.

Al di là dei vincoli di legge e della attualità nominale del tema, gli operatori economici, infatti, appaiono assai distanti dall'aver, nella loro medietà, compreso e praticato la «rivoluzione» digitale.

Al contrario, la sensazione è che i timidi segnali di ripresa, semafori verdi (che molti temono ancora siano rossi) inducano i soggetti a ripiegare su una concezione tradizionale del mercato, in cui i «nuovi» strumenti non alterino gli apparati mentali e gli assetti strutturali esistenti, ma semmai li rafforzino.

Di conseguenza, non è dai processi né dai prodotti che occorre avviare la riflessione, bensì dagli strumenti.

Ragionando, infatti, sulla «produzione» dei dati, sugli strumenti che la consentono, si intuisce che l'aspirazione sia quella di addomesticare secondo logiche inveterate questi dispositivi: produrre, appunto, «rappresentazioni» geometriche, da cui trarre computi e sequenze, corredarle di qualche, sparuto, dato alfanumerico e integrarle, moderatamente, nelle logiche di calcolo.

Ebbene, la domanda da porsi è se gli strumenti, che seguono una propria impostazione, si lasceranno, è il caso di dirlo, «strumentalizzare» o se, al contrario, saranno gli operatori tradizionali a consegnarsi inavvertitamente all'eco-sistema digitale e ai suoi gestori.

A questo proposito, al fine di indicare gli applicativi che consentono di tradurre le proprie azioni di committenza, di progettazione, di realizzazione e di gestione di un'opera, si impiega solitamente la dizione BIM Authoring.

Ciò curiosamente accade allorché per il «BIM» nel contesto della progettazione si parla di attenuazione della Authorship, per una serie di motivi assai complessi, che qui non può giovare richiamare.

Certo è, tuttavia, che il «produrre» dati in modo non correttamente strutturato sarà sempre maggiormente difficile, poiché essi, solo in termini ragionati, possono trasferirsi in informazioni finalizzate, richieste, tra gli altri, da uno sviluppatore immobiliare o da una azienda ospedaliera ai progettisti ovvero da una amministrazione comunale oppure da una istituzione finanziaria ai medesimi per il rilascio di un titolo abilitativo o di un finanziamento.

È, quindi, inutile nasconderselo: la partita si gioca su più piani, non sempre comunicanti.

Il primo di questi è l'Intelligence, vale a dire il monitoraggio, la verifica, la validazione, atti a comprendere tempestivamente la natura dei fenomeni e dei business process: che non avverrà solo attraverso l'analisi dei modelli informativi, bensì, in particolar modo, grazie alla investigazione sul modo in cui essi sono stati configurati, sulle modalità di impiego degli strumenti.

Si può, dunque, prevedere un conflitto relativo al tentativo di sottrarre una parte del proprio operato, ad esempio, creativo o negoziale, alla computazionalità, alla «leggibilità» delle scelte compiute.

Sotto questo profilo, la stessa natura numerica del dato, oltre che la sua interoperabilità sono, di fatto, ancora ignorati dalla maggior parte degli operatori: che accadrà quando essi si renderanno conto pienamente di ciò che sta avvenendo?

Lo scambio e la condivisione dei dati, al di là della tecnicalità di protocolli che funzionano più o meno bene (già questa ragione probabile del contenzioso), non evocano semplicemente la tutela della proprietà intellettuale e la riservatezza del dato, ma implicano il «lasciare tracce».

Il discernimento su basa effettivamente sulla tracciabilità dei dati, che, in definitiva, è osservazione dell'operato: l'inter-operabilità, del resto, è finalizzata al fluire ininterrotto, orientato (si pensi alle model view definition) e non corrotto (in senso tecnico) delle informazioni, ma le logiche di molti operatori non sono certo attualmente improntate a una simile trasparenza.

Il secondo piano, invece, risiede nella cosiddetta Predictability: gli interventi, dalle micro-commesse alle mega-opere, contengono un grado di complessità inaccettabile per i promotori e per i finanziatori, in quanto ciò si riflette nella loro rischiosità. 

Per questa ragione, ci si attende dagli operatori che consegnino in tempo reale le proprie attività a metriche che ne misurino immediatamente gli esiti e gli effetti: qui gli effetti sono, appunto, non mediati, perché le azioni digitali commesse sono subitamente intelleggibili, «inter-operabili».

Il commissionare, l'ideare, l'eseguire o il gestire in termini numerici implica che le azioni siano algoritmicamente misurabili, e tempestivamente rettificabili, perché producono conseguenze sistemiche.

Qui «BIM» sta davvero per qualsiasi cosa avvenga «numericamente»: dal modello informativo al video gioco serio, dalla simulazione immersiva alla stampa additiva.

Anche in questo caso, è presumibile che saranno messe in atto strategie tendenti a salvaguardare una certa opacità negli scambi informativi, dato che essi assumono anche la valenza di transazioni contrattuali.

È, tuttavia, soprattutto, la categoria della «improvvisazione», ma pure della «creatività», dell'aggiustarsi in corso d'opera a causa di «imprevisti», che collide con la necessità, appunto, di incrementare la «prevedibilità» degli eventi e delle dinamiche che concernono una commessa.

Vi è, infine, un terzo piano, che è quello della Cognitivity: il dato prima prodotto, in seguito misurato, è ora elaborato. Dalle grandi moli di dati acquisite, archiviate, analizzate, elaborate ci si aspetta di ricavare processi decisionali semi-autonomi. Il dato si fa infrastruttura, coloro che ne posseggono la «scienza» detengono (da Authorship a Ownership) le chiavi delle decisioni, ma per giungere a ciò serve, appunto, avere la possibilità di disporne, dimensionalmente.

Nel Manifesto poc'anzi menzionato si accenna a una piattaforma digitale: lo stesso si ritrova nelle intenzioni comunitarie. Ma che cosa è davvero una «piattaforma»? Probabilmente assai meno ciò che si vorrebbe, un luogo ordinato di inter-operabilità, forse assai più una località eterodiretta di transazione e di (dis)intermediazione.

È certamente possibile tessere le fila digitalmente comparendo in maniera molto discreta, oltre che esternalizzando, lasciando illusoriamente gli attori tradizionali a occupare il palcoscenico.

Anzi, la chiave di lettura starà proprio nel confermare i ruoli tradizionali, separandoli, per meglio etero-dirigerli: l'impiego di parole come «collaborazione» o «integrazione» richiederebbe una lettura disincantata, dato che è proprio l'incapacità costitutiva a praticarle di molti operatori del settore che li renderà «interoperabili» e, al contempo, «agibili».

buildingSmart International nasce, come IAI, sull'argomento, appunto, della cosiddetta inter-operabilità delle opere edili, estendendola progressivamente alle infrastrutture aeroportuali, ferroviarie, portuali, stradali.

Più che rispetto alle tipologie di opere, tuttavia, è proprio nei confronti dei saperi che la questione si allarga, tanto che i software BIM si identificheranno sempre più in ambienti di elaborazione dei dati.

Attualmente, però, la sfida si intravede nella interconnessione: la disseminazione di sensori, il rendere gli «abitanti» connessi (tramite dispositivi mobili), muta radicalmente lo scenario.

È palese, pertanto, che tra interoperabilità e interconnessione si gioca una partita fondamentale.

buildingSmart Italia, che in questi anni innegabilmente ha contribuito a stimolare in modo decisivo, assieme ad altri soggetti come le società scientifiche (ISTeA, in particolare), a sensibilizzare, il governo centrale, si trova, negli ambiti di propria, esclusiva, peraltro, competenza, ad agire entro un sistema che comprende soggetti di diversa fattura, che inizia ad affrontare estensivamente la trasformazione digitale.

L'incognita più significativa a cui rispondere riguarda, dunque, il tasso di conflittualità che questi soggetti, in quanto portatori di interessi privati o pubblici, vorranno inscenare e dalla volontà del mercato di aderire alla transizione.

È, infatti, la velocità del cambiamento, oltre che il suo punto di arresto, che conterà. Le impressioni dello scrivente sono, come detto, alquanto pessimistiche o, perlomeno, caute.

Nel quadro evocato all'inizio delle riflessioni, il primo piano coinvolge, infatti, un tessuto polverizzato di micro-organizzazioni, di tutte le fatte, che, a dispetto delle affermazioni solenni, subiscono la svolta digitale, anziché promuoverla (come potrebbe essere altrimenti?), oltre a stentare a capirne il senso o la direzione.

Pur non sottovalutando la portata del fenomeno che le investirà, ben difficilmente il mercato, in tale stato costitutivo, potrà interiorizzarne i contenuti: come è ovvio, l'economia di conoscenza è condizionata dalla questione dimensionale e i fabbisogni di moli ingentissime di dati da elaborare non potranno che acuire tale situazione.

Per questa ragione, assieme alla rappresentanze, occorre domandarsi sino a che livello processi aggregativi e integrativi potranno davvero essere messi in atto.

È un quesito fondamentale, che deve essere posto in atto con urgenza, pena inscenare una farsa secondo cui tutto va ben, madama la marchesa.

Lontano, sullo sfondo, stanno, invece, le medie e le macro organizzazioni più competitive, pronte a offrire sui mercati internazionali, dominati da Artificial Intelligence, Internet of Things e altro, soluzioni cognitive avanzate.

Non si tratta, però, di una immagine in cui prevalga il continuum: i soggetti intenti a seminare sono separati da discontinuità profonde (gruppi montuosi, fiumi e torrenti), talora invalicabili, da quelli che raccolgono, che impediscono una progressione lineare, persino una vera e propria comunicazione, pur necessaria entro la catena di fornitura di carattere strategico.

Occorre probabilmente rassegnarsi ad accettare che il mercato digitalizzato sia ancor più differenziato di quello analogico, ad accettare che, nello stesso tempo e forse persino nello stesso luogo, agiscano operatori contraddistinti da logiche incommensurabili.

Ciò può apparire come un paradosso nell'era della connessione, ma è chiaro che il Settore della Costruzione e dell'Immobiliare non può declinarsi univocamente, nel senso che lo stesso cespite assumerà significati diversi per i differenti soggetti.

Alcuni, in effetti, vi vedranno un bene esclusivamente tangibile (da demolire, da conservare o da trasformare), dotato di un «doppio» o di un «gemello» digitale, sensorizzato certamente, ma nel contesto di soluzioni automatizzate. 

Vi vedranno, in altre parole, solo la materialità, la matericità, inalterata, e una interconnessione convenzionale con altri cespiti mobili o immobili.

Altri, al contrario, scorgeranno in esso gli aspetti immateriali, per cui, oltre alla vita utile del bene, vi sia il ciclo della vita dei suoi occupanti, continuamente evolutivo, dialettico, cognitivo, instaurando fruizioni fortemente sartoriali, individualizzate, legate alle persone: personalizzate.

Non vi è tema che gli uni scompaiano a favore degli altri, ma è probabile che il ruolo dei primi sia marginale, del tutto strumentale: commissionare, progettare, realizzare, gestire prodotti convenzionali, cespiti tangibili, materialissimi.

I secondi, invece, commissioneranno, ideeranno, eseguiranno, governeranno servizi intangibili, comportamenti, vite (dall'abitare al curare, dal lavorare al ricrearsi).

La complessità della condizione odierna, infatti, è data proprio dalla coesistenza di realtà non dialoganti, neppure in grado di reciprocamente riconoscersi, di realtà «aumentate» oppure «diminuite».

La digitalizzazione potrebbe rivelarsi davvero divisiva, separando quello che con espressioni retoriche potremmo denominare 3.0 da quello che si pensa essere 4.0.

È chiaro che, esattamente come per il Piano Nazionale Impresa 4.0, dopo gli iper- e i super-ammortamenti e i Digital Innovation Hub, da una parte, dopo il decreto ministeriale, da un'altra, 

i Centri di Competenza saranno determinanti, ma essi non potranno essere efficaci, ancor più degli Hub, in cui il settore della costruzione è già, peraltro, presente, come nel caso dell'InnexHub bresciano, se Istituzioni, Accademia e Professioni/Industrie non sapranno immaginare una visione di medio e di lungo periodo: eventualità piuttosto improbabile?

Come si accennava, è probabile che una ripresa sia ormai in atto, ma se è vero, in generale, che il Paese soffre di scarsa produttività anche a causa di un basso tasso di innovazione, essa deve, nel Settore della Costruzione e dell'Immobiliare, fare i conti con assetti e convenienze ben precise.

Sfortunatamente, l'impedimento maggiore consiste nella difficoltà a impostare una strategia industriale che mobiliti le migliori forze dell'Accademia, dell'Industria e, ovviamente, dell'Istituzione.

Questa è la vera sfida da porsi a seguito del risultato elettorale: possedere una Visione Prospettica del Mercato, o dei Mercati, nonché esercitare una Progettualità Forte: impossibile da praticare senza ripensare, senza reinventare, senza riconfigurare il Mercato stesso, come non vorrebbero, a tutte le latitudini, i «semplificatori» e i «realisti», notoriamente critici nei confronti dei «visionari».

È evidente che, con ogni probabilità, i primi avranno la meglio, a meno che gli operatori della Domanda e dell'Offerta non assumano un atteggiamento diverso, vale a dire che si convincano dell'insostenibilità degli assetti esistenti e si dimostrino disponibili a rivedere identità, nature e relazioni: molto difficile, ma anche molto rischioso.