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Mene, Mene, Tekel, Upharsin: l'avvertimento di Dio sul futuro del mondo

Un capitolo della Bibbia ci invita a riflettere sul futuro del mondo e sulla necessità di agire, ora.

Il pericolo del cambiamento climatico

L'avvertimento di Dio prima della la caduta di Babilonia

Mene, Mene, Tekel, Upharsin”, questa citazione, pronunciata secoli fa in un contesto completamente diverso, offre una prospettiva sorprendente sull’attuale crisi del cambiamento climatico.

Sebbene possa sembrare distante nel tempo e nella cultura, la sua essenza richiama l’attenzione su come, attraverso le nostre azioni, possiamo pesare il destino del nostro pianeta.

Il messaggio di giudizio

Nel racconto biblico, questa enigmatica frase è apparsa durante un sontuoso banchetto reale, un momento di eccesso e indifferenza, mentre il re Belshazzar si divertiva.

Prima della sua caduta, Babilonia era una città di splendore e potenza, considerata uno dei più grandi centri del mondo antico. Situata lungo il fiume Eufrate, nella moderna Iraq, era il cuore di un impero che raggiungeva vasti territori.

Babilonia era rinomata per la sua imponente architettura, inclusi i Giardini Pensili, una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico, e per il suo avanzato sistema legale, codificato nel Codice di Hammurabi.

Era un momento in cui la consapevolezza delle conseguenze delle azioni umane era quasi inesistente.

Questa scritta sul muro serviva da messaggio di giudizio divino, avvertendo che il regno era stato pesato e trovato mancante, destinato a essere diviso e distrutto.

La frase "Mene, Mene, Tekel, Upharsin" è scritta nella Bibbia, nel libro di Daniele. Appare nel capitolo 5, durante la narrazione del "Banchetto di Baldassarre". Si riferisce al misterioso messaggio scritto da una mano divina sul muro del palazzo del re durante un banchetto. Il profeta Daniele è stato chiamato per interpretare le parole, e ha spiegato che esse predicevano la caduta del regno di Baldassarre a causa della sua empietà e del suo sacrilegio. 

Riflessione sul futuro del Mondo

Oggi, nella nostra epoca moderna, il paragone può sembrare audace, ma è una chiamata all’azione urgente.

La nostra società ha “numerato” le emissioni di gas serra, abbiamo “pesato” gli impatti distruttivi del riscaldamento globale, e ora il nostro pianeta è “diviso” tra coloro che cercano di affrontare la crisi climatica e coloro che ignorano ancora i segnali di pericolo.

Chiamiamo "realisti" coloro che negando in parte l'urgenza del cambiamento cercano di rallentare le scelte ineludibili che dobbiamo compiere.

In questi giorni, diverse istituzioni stanno formulando decisioni cruciali. Sembra che, sotto il peso della paura del fallimento o del timore verso il cambiamento, si stia registrando un regresso su decisioni chiave, come quelle relative alla mobilità elettrica.

E la stampa intera applaude queste scelte. La narrazione che ci viene proposta è che così contrastiamo l'ascesa dell'industria automobilistica cinese, salviamo migliaia di posti di lavoro. La verità è che mancano ancora 12 anni alla scadenza fissata a livello internazionale, la ricerca sulle batterie, sulla produzione di energia rinnovabile, sull'uso diverso dei mezzi di trasporto ha tutto il tempo per proporci soluzioni alternative. Ma preferiamo non correre il rischio, abbiamo il timore che i nostri ricercatori non siano all'altezza, e decidiamo di ignorare il vero pericolo che incombe su di noi, quello del cambiamento irreversibile del clima.

Nel mese di marzo, su questa testata, riportavamo nell'articolo "Nuovo rapporto IPCC sul clima: dovremmo correre, ci limitiamo a camminare" i dati del rapporto sul clima e la frase di Hoesung Lee, il presidente del panel sul clima, "Il ritmo e la scala di ciò che è stato fatto finora e i piani attuali sono insufficienti per affrontare il cambiamento climatico. Stiamo camminando quando dovremmo sprintare".

Ma rispetto a marzo le ultime decisioni si porterebbero a scrivere che "dovremmo correre, ma stiamo fermi, per paura di inciampare"

Il pericolo imminente

Il cambiamento climatico è una minaccia immediata per l’umanità e l’intero ecosistema terrestre.

I segnali sono chiari: temperature globali in aumento, biodiversità in declino, livelli del mare in crescita e eventi climatici estremi sempre più frequenti. Il pericolo è tangibile, e il tempo stringe.

Ma possiamo ancora agire.

Come individui e come società, abbiamo la capacità di “pesare” le nostre azioni e adottare misure che riducano le emissioni di gas serra, promuovano fonti di energia sostenibile e incoraggino pratiche più ecologiche.

Possiamo “numerare” i giorni in cui il cambiamento climatico può essere rallentato, ma dobbiamo agire ora.

“Mene, Mene, Tekel, Upharsin”

La citazione “Mene, Mene, Tekel, Upharsin” ci invita a riflettere sul nostro ruolo nella sfida del cambiamento climatico.

Non possiamo permetterci di ignorare il messaggio di giudizio implicito: il futuro del nostro pianeta è nelle nostre mani.

È tempo di “numerare” i giorni che ci restano e “pesare” le nostre azioni per garantire un futuro sostenibile per le generazioni a venire.

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