Digitalizzazione
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Le Logiche Collaborative o Coercitive nelle Commesse Digitalizzate

Una riflessione di Angelo Ciribini sulla centralità e l'intelligenza del dato nelle Commesse Digitalizzate

Le circostanze che, come co-autore (con Silvia Mastrolembo Ventura) di un documento di riflessione promosso da AssoBIM sul ruolo assunto dalla Domanda Pubblica nei processi di digitalizzazione del settore, e come convenor del progetto di rapporto tecnico UNI 11337-8 sulla funzione generica committente in analogo argomento, hanno condotto lo scrivente a occuparsi del tema, gli sollecitano alcuni elementi di discussione fondamentali.

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Centralità e intelligenza del dato

Il primo di essi riguarda la sempre maggiore centralità e intelligenza del dato, o meglio dell’uso che di esso si possa fare, fatto che spiega bene perché oggi piattaformizzazione e piattaforme siano nozioni cruciali, ma che, di conseguenza, evoca altresì un interrogativo relativo alla natura dirigistica o cooperativa dei processi digitali medesimi.

Il che, peraltro, proprio nell’universo dell’economia delle piattaforme, ha strettamente a che fare con la questione dell’intelligenza centralizzata o distribuita, affine, ad esempio, tanto agli ambienti di condivisione dei dati quanto agli assistenti vocali.

Le soluzioni distribuite appaiono, infatti, per così dire, più democratiche, ma, in definitiva, forte è la tentazione di investire su quelle centralizzate.

Ora, se il concetto di piattaforma oscilla tra una accezione olistica e onnicomprensiva (tale per cui, ad esempio, si parla di ecosistemi o di portali) e una circoscritta e analitica (che va dal singolo applicativo all’ambiente di condivisione stesso), la piattaformizzazione riguarda la possibilità che, avvalendosi delle piattaforme stesse come soluzioni strumentali, si sia in grado di comprendere e di condizionare i comportamenti di selezione e di acquisto degli attori: dal prodotto finanziario al componente edilizio.

Per meglio dire, questa accresciuta capacità deriverebbe dalla eventualità di avere profilato il singolo interlocutore, o almeno la categoria a cui appartiene, al fine di fare leva sugli aspetti che egli o ella ritiene predominanti.

Questa modalità, caratteristica, tra gli altri, dei social network, sarà, del resto, sempre maggiormente praticabile in scenari meno generali, tipici di dominî particolari.

In verità, la forma più compiuta di piattaformizzazione dell’ambiente costruito consisterebbe nel rendere i cespiti immobiliari e infrastrutturali veicolo di erogazione di servizi alla persona che, nelle versioni meno democratiche, farebbero di quest’ultima l’oggetto di un nuovo business model.

Per certi versi, provocatoriamente, si potrebbe affermare che tali cespiti possano diventare il mezzo per raccogliere il consenso da parte dei cittadini.

Logiche digitali di gestione di una commessa possono essere davvero collaborative

Queste considerazioni generali di ampio spettro aiutano a introdurre il quesito principale: le logiche digitali di gestione di una commessa possono essere davvero collaborative, ovvero possono introdurre nelle relazioni contrattuali meccanismi atti a rendere questi rapporti dotati di maggiore flessibilità e di offrire valore aggiunto da distribuire tra le parti in causa?

È chiaro che, in apparenza, qualunque narrativa che riguardi, in primo luogo, il «BIM» non fa che rimandare a espressioni quali integrazione o interoperabilità, dunque alla interazione tra i soggetti coinvolti: all’interno di dispositivi tecnologici che definiamo, appunto, piattaforme.

Non è, in fondo, un caso che l’auspicio generale sia rivolto alla costituzione di ambiti digitali in cui un investimento, pubblico, privato o partenariale, si svolga, senza soluzioni di continuità, entro di essi, dalla valutazione della fattibilità almeno alla prima parte della fase di esercizio e di gestione del bene «gemellato».

Il fatto, tuttavia, che ogni atto, persino ogni intenzione, degli operatori coinvolti nella commessa, o nel procedimento, debba avvenire, in termini di efficienza e di efficacia, all’interno di un ambiente che preveda relazioni, ontologie, semantiche, registrazioni, secondo regole ben (pre-)determinate è condizione necessaria, ma che, nel contesto estremo in cui i dati agiscano direttamente entro le transazioni per parzialmente governarle, non semplicemente supportarle, induce a dubitare della possibilità che siano garantite tutte le simmetrie informative e che i processi possano accadere in condizioni di assoluta trasparenza e cooperazione.

Se, infatti, i processi, «ospitati» dalle piattaforme, sembrano, non per nulla, «costringere» alla aggregazione, di conoscenza, di dimensione, di convenienza, giocandosi la speranza che le culture professionali e imprenditoriali possano convergere e che le micro e le piccole organizzazioni possano sopravvivere, non si può non chiedersi se questa intenzione possa davvero risolversi virtuosamente, soprattutto, a quali patti ciò possa avvenire.

Naturalmente, in un racconto idealizzato, tale coazione «positiva» dovrebbe spettare alle strutture di committenza che, invero, sembrano spesso attori improbabili in tale funzione, se non forse per eccezioni e, in particolare, per gli sviluppatori immobiliari.

Al contempo, però, è, al contrario, probabile che le stesse compagini e coalizioni professionali o imprenditoriali dell’Offerta utilizzino i dispositivi digitali per regolare i rapporti negoziali interni.

Se, perciò, tutto l’irenismo che si professa a proposito dell’ecosistema digitale riflettesse l’eterogeneità identitaria dei punti di vista e degli interessi degli stakeholder, il soggetto gestore dell’ambito digitalizzato potrebbe avere buon gioco, determinando le regole di ingaggio, sempre più interpretabili dalla macchina, a dirimere o, addirittura, a prevenire i contrasti.

Non è chi non veda in tutto ciò i rischi, o le opportunità, che si profilano per il settore.

Conferire agli attori una autentica cultura del dato

La maniera migliore per scansare e per scongiurare logiche non paritarie ed eterodirezioni entro i fenomeni di piattaformizzazione sta nel conferire agli attori una autentica cultura del dato.

Se, al contrario, si volesse proporre una versione analogica della digitalizzazione, come spesso sta avvenendo, si consegnerebbe il mercato a contesti che saprebbero bene come estrarvi, giustamente, a quel punto, valore, intervenendo direttamente o indirettamente.

Bisogna ricordare, infatti, che la recente normativa internazionale ha introdotto una articolazione dei requisiti informativi assai maggiore dei contenuti relativi al solo capitolato informativo, sancendo il fatto che la formulazione delle richieste da parte della Domanda si risolva in un processo piuttosto che non in un documento.

Naturale conseguenza di questo passaggio è, dunque, il progressivo trasferimento di tali richieste da una forma testuale in stringhe di codice, vale a dire in una modalità computazionale in grado di specificarne analiticamente il contenuto, entro un ambiente di condivisione dei dati.

È evidente, perciò, che se le prestazioni attese da parte della committenza, o soggetto proponente, nei confronti della controparte professionale o imprenditoriale, ovvero soggetto incaricato, debbano offrire una conformità verificabile e validabile ai modelli e alle strutture di dati utili per gestire, attraverso il gemello digitale, l’oggetto della questione sarà con molta certezza un certo dirigismo anticipatorio.

Dato che, tuttavia, non saranno molte le committenze in grado di esercitarlo autonomamente e specificamente, potranno forse prevalere schemi pre-costituiti, addebitabili alle entità che gestiscano le piattaforme in cui si svolgono i rapporti contrattuali.

Model View Definition e Data Dictionary

Model View Definition e Data Dictionary potrebbero, in effetti, forse assumere il ruolo di strumenti di (etero?) regolazione di transazioni che, in un certo senso, i Level of Information Need vorrebbero, invece, consapevoli e dialogici.

A queste considerazioni occorre aggiungere la constatazione che la piattaformizzazione, basandosi sulla Intelligence, nell’ottica della Digital Compliance, mira non solo ad assicurare ad alcuni soggetti (i committenti e, soprattutto, i loro finanziatori e investitori, assai più probabilmente che non la collettività e gli utenti) il coordinamento, la verifica e il controllo delle strutture di dati ottenute dai fornitori professionali e imprenditoriali, ma pure è interessata al modo con cui essi li hanno prodotti, per valutarne le logiche e le strategie, nel tentativo di predirne i comportamenti prospettici.

Ciò potrebbe escludere aprioristicamente certi attori dal mercato in quanto non sufficientemente affidabili in termini di mitigazione del rischio.

È palese, perciò, che un certo approccio alla conformità digitale, che oggi si vorrebbe più costruttivo e collaborativo, grazie ai dispositivi che dovrebbero conferire «fiducia» e «confidenza» alle parti in causa (dalle analitiche predittive sino a giungere ai registri distribuiti) rappresentano gli utensili di una cultura industriale digitale che implica notevoli consapevolezze, teoriche, metodologiche e operative, per non scadere in automatismi in cui gli attori siano fortemente condizionati da interessi specifici o da luoghi comuni, grazie a metriche inesorabili.

In un certo senso, infatti, l’approccio combinatoriale potrebbe rendere uniche le soluzioni, normalizzando, però, i comportamenti.

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