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Meno spazi in condivisione, più smart working: ecco come cambia l'ufficio dopo il coronavirus

Come cambiano e come si trasformeranno gli spazi di lavoro dopo l'emergenza da Covid-19? L'intervista a Franco Guidi, ceo del Gruppo Lombardini22.

Il Covid-19 ha cambiato, nell’arco di pochi giorni, il mondo del 
lavoro in Italia. La situazione d’emergenza ha messo a nudo i 
ritardi delle imprese, per esempio, sull’impiego massiccio dello smart
working e delle infrastrutture digitali.

Dopo una fase iniziale di “smarrimento” sta arrivando la reazione 
delle aziende che iniziano a porsi il problema di ripensare alle
 modalità e ai luoghi di lavoro.

Gli studi di progettazione più importanti del Paese
 stanno immaginando già il futuro per proporre ai clienti soluzioni al
 passo con i nuovi paradigmi. Uno di questi è il Gruppo Lombardini22,
 con sede a Milano, che raggruppa 280 professionisti da 17 Paesi.

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Lombardini22: la gestione dello smart working ai tempi dell'emergenza

Franco Guidi, Ceo di Lombardini22, in queste settimane come sono 
state organizzate le attività dello studio per far fronte
all’emergenza?



«All’inizio sono stati giorni molto intensi per trovare le modalità
 più corrette per avere un’infrastruttura tecnologica che garantisse la
 possibilità di accedere ai server in modo sicuro e che, soprattutto,
 consentisse di lavorare con la nostra grande mole di dati archiviati e
 condivisi sui server: dai rendering ai video, fino alla parte di
 progettazione in Bim. In una prima fase, avevamo aperto l’ufficio a tutti per almeno 18 ore
 al giorno, anche il sabato, così da avere meno persone in ufficio.
Restava chiuso solo la domenica per la sanificazione degli ambienti»

Anche uno studio di progettazione può fare smart working?



«Una volta individuata la modalità corretta siamo partiti con le
 sperimentazioni e, adesso, oltre il 95 per cento della nostra
struttura utilizza lo smart working. In sede abbiamo mantenuto solo un 
presidio tecnologico di persone che si occupano dell'assistenza
 telefonica e ai computer di chi lavora da casa e controllano anche la
 manutenzione dei dati che girano sulle nostre connessioni. Nei primi
 giorni abbiamo chiesto al nostro provider di triplicare la banda e anche un ampliamento che arriverà fra 5-6 settimane perché ci sono interventi complicati da fare
 sull'infrastruttura. Comunque, sino a oggi, non abbiamo avuto problemi
 con la connessione e siamo molto contenti della risposta della
 struttura. Certo, non nego che la presenza fisica aiuti nella gestione
 dei processi complessi: siamo uno studio molto grande con quasi 300 
professionisti, abbiamo tutte le competenze all’interno, potersi
 alzare dalla propria postazione e scambiare opinioni con un collega 
accanto o con gli specialisti della prevenzione incendi,
 dell’acustica e delle pratiche amministrative aiuta sicuramente
 l’efficacia del progetto. Ora, queste attività le facciamo in digitale con vari strumenti di condivisione e comunicazione come Zoom, Go to
meeting, Skype e Slark».

Avete ricevuto disdette o cancellazioni da parte dei committenti?



«Abbiamo avuto una sola sospensione, però eravamo in una fase 
preliminare del progetto e il contratto non era stato ancora
predisposto. In generale, continuiamo a portare avanti tutti i
 progetti che erano partiti. Anzi, abbiamo preso anche nuovi lavori».



Come va all’estero?



«Stiamo lavorando poco, nell’ordine del 10 per cento. Siamo più
 presenti in Libano, stiamo facendo qualcosa in Arabia e in Cina, ma non
 abbiamo ricevuto stop».



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Cosa prevedete accadrà finita l’emergenza? Ci sarà un picco di lavoro
 dovuto agli impegni accumulati?



«Questa situazione è destinata a durare, ci stiamo preparando. 
L’importante è la tenuta nel tempo, l’orizzonte è di un mese e poi,
 man mano, vedremo. Dal punto di vista progettuale, non avendo avuto
 blocchi, non ci aspettiamo un picco ma ci dispiace che in questa fase stia mancando l’attività
 commerciale di spinta. La situazione d’emergenza porrà nuove sfide: è molto
 difficile prevedere cosa accadrà in futuro ma ci stiamo preparando,
 per esempio, stiamo pensando a quali tipi di lavori potremmo
 promuovere e che tipo di progetti ci verranno richiesti».



Spazi lavorativi e uffici: cosa cambierà dopo il coronavirus?

L'emergenza ha dato una grossa spinta al lavoro agile, per tante 
persone è cambiato il modo di lavorare, cambieranno anche "gli spazi
 lavorativi" nel prossimo futuro?



«Pensiamo che alla fine di questa turbolenza ci sarà un’accelerazione 
al cambiamento: già c’era una fortissima attenzione alla sostenibilità
 e questa tendenza si rafforzerà. Poi cambieranno i modi di lavorare:
 una riflessione ricorrente riguarda il lavoro smart che viene
 utilizzato da molte aziende all’avanguardia e che l’emergenza di
 questi giorni ha accelerato. Le imprese che erano più in ritardo sono 
state costrette a metterlo in campo in maniera improvvisata e si è
 badato più all’aspetto delle connessioni e meno all’aspetto del change 
managment. A esempio, a come le persone devono lavorare e come deve
 essere cambiata l’organizzazione del lavoro, perché un conto è gestire 
le persone vedendole e un conto è farlo con il personale a casa. Servono 
skill differenti da parte di chi coordina».



Si può già pensare a uffici intelligenti per lo smart working?



«Sicuramente gli uffici cambieranno perché oggi ci sono sempre meno
 spazi dedicati alle persone e sempre più spazi di lavoro condiviso per 
il team con un menù di postazioni ricco. Oggi si aggiunge
 la postazione da casa. Il co-working, idea vincente del passato,
 forse va ripensato perché il controllo del proprio spazio dopo questa
 emergenza diventerà molto più importante: sono riflessioni che
 facciamo all’interno di Lombardini22 con Degw, che è la nostra 
divisione che si occupa di workplace e, da sempre, va alla ricerca delle
 nuove modalità di lavoro consentite dalla tecnologia. Oggi per noi è 
un grande esperimento, su una scala che non si era mai vista prima. Gli orari rigidi erano concetti del secolo scorso, legati alla
 fabbrica, al lavoro insieme. Gli schemi che ci siamo dati da soli, in 
realtà, possono essere cambiati velocemente"
».

Dal punto di vista economico il prezzo da pagare sarò alto, ma tutto 
questo, ci lascerà qualcosa in “eredità”?



«Fino a oggi abbiamo vissuto una forte urbanizzazione: molte 
multinazionali come a esempio Microsoft, hanno deciso di spostarsi in
 centro città e hanno ridotto gli spazi perché i servizi che avevano 
all’interno del campus, sono dati dal contesto urbano. Poi i talenti amano 
vivere in un ambiente cittadino dove c’è offerta culturale, viabilità e socialità. Questo ha portato a un incremento dei costi
 delle case e del tempo degli spostamenti perché la città diventa
 sempre più affollata. In alcuni Paesi come gli Stati Uniti, si sta
 rispondendo con una crescita urbana più rallentata perché le persone
 con il telelavoro riescono a risparmiare il tempo dei trasferimenti.
 Si recuperano ore ogni giorno, si elimina lo stress come quello degli
 orari di punta e magari si può arrivare in sede in città a orari
 diversi, dopo aver fatto una parte di lavoro da casa».

Cosa ne possiamo dedurre?

«
La sintesi è: meno tempo dedicato agli spostamenti, più tempo per
 lavorare e prezzi accessibili delle case in periferia dove si trovano 
anche soluzioni più gradevoli dal punto di vista dell’ambiente. Per 
questo per le città si parla di strategia multi-channel: si può
 lavorare in ufficio, da casa ma anche in spazi terzi, dai bar alle 
stazioni passando per gli aeroporti ai co-working. Ultimamente, in
 alcuni Paesi, anche gli alberghi affittano di giorno le camere per
 attività di business. Ecco, forse, questa parte della condivisione
 sarà più complicata, dopo il virus saremo più attenti anche perché le
 persone si sono rese conto che è possibile lavorare a distanza e lo
 chiederanno anche dopo l’emergenza. Anche le aziende ne hanno capito i
vantaggi e, nel tempo, concederanno sempre più flessibilità ai propri
 dipendenti».


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