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Legge Cantiere Veloce Veneto: la Consulta dice no allo stato legittimo degli edifici! Dettagli e conseguenze

Corte Costituzionale: gli abusi edilizi e le difformità (anche parziali) pregresse non si possono legittimare con leggi regionali relative allo stato legittimo degli edifici

Attenzione alla portata 'potenziale' della sentenza 217/2022 della Corte Costituzionale, perché di fatto va a sancire l'irregolarità dell'articolo 7 di una legge, la n.19 del 30 giugno 2021 della Regione Veneto (Semplificazioni in materia urbanistica ed edilizia per il rilancio del settore delle costruzioni e la promozione della rigenerazione urbana e del contenimento del consumo di suolo – “Veneto cantiere veloce”), che ha introdotto l’art. 93-bis nella legge regionale 61/1985 (Norme per l’assetto e l’uso del territorio), con potenziali conseguenze importanti alla voce 'abusi edilizi' e conseguenti ordinanze di demolizione.

Andiamo per gradi.

Stato legittimo immobili: cosa prevede la Legge "Cantiere Veloce"

Denominata "Cantiere Veloce", la legge impatta sugli immobili 'protagonisti' di variazioni edilizie non essenziali prima del 30 gennaio 1977.

Secondo le modifiche apportate alla vecchia legge regionale del 1985, se tali immobili sono in proprietà o in disponibilità di soggetti che non hanno apportato tali variazioni non essenziali e sono dotati di certificato di abitabilità o agibilità, lo stato legittimo "coincide con l'assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l'efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi".

Prendendo le mosse dal comma 1 dell’art. 93-bis della legge reg. Veneto n. 61 del 1985, la Corte segnala che quest’ultimo associa lo stato legittimo dell’immobile a un documento – il certificato di abitabilità o agibilità – che è ben diverso dal titolo abilitativo edilizio, richiesto dall’art. 9-bis, comma 1-bis, Testo Unico edilizia sul presupposto della sua obbligatorietà. E il titolo abilitativo era, in effetti, obbligatorio nel periodo e rispetto al tipo di intervento (le variazioni non essenziali), cui si riferisce la disposizione regionale.

Praticamente, questa nuova norma certifica la sostituzione del certificato di agibilità/abitabilità al titolo abilitativo edilizio per le modifiche ante 29/1/1977.

Tra Legge Urbanistica e Testo Unico edilizia: la legge statale prevale sempre su tutto

Ma visto che la legge n. 1150 del 1942 (Legge sull'Urbanistica), modificata nel 1967, ha portato con se l'obbligo del titolo edilizio dopo il 1967 per gli interventi di nuova costruzione, ampliamenti, modifiche o demolizioni, di conseguenza - osserva la Corte Costituzionale -, la Regione Veneto con questa 'novella' va a derogare le norme statali nel periodo tra il 1° settembre 1967 e il 29 gennaio 1977. E, lo sappiamo bene, alla gerarchia delle leggi non si transige (Stato, Regioni, enti locali, in quest'ordine decrescente di priorità).

Non convince, pertanto, secondo la Consulta, l’argomentazione sviluppata dalla difesa regionale, secondo la quale, prima dell’entrata in vigore della legge n. 10 del 1977, le variazioni non essenziali, in quanto non disciplinate, sarebbero state per prassi consentite, fatta salva la semplice ispezione compiuta in vista del rilascio del certificato di abitabilità ex art. 221 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie).

Di seguito, con la legge n. 10 del 1977, il regime sanzionatorio è stato semplicemente graduato secondo uno schema generale tuttora vigente:

  • le opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità dalla stessa dovevano essere demolite a spese del proprietario o del costruttore (art. 15, terzo e ottavo comma);
  • le opere invece realizzate in parziale difformità dovevano essere demolite a spese del concessionario, ma, ove non potessero essere rimosse senza pregiudizio per le parti conformi, il concessionario restava assoggettato a una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 15, undicesimo comma).

Variazioni essenziali e non essenziali in edilizia: poi arrivò la SCIA...

A tale graduazione sanzionatoria si è, successivamente, correlata la differenziazione tra variazioni essenziali e non essenziali, introdotta dagli artt. 7 e 8 della legge 47/1985, cd. Primo Condono Edilizio (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), di seguito trasfusi negli artt. 31 e 32 Testo Unico Edilizia.

In particolare, le variazioni essenziali vengono assoggettate al più severo regime sanzionatorio proprio della totale difformità, mentre quelle non essenziali restano ascritte al vizio della parziale difformità, correlato alle sanzioni stabilite, all’epoca, dall’art. 12 della legge 47/1985 e, di seguito, dall’art. 34 del Testo Unico edilizia.

Né tali variazioni sfuggono ad una connotazione in termini di violazioni amministrative, in conseguenza del decreto-legge 133/2014 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 164/2014, che ha inserito il comma 2-bis nell’art. 22 TU edilizia, in cui viene contemplata la possibilità di presentare una segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) in caso di varianti al permesso di costruire che non costituiscano variazioni essenziali, se realizzate in corso di esecuzione dei lavori.

La legittimità delle opere in parola sussiste, pertanto, soltanto a condizione che la SCIA inerente alle varianti al permesso di costruire sia comunicata a fine lavori, tramite attestazione del professionista.

Di conseguenza, la citata disciplina non può risolvere il problema delle variazioni non essenziali che non soddisfino tale condizione, le quali continueranno a costituire una parziale difformità ai sensi dell’art. 34 t.u. edilizia, salva l’eventuale sanatoria di cui all’art. 36 t.u. edilizia, ove ne ricorrano i presupposti.

...prima del Decreto Semplificazioni

L’unica ipotesi in cui possono ritenersi regolari difformità esecutive rispetto a titoli abilitativi rilasciati in passato è quella delle cosiddette tolleranze costruttive, previste per la prima volta dall’art. 5, comma 2, lettera a), del decreto-legge 70/2011 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, che aveva introdotto il comma 2-ter nell’art. 34 t.u. edilizia, e di seguito disciplinate dal nuovo art. 34-bis t.u. edilizia (introdotto dall’art. 10, comma 1, lettera p, del DL 76/2020, cd. Decreto Semplificazioni 1.

Quest’ultimo, in particolare, stabilisce che le tolleranze costruttive – ossia le difformità esecutive contenute nel limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo – non costituiscono violazioni edilizie (commi 1 e 2) e che, ove «realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi […] sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali» (comma 3).

Quindi: le difformità eccedenti la soglia del 2%, ancorché risalenti nel tempo, restano variazioni non essenziali, che integrano una parziale difformità.

L'incostituzionalità della legge Veneto

Si arriva quindi al dunque, in quanto si palesa il contrasto dell’art. 93-bis, comma 1, della legge reg. Veneto n. 61 del 1985 rispetto all’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, là dove, con riferimento a fattispecie per le quali la norma statale richiede il titolo abilitativo edilizio, affida la dimostrazione dello stato legittimo dell’immobile al ben diverso documento costituito dal certificato di abitabilità o di agibilità.

In particolare, se è certamente vero che, in base all’art. 221 del r.d. n. 1265 del 1934 (vigente nel periodo cui si riferisce la disposizione regionale), tale certificato doveva essere rilasciato solo dopo aver verificato che la costruzione fosse stata eseguita in conformità al progetto approvato, nondimeno, questo non giustifica che tale documento possa surrogarsi al titolo abilitativo edilizio.

Ne deriva quindi l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Veneto n. 19 del 2021, che ha introdotto l’art. 93-bis, comma 1, nella legge reg. Veneto n. 61 del 1985.

Attestazione e titolo edilizio precedente: come si fa?

L'altro comma incostituzionale è il n.2 dell'art.7 legge 19/2021, il quale dissocia lo stato legittimo dell’immobile dal titolo abilitativo edilizio, apparentemente correlandosi al secondo periodo dell’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, che esclude, ai fini dello stato legittimo, la necessità di tale documentazione per il periodo in cui il titolo edilizio non era obbligatorio.

Ma in effetti, prima della legge n. 765 del 1967, entrata in vigore proprio il 1° settembre 1967, l’art. 31 della legge n. 1150 del 1942 imponeva in via generale la licenza di costruzione solo nei centri abitati e, per i comuni dotati di un piano regolatore generale, nelle zone di espansione esterne a essi.

Ma - osserva la Consulta - c'erano già altre norme che in alcuni casi potevano rendere necessario una forma di autorizzazione, anche prima della stessa legge urbanistica del 1942. 

Tra queste, il RD 640 del 1935 sulle costruzioni in zone sismiche e il RD 2105 del 1937.

Semplificando, l’art. 9-bis, comma 1-bis, del Testo unico edilizia, là dove si riferisce alla obbligatorietà del titolo, abbraccia certamente anche le citate fonti, il che determina il disallineamento dell’art. 93-bis, comma 2, della legge regionale impugnata che, viceversa, ascrive tali casi, in cui era obbligatorio il titolo, alla modalità semplificata di attestazione dello stato legittimo.

A ciò si aggiunga che il citato art. 93-bis, comma 2, non si limita a riconoscere – ai fini dello stato legittimo – la possibilità di avvalersi di altri documenti in mancanza del titolo edilizio, ma dispone altresì d’imperio la non efficacia di titoli abilitativi rilasciati in adempimento di obblighi previsti da fonti primarie speciali o da fonti non primarie.

Ne deriva che la legge veneta, andando a impattare su norme di rango superiore, è incostituzionale.

Le possibili conseguenze: tra sanatorie (possibili?) e rischio demolizione

A livello operativo, potrebbero configurarsi due situazioni per chi ha ampliato o ristrutturato il proprio edificio prima del il 1977 (cioè tra il '67 e il '77) in virtù della Legge Cantiere Veloce :

  • le irregolarità sono inferiori al 2% (limite di tolleranza): tutto ok;
  • le irregolarità sono superiori al 2%: bisogna chiedere un permesso di costruire in sanatoria, ma se il comune lo nega, scatta teoricamente la sanzione demolitoria (o, quantomeno, una multa pecuniaria).

Per quel che riguarda invece gli immobili realizzati prima del 1967, la situazione è ancora più complessa in quanto secondo la Legge urbanistica serviva comunque un titolo abilitativo, mentre per la Legge 'irregolare' del Veneto no. E qui torniamo al punto due di cui sopra...


LA SENTENZA 217/2022 DELLA CORTE COSTITUZIONALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE

Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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