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Le regole per gli affidamenti alle Università senza gara

Il commento dell'avv. Sara Valaguzza sulla recente delibera di ANAC in merito affidamento delle attività di monitoraggio di ponti e viadotti.

Sulla Delibera ANAC relativa agli affidamenti alle Università delle attività di monitoraggio dei ponti e viadotti

Non è nuova la questione affrontata di recente dall’ANAC con la delibera n. 179 del 3 maggio 2023, che ha espresso parere negativo sul Protocollo d’intesa siglato dalla Provincia di Verona e dalle Università degli Studi di Padova e di Brescia per lo svolgimento di attività di ricerca sul tema della gestione, classificazione, valutazione, controllo e monitoraggio di ponti, viadotti e opere d’arte esistenti sulla rete stradale provinciale.

La decisione di ANAC era prevedibile, considerate le peculiarità del caso.
Sulle cautele da rispettare per gli affidamenti alle Università sono ben consolidati i principi di tutela della concorrenza, che appartengono al sistema da una decina di anni e che, non si sa come mai, hanno applicazioni ballerine nella prassi.

L’argomento è certamente rilevante per il diritto europeo - che è il regno del sostanzialismo - per il quale non rileva se l’ente destinatario di un incarico si chiami Università, Centro di ricerca, Società, Ente o altro.

E qui la sostanza è presto detta: ogni attività potenzialmente offerta sul mercato deve poter essere oggetto di confronto competitivo.

Costituiscono eccezione solo le strategie di cooperazione tra enti pubblici sottratte alle logiche della prestazione dei servizi e ricondotte a quella del partenariato pubblico-pubblico, gestite in comune con l’assunzione in proprio delle spese da parte degli enti cooperanti, salvo prevedere rimborsi per riequilibrare gli impegni delle parti.

Molti enti pubblici, per affidare incarichi alle Università, ricorrono ancora allo schema pubblicistico contenuto nell’art. 15 della Legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990, che ammette la possibilità per le amministrazioni di concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
Senonché, non basta richiamare quella norma per essere sicuri di non incorrere in infrazioni del diritto della concorrenza.

Sia l’ANAC sia la giurisprudenza, anche quella della Corte di Giustizia - peraltro in un caso piuttosto noto che aveva coinvolto un rinomato Ateneo italiano - avevano chiarito i limiti dell’affidamento diretto alle Università, ritenendolo praticabile e non elusivo della matrice concorrenziale solo a patto che l’accordo fosse coerente con le finalità istituzionali di ciascuno dei sottoscrittori e senza che, in alcun modo, potesse configurarsi una prestazione di servizi, remunerata come tale.

In altre parole, utilizzando l’espressione “comunione di interessi” si vuole escludere che possa essere giustificato in deroga alle regole della gara un affidamento che, pur formalmente ricondotto all’art. 15 della L. n. 241/1990, sia riconducibile, nella sostanza, ad un rapporto del genere domanda versus offerta di servizi.

Quindi, posto che le finalità istituzionali delle Università sono le attività di ricerca, innovazione e disseminazione di buone prassi, entro questo ambito deve restare circoscritta la fattibilità giuridica di un affidamento senza gara.

E, difatti, anche l’ANAC ha riconosciuto coerenti con le finalità delle Università le attività legate alla formazione del personale dipendente, al supporto, alla ricerca e all’archiviazione dei dati, mentre sono state ritenute configurabili come servizi di ingegneria e architettura, nel caso che ha originato il parere a cui si è fatto riferimento in esordio, la «scansione dei ponti», il rilievo operato con laser scanner o termo scanner o strumenti simili, e l’esecuzione di prelievi e prove di laboratorio sui materiali da costruzione, che peraltro le Università Partners non avrebbe svolto direttamente, ma attraverso laboratori certificati per le prove sui materiali.

Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è dovuta intervenire sul tema e ha chiaramente espresso il proprio avviso, concludendo che “L’attività di ricerca e consulenza, anche se in favore di enti pubblici, non può essere indiscriminata, sol perché compatibile, ma deve essere strettamente strumentale alle finalità istituzionali dell’Ente, che sono la ricerca e l’insegnamento, nel senso che giova al progresso della ricerca e dell’insegnamento, o procaccia risorse economiche da destinare a ricerca e insegnamento. Non si può pertanto trattare di un’attività lucrativa fine a sé stessa perché l’Università è e rimane un ente senza fine di lucro” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 3 giugno 2011, sentenza n. 10).

Tradotto: nessuna norma nazionale può essere interpretata nel senso di condurre ad affidamenti senza gara se non in presenza di obiettivi condivisi e comuni di interesse pubblico, senza scopo lucrativo e comunque purché non si creino situazioni privilegiate in favore di qualcuno a danno di altri.

Questa conclusione non vieta - è bene tenerlo presente - che le Università, per gli affidamenti di servizi, possono concorrere a gara con altri operatori del mercato, in regime di concorrenza, secondo le modalità previste dal Codice.

Il tutto è piuttosto logico: immaginiamo per un momento che un’Università riceva in via diretta, da parte di un ente pubblico, un incarico che potrebbe essere svolto su un qualsiasi mercato dei prestatori di servizi, siano ingeneri, architetti, avvocati, economisti, geometri etc.

Quell’Università utilizzerà, per svolgere le attività contrattualizzate, propri docenti, professori, ricercatori, assegnisti, che ricevono peraltro già un pagamento per le loro ore di lavoro, da dedicarsi in via esclusiva all’ente di ricerca, loro datore di lavoro.

Bene, questo modo di procedere danneggerebbe tre volte la concorrenza: una prima volta per l’incarico affidato senza gara, che quindi non è reso contendibile sul mercato; una seconda volta perché quella Università potrà poi partecipare a gare e alterare il mercato grazie ai benefici ottenuti dall’affidamento diretto, offrendo prezzi inferiori sfruttando le economie di scala e le conoscenze della domanda pubblica acquisite per il tramite degli affidamenti in deroga; una terza volta perché le Università ricevono gli incarichi in via diretta ma poi vengono autorizzate, da Protocolli simili a quello in questione, ad attivare collaborazioni esterne, a propria scelta e senza gara, ad avvalersi di strutture specialistiche e laboratori di altri.

A me pare che occorra separare i due regimi.

Da un lato, il meccanismo dei fondi destinati alla ricerca, che dovrebbe essere ancora più concentrato sul sistema universitario, che, a sua volta, dovrebbe impegnarsi a introdurre innovazione, a proporre metodologie derivanti dal brain storming collettivo e interdisciplinare che, almeno in passato, caratterizzava le accademie.

Dall’altro, le prestazioni libero professionali dovrebbero essere lasciate ai professionisti e al mondo dell’iniziativa economica privata, che se ne assume in toto rischi e responsabilità e che ha un proprio modo di sviscerare processi e darsi obiettivi, di offrire risposte convincenti con risorse proprie, senza gravare sul lavoro di chi viene già pagato dallo Stato per insegnare e fare ricerca.

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