LE RIVOLUZIONI ELITARIE
.... una innovazione è tale quando ad esempio il mio lavoro diventa più semplice
LE RIV⭕LUZIONI ELITARIE
Ebbene si in questo nostro tempo, tutto da decifrare, sono nati fenomeni cosi particolari che a volte fatichiamo a collocarli ed a definirli.
In questi giorni mi è venuto in mente il termine “rivoluzione elitaria” come associazione di causa ed effetto di fenomeni e conseguenti comportamenti di massa.
Il tema della riflessione è la grande trasformazione che le tecnologie ITC (Information and Communication Technologies) hanno portato società moderna. (P.S. in molti nel nostro paese le chiamano “TIC” il che evidentemente rappresenta qualcosa di più di un “lapsus froidiano”)
La cosa più appariscente sono lo scintillio delle luci ovvero tutti quegli aspetti che sorprendono, entusiasmano, ci fanno sentire parte di una sorta di futuro fantascientifico dove il possibile e l’impossibile hanno perduto i loro contorni.
E quindi internet, i processi digitali, il mercato on line, i servizi sulla rete, il web, la comunicazione sui social, gli smartphone, il real time come stile di vita, la partecipazione ad infiniti ed ossessivi dibattiti virtuali.
Le identità di molti individui sono state ridefinite ed addirittura sostituite dai loro avatar presenti sui social.
Nel lavoro di molti professionisti, nel mio di architetto, questi grandi cambiamenti sono consistiti in fallimentari tentativi di semplificazione delle normative, nell’obbligo di identità digitali, nella mai riuscita dematerializzazione dei progetti, nelle procedure on line (contorte e farraginose) con le pubbliche amministrazioni. E ancora, adozioni di regolamenti europei, recepimento di direttive comunitarie, legislazione impazzita, riconversione dei cicli lavorativi, in un interminabile girandola che sembra non aver mai fine e non trovare mai una dimensione stabile.
Da sempre ho pensato che una novità può definirsi tale quando va a sostituire qualcosa di “obsoleto e contorto” in maniera semplice efficace e soprattutto accessibile a tutti.
In parole povere una innovazione è tale quando ad esempio il mio lavoro diventa più semplice, maggiormente produttivo e più comprensibile a tutti in maniera EVIDENTE, senza sé e senza ma e senza che nessuno possa neanche pensare ... “era meglio come lo facevamo prima”.
Nella realtà la rivoluzione informatica che ha investito la nostra società e la nostra professione sconta almeno due grandi “peccati”:
Il primo peccato è stato quello per cui i cambiamenti sono stati pensati e realizzati completamente a spese degli utenti (e dei professionisti), senza chiedere se fossero d'accordo; il secondo è che ogni visione di futuro messa in campo è stata consegnata nelle mani di persone spesso mediocri o addirittura incapaci che hanno trasformato le buone idee in pessime iniziative.
Ed è cosi che ci ritroviamo in una condizione nella quale abbiamo perduto addirittura molte libertà di scelta personali, sia nel lavoro che nella attività professionale, senza rendercene conto ma anzi dovendoci assumere spesso il “senso di colpa” di “non essere pronti a stare dietro all’evoluzione del mondo”.
... degli esempi ... la PEC che doveva servire a certificare” l’attività di un professionista ora viene prevalentemente utilizzata dalla Agenzia delle Entrate per bersagliarci di cartelle esattoriali (il più delle volte attraverso “cartelle pazze” ... ma si sa fanno numeri nel recupero), i conti bancari on line richiesti per favorire i “pagamenti” dei clienti, anch’essi purtroppo sono diventati il bersaglio dei creditori dei professionisti. Le polizze professionali ci espongono a qualsiasi richiesta di risarcimento danno, le piattaforme digitali ci fanno dichiarare l’indichiarabile attraverso strane e contorte diciture da sottoscrivere. Le fatture elettroniche contabilizzano le nostre richieste di compensi ma non ci tutelano dai mancati pagamenti. Le procedure di invio telematico che spesso si concludono con la richiesta della “copia cartacea di cortesia....
Non credete che qualcuno possa volersi sentire libero e non controllato e magari non avere la PEC né la firma digitale né il telefonino né il conto on line e ciononostante voler continuare a fare l’architetto?
I numeri snocciolati dalle varie agenzie digitali sono eclatanti, suggestivi, a volte affascinanti ma la realtà dei fatti è molto diversa.
Una percentuale consistente del mondo professionale, che supera di gran lunga il 70%, avverte un disagio piccolo o grande che sia per le cose poc'anzi dette e ciò ci riporta al termine “rivoluzione elitaria”.
Non importa quanti sia bello, buono o giusto un cambiamento, quanto sia necessario o propizio quello che conta è che ne possano far parte la maggior parte delle persone che di questo cambiamento ne sono la componente essenziale, che lo deve condividere prima di accettarlo.
I cambiamenti hanno bisogno di cuore e muscoli ma anche di un pensieri e di una visione del futuro.
Non basta un ristretto gruppo di “utenti esperti” o di tecnici che ne certifichino l’efficacia e l’efficienza è necessario che nessuno resti indietro.
Taluni cambiamenti non possono neanche essere giustificati dai risparmi di spesa che solo alcune delle parti metteranno a bilanci.
La rivoluzione digitale nel nostro paese ha mietuto infinite vittime creando il primo caso nella storia dell’uomo di “emarginazione professionale”, una condizione generata da varie e diverse cause ma che ha determinato gli stessi effetti: espulsione dal mercato del lavoro, ridimensionamento verso il basso dell’attività o difficolta immense ad esercitare una attività.
La visione di futuro, l’orizzonte di una città digitale, di un lavoro più semplice ed accessibile è finita, scomparsa, non più riconoscibile e le speranze, del cambiamento positivo, hanno lasciato il posto ad una macchina infernale piena di rischi e di sorprese sgradite.
Tutti coloro che hanno provato a immaginare di trasformarsi nei professionisti del terzo millennio, i viaggiatori della conoscenza, sono precipitati in un grande incubo in bianco e nero che li vede sempre più lontani dal loro mestiere intellettuale e sempre più vicini a mansioni del tipo: “bracciante per conto terzi”, dovendo acquistare a proprie spese gli attrezzi del mestiere e pagando di persona le carenze e le mancanze di altri.