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Le catene metalliche nell’edilizia storica: come valutarne il contributo strutturale

Nell’articolo si tratterà il tema delle catene metalliche secondo differenti aspetti, mostrando come questa scelta tecnica d’intervento debba essere analizzata in relazione al contesto architettonico/strutturale in cui viene realizzata

Il comportamento scatolare di un edificio in muratura, requisito essenziale in qualsiasi codice normativo, è il risultato di una serie di accorgimenti tecnici che devono essere realizzati al momento della costruzione dell’edificio. L’assenza di tali dettagli rappresenta una vulnerabilità specifica del manufatto che lo costringe, in presenza di un azione sismica, a un comportamento connesso all’attivazione ed evoluzione di singoli cinematismi locali. Tale comportamento non può essere semplicemente modificato con l’inserimento di qualche presidio antisismico, che può al limite migliorare la risposta locale senza tuttavia determinare un comportamento d’assieme del manufatto. L’attivazione di meccanismi locali, indipendentemente dalla loro verifica, è governato, in massima parte, dall’assenza o dall’insufficienza di quelle regole dell’arte che dovevano essere applicate al momento della costruzione. L’inserimento di catene metalliche è di fatto una queste soluzioni tecniche che spesso viene usata come interventi di miglioramento sismico, grazie alla sua comprovata efficacia e limitata invasività. Tale presidio non è in grado, in genere, di modificare il comportamento dell’edificio, ma assicura, nel caso in cui l’attivazione del meccanismo sia impedita, una risposta “più d’insieme” delle parti connesse al macroelemento.
Nell’articolo si tratterà il tema delle catene metalliche secondo differenti aspetti, mostrando, in primo luogo, come questa scelta tecnica d’intervento debba essere analizzata, caso per caso, in relazione al contesto architettonico/strutturale in cui viene realizzata, prendendo come esempio “il costruito storico minore o monumentale come l’Anfiteatro Flavio. Successivamente, sono state definite semplici formulazioni per una consapevole progettazione di tale presidio, tenendo in considerazione dei quattro principali meccanismi di rottura che possono insorgere: rottura della catena, punzonamento della muratura, schiacciamento della muratura per la pressione di contatto, resistenza del sistema di ancoraggio (piastra, bolzone, etc.).
La verifica di questo semplice presidio cambia quando l’intervento è utilizzato come presidio antisismico. L’approccio attualmente proposto dalla Circolare applicativa (Circolare del 2 febbraio 2009, n. 617) alla Norma Tecnica vigente (D.M. 14 gennaio 2008) per la verifica dei meccanismi locali, trova i suoi riferimenti teorici all’interno all’analisi limite dell’equilibrio, in riferimento all’approccio cinematico lineare e non lineare (§C8A.4 Circolare del 2 febbraio 2009, n. 617). Nell’applicazione dell’analisi cinematica lineare l’unico parametro che viene utilizzato risulta il pretiro della catena. Con tale approccio si valuta unicamente il valore di accelerazione (spettrale) che serve ad attivare il meccanismo di ribaltamento. Al fine di valutare, in maniera più affidabile, l’evoluzione del meccanismo conseguente alla sua prima attivazione è necessario ricorrere alla verifica non lineare, espressa in termini di spostamento. In questa tipologia di analisi è possibile controllare passo dopo passo, l’evoluzione in campo elastico e plastico della catena metallica. Per tale motivo il controllo della duttilità della catena, considerando in senso lato anche quella del sistema di ancoraggio, risulta un aspetto di fondamentale importanza, dal momento che il criterio di verifica adottato porta ad una verifica che spesso viene soddisfatta in funzione della variata domanda di spostamento a seguito dell’entrata in campo plastico del presidio metallico. La capacità di spostamento del sistema è legata alla capacità di deformarsi del presidio. La plasticizzazione della catena (che avviene in genere per spostamenti infinitesimi rispetto alla capacità di spostamento del macroelemento) determina un incremento della tensione nella catena che deve essere tale da non far insorgere meccanismi fragili tipo il punzonamento della muratura. Per tali motivazioni (esplicitate nel dettaglio nell’articolo on line, www.ingenio-web.it) è stata effettuata una campagna sperimentale su provini di catene metalliche di diverse dimensioni (600 mm, 1100 mm , 4000 mm) per diverse tipologie di acciaio. I risultati hanno evidenziato capacità deformative di tutto l’elemento assai elevate (>20%). Infatti la deformazione (plastica) che si manifesta tra lo snervamento e il picco di resistenza coinvolge tutta la barra, evidenziando inoltre come acciai ad alta resistenza manifestino valori di duttilità più limitati e con una maggiore dispersione. Nella sperimentazione si è altresì investigato il comportamento di barre lisce con terminare filettato, soluzione oggi molto utilizzata, grazie alla facilità di ancoraggio e la messa in tiro della catena tramite chiave dinamometrica. I risultati ottenuti hanno mostrato come tale dettaglio rappresenti una forte limitazione della duttilità del presidio. Il rapporto tra la resistenza a rottura della sezione filettata rispetto alla resistenza a snervamento della sezione nominale, risulta praticamente unitario per diametri molto piccoli (10 mm) diventando circa 1.2 per diametri maggiori (20 mm). Tale aspetto consente, infatti, alla parte non filettata della catena di plasticizzarsi prima che si verifichi la rottura in corrispondenza del filetto.