Le città da 15 minuti e ai 30 km/h per riscoprire la prossimità e la lentezza
L’esperienza dello smart-working, a cui ci ha obbligato la pandemia, ci ha dato modo di ripensare al tanto tempo perso negli spostamenti casa-lavoro e al loro elevato costo economico e ambientale. Le città si stanno ripensando alla luce di nuovi concetti che puntano a migliorare la qualità della vita e a rispettare l’ambiente: la città da 15 minuti e la città ai 30 km/h.
C’è aria di rinnovamento nelle nostre città.
L’esperienza dello smart-working, a cui ci ha obbligato la pandemia, ci ha dato modo di ripensare al tanto tempo perso negli spostamenti casa-lavoro e al loro elevato costo economico e ambientale, e ci ha fatto riscoprire il valore dell’intimità familiare e del senso di prossimità e di appartenenza ad un luogo.
Questa esperienza ha acceso in noi la voglia di cambiare. A cominciare proprio dalle nostre città, che rimangono il palcoscenico su cui va in scena la nostra vita.
Riscoprire la prossimità: la città da 15 minuti
Il concetto della Città da 15 minuti prende spunto da queste considerazioni che abbracciano temi diversi, ma fra loro intimamente collegati:
- la sfida che tutti gli Stati hanno davanti e che devono affrontare e risolvere in tempi ormai brevissimi si chiama futuro sostenibile. Un futuro sostenibile declinato su tre priorità: inclusione sociale, sostenibilità ambientale e sostenibilità economica
- le città del mondo sono chiamate a svolgere il ruolo di protagonista in questa sfida epocale perché, pur coprendo solo il 2,5% della superficie terrestre, ospitano il 54% degli abitanti del pianeta, percentuale destinata ad aumentare al 68-70% nelle previsioni per il 2050
- utilizzano il 78% dell’energia primaria generata sulla Terra e sono causa del 70% delle emissioni globali di CO2
- di queste emissioni il 31% è dovuto al trasporto privato urbano
- la delocalizzazione di scuole, uffici, negozi e divertimenti sul territorio rende necessario spostarsi o con i mezzi pubblici o con il trasporto privato urbano
- a Milano mediamente un cittadino passa nel traffico 122 ore all’anno, a Roma 137 ore
- nelle maggiori città italiane il tempo medio per andare e tornare dal lavoro è stimato fra 1,5 e 2 ore al giorno.
Le città sono quindi la causa principale dei tanti problemi energetici e climatici oltre che sociali ed economici, ma ne rappresentano, paradossalmente, anche la soluzione.
L’idea che sta alla base della Città da 15 minuti è semplice e rivoluzionaria al tempo stesso: suddividere la città in quartieri funzionalmente autonomi nei quali tutti i servizi siano collocati entro un raggio di 1,5 km e quindi raggiungibili da tutti gli abitanti nel tempo massimo di 15 minuti, dato che si cammina ad una velocità di circa 6 km/ora. Entro questo raggio, inoltre, è stato dimostrato che la bicicletta è di gran lunga il mezzo di trasporto più rapido, anche rispetto all’uso dell’autovettura.
La definizione di Città da 15 minuti è stata coniata nel 2016 da Carlos Moreno, ingegnere colombiano docente alla Sorbona di Parigi, ma l’idea si è alimentata di esperienze pensate e realizzate nel corso degli anni e declinate con diverse modalità e con nomi diversi.
La prima metropoli ad applicare questo concetto è stata Parigi nel 2019 su iniziativa della sindaca Anne Hidalgo che è partita dalla dislocazione delle scuole a non più di trecento metri fra loro, perché, secondo lei, sono quelle che dettano il ritmo quotidiano dei trasporti cittadini. Parigi è stata poi seguita da Barcellona dove la sindaca Ada Colau ha suddiviso la città in moduli di 400 metri per 400 metri, chiamati "super blocchi" dove abitano circa seimila persone. Al loro interno si deve poter trovare ogni servizio, pubblico e privato, e viene consentito l'accesso solo ai mezzi dei residenti oltre alla riduzione del limite di velocità a dieci chilometri orari.
Il C40 - CLIMATE LEADERSHIP GROUP, la rete globale di 97 grandi città che operano per sviluppare e implementare politiche e programmi volti alla riduzione dell’emissione di gas serra e dei danni e dei rischi ambientali causati dai cambiamenti climatici ha adottato l’idea della Città da 15 minuti nel corso del C40 World Mayors Summit, il summit annuale della rete, che si è svolto dal 19 al 21 ottobre 2022 a Buenos Aires. Fanno parte della rete C40 Milano e Roma i cui sindaci Sala e Gualtieri, hanno già annunciato che intendono implementare l’idea della Città da 15 minuti alle loro città.
Altre città che stanno sperimentando questa idea sono Bogotà, Copenaghen, Los Angeles - la città delle automobili per eccellenza e Londra.
Un concetto semplice, ma non facile
La Città da 15 minuti è un concetto semplice da comprendere, ma non semplice da realizzare, perché va a scontrarsi contro il modello di sviluppo urbanistico che abbiamo utilizzato negli ultimi decenni nel quale la parola d’ordine è stata “accorpare per migliorare” (ma che in realtà nascondeva il vero intento di “accorpare per risparmiare”), incurante delle conseguenze derivanti da questo allontanamento dei servizi dalle case della gente:
- traffico urbano,
- costi rilevanti e
- perdita di tempo.
Le città italiane hanno quasi tutte origine etrusca, gallica o romana, origine che caratterizza ancora in parte i nostri centri storici e monumentali, e si sono sviluppate e modificate di continuo nel corso della storia.
Ma la conformazione attuale è sostanzialmente figlia della combinazione di eventi relativamente recenti e fortemente invasivi: le rilevanti distruzioni dovute ai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, l’iniziale frettolosa ricostruzione post-bellica, la successiva espansione incontrollata accesa dal boom economico e drogata dalla rendita fondiaria e dalla speculazione edilizia, alimentate, a loro volta, dal massiccio inurbamento conseguente alle migrazioni interne verso le aree industrializzate, col conseguente abbandono di intere aree rurali.
La pianificazione urbana, statale e comunale, cercò in quegli anni di dare, con estrema difficoltà, un senso compiuto a questo sviluppo rapido ed incontrollato, introducendo strumenti innovativi quali i Piani Regolatori Generali (PRG), o i PEEP (piani per l’edilizia economica e popolare), ma non riuscì a rendere organica l’idea complessiva delle città. La pianificazione urbanistica era incentrata sul concetto di una separazione fisica del territorio in diversi ambiti funzionali: residenziale, artigianale, terziario, agricolo, commerciale, industriale, direzionale e ricettivo-alberghiero.
Ciò fu causa di un’espansione a macchia d’olio, spesso ingiustificata, a scapito della campagna rurale di cintura, campagna che fu invasa dalle zone produttive industriali ed artigianali e dalla nuova periferia residenziale verso la quale fuggivano i cittadini i quali, con i primi guadagni, si costruivano la villetta indipendente col giardino, abbandonando le case del centro perché ormai considerate malsane, opprimenti, obsolete e non più a la mode.
Così i centri storici, in via di abbandono, divennero dapprima ricovero a buon mercato di operai e immigrati e poi, a seguito dell’ondata della loro riqualificazione edilizia e mondana, nella vetrina pregiata di catene di negozi, uffici e banche, con conseguente diminuzione di residenti stabili.
Gli abitanti a basso reddito furono così spinti verso i nuovi popolosi agglomerati residenziali sorti all’estrema periferia delle città, diventando spesso ghetti isolati con gravi problemi sociali. I piccoli negozi di vicinato furono soffocati economicamente e sostituiti dagli ipermercati realizzati in periferia, la sanità di quartiere fu smantellata e concentrata in ospedali d’aria vasta, le scuole di quartiere furono sostituite dagli istituti comprensivi lontani da casa, i cinema locali furono soppiantati dalle multisale posizionate sugli assi stradali esterni e gli uffici di fruizione quotidiana chiusi e trasferiti in appositi edifici direzionali.
La suddivisione funzionale del territorio (qui si abita, lì si lavora, là ci si diverte...) e il decentramento delle attività e dei servizi sono la causa principale dei lunghi percorsi che i cittadini devono compiere quotidianamente per accedere e rientrare dal luogo di lavoro, per gli acquisti e lo svago.
E gli spostamenti comportano conseguenze pesanti: significano tanto tempo perso (nelle metropoli italiane il tempo medio necessario per andare e tornare dal lavoro è pari a due ore - fonte Il Sole24ore), significano costi per il trasporto sia privato che pubblico, significano la realizzazione di strade e la gestione dei trasporti pubblici, significano consumare energia e produrre emissioni di CO2, significano inquinare l’aria con il particolato pm10, pm 5 e pm 2,5, significano incidenti che causano morte e alti costi sociali. Un’elevata lunghezza dello spostamento, diciamo superiore ai 3÷4 km, e un elevato grado di inquinamento atmosferico accompagnato dal pericolo determinato da un traffico caotico, impediscono o riducono la possibilità e la convenienza dell’uso della bicicletta o della mobilità pedonale.
Il ripensamento in corso in molte città del mondo si pone questi obiettivi principali, da raggiungere proprio grazie all’implementazione dell’idea della città da 15 minuti:
- ridare il tempo alle persone,
- aumentare la socialità di quartiere con la riscoperta della vicinanza,
- recuperare la vivibilità urbana,
- favorire l’inclusione sociale,
- eliminare le disparità sociali,
- diminuire e gestire il traffico urbano,
- ridurre a zero le emissioni clima-alteranti provocate dai riscaldamenti delle case e dalla mobilità e
- diminuire gli incidenti stradali.
Questa rinnovata idea di prossimità e di socialità può anche aiutare la formazione di Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) di condominio o di quartiere.
Riscoprire la lentezza e la sicurezza: la città a 30 km/h
Il problema dei movimenti e dei trasporti all’interno delle città è stata la scintilla dalla quale è scaturita la necessità e la voglia di ripensare la città, una città dei 15 minuti, per renderla fruibile e a misura d’uomo o, meglio, a misura di bambino e di soggetto debole, dove la debolezza può essere causata dall’età, dal sesso, dalla condizione fisica o di salute temporanea o permanente, da disabilità temporanea o permanente, dalla condizione sociale od economica o dalla condizione psicologica.
La necessità e la voglia di ripensare la città per renderla fruibile e a misura d’uomo o, meglio, a misura di bambino e di soggetto debole, dove la debolezza può essere causata dall’età, dal sesso, dalla condizione fisica o di salute temporanea o permanente, da disabilità temporanea o permanente, dalla condizione sociale od economica o dalla condizione psicologica ha invece stimolato una riflessione da cui è scaturita l’idea della Città a 30 km/h.
Tale idea si basa su queste considerazioni:
- è in preoccupante aumento il numero degli incidenti stradali cittadini nei quali le vittime sono pedoni o ciclisti;
- la distanza minima di sicurezza per evitare di urtare un pedone dipende sia dal tempo di reazione (tempo che occorre al sistema occhio-cervello del conducente) per attivare la frenata sia dal tempo di arresto dell’automobile (quanto temo occorre ad annullare la velocità e quindi a fermarsi), e naturalmente varia sulla base della velocità alla quale si sta muovendo il veicolo:
È immediato notare che lo spazio di frenata raddoppia quando la velocità passa dai 30 km/h ai 50 km/h.
La possibilità di sopravvivenza di un pedone travolto da un veicolo dipende dalla velocità del veicolo:
Questa tabella spiega più di tanti discorsi il motivo più importante che spinge molte città ad introdurre questo limite di velocità urbano.
La velocità tende a restringere il campo visivo: ridurre la velocità significa rendere gli automobilisti maggiormente reattivi ai piccoli inconvenienti che avvengono nelle vicinanze del veicolo.
Attraversare a piedi le strade cittadine o muoversi in bicicletta possono trasformarsi in esperienze difficili e pericolose. La pericolosità, abbiamo visto, è dovuta principalmente alla velocità alla quale si muovono i veicoli. Diminuire la loro velocità può aiutare a salvare vite umane, a diminuire l’inquinamento da traffico e diminuire il costo del viaggio (passare da 50 km/h a 30 km/h può far diminuire inquinamento e costo del 10-12%).
Questi risultati si possono ottenere senza, peraltro, impiegare più tempo negli spostamenti dato che, come rileva uno studio realizzato da Legambiente, la velocità media per i trasferimenti urbani in auto è di 9,1 km/h a Milano, mentre scende a 8,5 km/h a Roma e addirittura a 7,3 km/h a Napoli.
Numerose città hanno già implementato questo concetto sulle loro strade come Olbia e Cesena fin dagli anni 2000 mentre Bologna introdurrà questo limite dal giugno 2023 e Milano dal 1/1/2024.
In Europa le città a 30 km/h più conosciute sono Parigi, Bruxelles, Bilbao, Lipsia, Friburgo, Lille, Helsinki e Graz.
Un'altra città
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