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Le deroghe igienico-sanitarie del Salva-Casa e le condizioni di applicabilità

L'articolo analizza la recente modifica dei requisiti igienico-sanitari per gli immobili esistenti, evidenziando la complessità e le contraddizioni nelle sue disposizioni. La norma consente deroghe per l'uso abitativo di unità edilizie esistenti, con restrizioni sull'altezza dei locali e la superficie minima, applicabili solo se si soddisfa il requisito di adattabilità e se sono previsti interventi di recupero o ristrutturazione.

Annunciata come una grande innovazione foriera di possibilità di utilizzazione degli immobili esistenti fin qui insperate, la norma di modifica dei requisiti igienico-sanitari si presenta in realtà un coacervo di disposizioni di difficile e contraddittoria applicazione già a partire dalle condizioni di applicabilità delle deroghe limitate comunque solo all’esistente che l’Autore esamina in questo articolo.

Ne seguirà un secondo in cui saranno affrontate le problematiche delle procedure.


La revisione dei requisiti igienico-sanitari è una delle norme più anticipate e pubblicizzate dagli organi di informazione per cui potrebbe apparire superfluo parlarne: ormai tutti sanno tutto (o così credono).

In realtà le cose sono un po’ più complicate e forse merita esaminare le novità per quello che sono effettivamente e non per quello che ci si poteva aspettare che fossero.

 

Un inquadramento gerarchico-concettuale

Vale la pena notare che sono norme aggiunte al testo originario del decreto-legge e, come si vedrà, soffrono di notevoli approssimazioni e incongruenze.

Per come si presentano si direbbe che le disposizioni introdotte all’articolo 24 del DPR 380/01 dall’articolo 1 comma 1, lett. c-bis della legge n. 105/2024 si pongano come “norme di principio” e come tali siano immediatamente operative sovrapponendosi all’eventuale normazione locale.

Le modalità applicative risultano dunque particolarmente importanti anche perché sul punto dobbiamo dire che molti sono gli aspetti problematici che rendono la norma criptica e contraddittoria, di controvertibile attuazione anche a volersi rifare a quell’interpretazione finalistica che pure abbiamo sollecitato in altri casi. E che comunque qui riprenderemo.

 

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La finalità

Se andiamo agli obiettivi della legge n. 105/2024 il loro inquadramento appare riconducibile al 2° obiettivo (“recupero del patrimonio edilizio”) con un riferimento anche al 3° (“rigenerazione urbana”).

Diciamo, in modo un po’ spicciolo, che tali norme derogatorie tendono a consentire (per il solo esistente legittimo) un uso abitativo di locali o unità edilizie che con le norme a regime sarebbero esclusi.
Ne esamineremo qui le condizioni di applicabilità rinviando ad un successivo approfondimento le procedure.

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In questo articolo l’Autore affronta i presumibili impatti sull’apparato pubblico e privato cui è demandata l’applicazione normativa evidenziandone la complessità interpretativa, ovvero l’“adeguatezza” della norma alla capacità di metterla in pratica. Che, al di là del merito tecnico, potranno essere condizionanti l’efficacia.

 

Le limitazioni applicative

In commenti un po’ frettolosi (o troppo entusiastici) qualcuno ha detto che le altezze degli edifici residenziali sono ridotte a 2,40 m (a fronte dei precedenti 2,70 m) e le dimensioni dei monolocali portate a 20 mq e 28 mq rispettivamente per una o due persone (a fronte dei precedenti 28 mq e 38 mq).

Questo è quanto potrebbe indurre a pensare il comma 5-bis, ma quando leggiamo il comma 5-ter ci accorgiamo che non è tutto oro quello che luccica.

Intanto le modifiche riguardano solamente le tre misure soprariportate (e non altro) e poi le condizioni di applicabilità di queste dimensioni ridotte sono limitate ai soli casi in cui:

  • sia “soddisfatto il requisito dell’adattabilità …” (comma 5-ter)

e soddisfatta anche una delle seguenti ulteriori condizioni

  • i “locali” siano siti “in edifici sottoposti a interventi di recupero edilizio” e “miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie” (comma 5-ter, lett. a)

oppure, in alternativa,

  • vi sia contestuale “presentazione di un progetto di ristrutturazione nel quale siano garantite “idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio” in relazione al numero degli occupanti” (comma 5-ter, lett. b).

  

La questione dell’adattabilità

Prioritario e necessario è dunque che sia soddisfatto il requisito dell’“adattabiltà” richiesto dall’articolo 3, comma 5 del d.m. 236/1089.

Prescrizione generale già da tempo vigente che si ritiene possa essere conseguita anche in sede degli interventi edilizi di cui diremo appresso che condizionano l’avvalersi delle deroghe. Per le specifiche tecniche si rimanda al decreto citato.

  

l requisito del tipo di intervento: “recupero edilizio” o “ristrutturazione”?

Quel che è certo è che la norma si può applicare solo all’esistente (e non alle nuove costruzioni) da sottoporre a intervento della lettera a) (recupero edilizio) o della lettera b) (ristrutturazione).

Cominciamo dalla lettera b) che ci pare la più comprensibile: L’ipotesi della ristrutturazione

Ma quale ristrutturazione?

L’ interpretazione letterale ci porta ad escludere il “risanamento e ripristino conservativo” che invece si poteva pensare essere ammesso (secondo logica) in quanto comportante “un insieme sistematico di opere” (come anche la ristrutturazione) tese a ripristinare funzionalità conservando però “l’organismo edilizio” mentre la ristrutturazione può anche “trasformare l’organismo edilizio”. La distinzione è labile.

Volendo ricondurci comunque alla sola “ristrutturazione” è noto che la ristrutturazione edilizia ha oggi un’estensione molto ampia potendo ricomprendere la totale demo-ricostruzione ed ammettendo anche incrementi volumetrici.

Senza entrare nel merito delle evoluzioni normative ed attenendoci al dettato letterale del comma 5-ter, lett. b) direi che vanno ricompresi tutti i tipi di ristrutturazione edilizia dell’articolo 3, lett. d) del DPR 380/01 escludendo però la ristrutturazione urbanistica della lett. f) del precitato articolo.

Ciò per coerenza non tanto al testo letterale (che è generico e incompleto e semplicemente parla di “ristrutturazione”), ma per coerenza con la finalità della norma che vuole evidentemente riferirsi solo all’esistente escludendo le nuove costruzioni.

Rifacendoci all’elencazione del citato articolo 3 del DPR 380/01 che inquadra le “nuove costruzioni” alla lettera e) e la ristrutturazione urbanistica alla lettera f) si vede come la ristrutturazione urbanistica rappresenti il massimo della “sostituzione ex novo” del precedente tessuto e dunque sia cosa ben diversa dal riuso dell’esistente.

Possiamo dedurne che le nuove derogatorie misure igienico-sanitarie non si applicano ad interventi di rigenerazione urbana quando comportino sostituzioni immobiliari !

Anche limitandoci alla sola ristrutturazione “edilizia” i problemi però non mancano perché è ben noto che ha molte facce e (al netto del titolo edilizio dovuto) consente anche la demo-ricostruzione e incrementi volumetrici se previsti dai piani urbanistici.

Chiamerei ancora una volta in soccorso interpretativo la finalità della norma: l’ammissibilità dei nuovi parametri derogatori è applicabile solo alle superfici/volumi di vani legittimi preesistenti (anche se ricostruiti ex novo in caso di obbligo di mantenimento delle “caratteristiche planovolumetriche”) escludendola invece per eventuali nuovi volumi aggiunti. E ciò indipendentemente dalla specifica sub-tipologia (conservativa e/o ricostruttiva).

    

IL TESTO UNICO DELL'EDILIZIA AGGIORNATO COL SALVA CASA

    

Risaliamo ora alla lettera a): il Recupero edilizio (cos’è?)

Ci imbattiamo qui in un altro dubbio interpretativo perché “recupero edilizio” e “ristrutturazione” non sono sinonimi e il fatto che il Legislatore abbia differenziato la tipologia di intervento nei due diversi e alternativi casi previsti dovrebbe voler significare che si tratti effettivamente di casistiche diverse.

La ristrutturazione è un tipo di intervento disciplinato per legge e come tale ben riconoscibile, il “recupero edilizioè concetto ampio e dottrinario e meno definito tecnicamente.

Vero è che una definizione legislativa di “recupero edilizio” figurava nell’articolo 31 della legge n. 457/78, ma quell’articolo è stato di fatto abrogato e sostituito dall’articolo 3 del DPR 380/01 per cui non dobbiamo più ritenerlo vigente.

La definizione della legge n. 457/78 era posta a premessa dell’elencazione di tutte le tipologie di intervento sull’esistente ed era assai ampia (troppo ampia) andando dalla manutenzione ordinaria alla ristrutturazione urbanistica.

Se la volessimo usare qui faremmo rientrare dalla finestra la “ristrutturazione urbanistica” che poc’anzi abbiamo fatto uscire dalla porta.

La genericità del contenuto tecnico della definizione di “recupero edilizio” si supera soltanto se la si interpreta alla luce delle condizioni finalistiche del recupero: “il miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie”.

E allora dobbiamo escludere anche la manutenzione ordinaria che può essere solo riparativa e non portare a miglioramento di alcunché.

En passant potremmo però dire invece che in questa lettera a) possiamo ricomprendere il “restauro e risanamento conservativo” che abbiamo ritenuto di dover escludere dall’elencazione della lettera b).

Da quanto precede possiamo concludere che il “recupero edilizio di cui qui si parla potrà spaziare dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione edilizia.

Quindi le due opzioni di intervento della lett. a) e della lett. b) in parte si sovrappongono e per capire perché il Legislatore le abbia considerate alternative dobbiamo fare un ulteriore approfondimento sull’estensione dell’intervento.

    

Intervento sull’edificio o sulla sola unità immobiliare?

Leggendo partitamente la lettera a) e la lettera b) pare congruo dedurre che:

  • nella lettera a) il richiamo a “locali” siti “in edifici sottoposti” a recupero rende indubbio che l’intervento (pur nella diversità di tipologie di cui abbiamo detto) debba essere esteso a tutto l’edificio
  • nella lettera b) la ristrutturazione pare riferirsi anche al solo “alloggio” e quindi essere limitata anche ad un’unica unità immobiliare.

  

Conclusione sui presupposti di ammissibilità della deroga

Si può così sintetizzare (cercando di essere rigorosi nel lessico giuridico) che - premessa e data per accertata l’“adattabilità”, l’applicabilità delle nuove norme in deroga si esercita solo:

  • ai locali esistenti con destinazione abitativa (permanenza di persone) già di altezza inferiore a 2,70 m legittimamente acquisita come tale all’epoca di realizzazione in quanto gli interventi cui saranno soggetti non consentono cambi di destinazione né legittimazione di eventuali abusi;
  • se c’è:
    • o un intervento di recupero (dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione) sull’intero edificio,
    • oppure un intervento di ristrutturazione edilizia anche su un singolo alloggio;
  • se c’è una motivazione di miglioramento alternativo delle condizioni igienico-sanitarie.

Di quest’ultimo aspetto parleremo nel prossimo commento.

Il discrimine tra la lettera a) e la lettera b) pare dunque fondato solo sull’estensione dell’intervento: all’intero edificio o al singolo alloggio.

Magari la conclusione non soddisfa un granché, ma pare proprio che sia così.

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L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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