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La sopraelevazione con aumento della volumetria rischia la demolizione

La sopraelevazione, definita come l'aggiunta di piani a un edificio esistente, è distinta da una semplice ristrutturazione poiché comporta un ampliamento verticale, inoltre potrebbe pregiudicare la sicurezza statica e la privacy. La sentenza della Corte di Cassazione n. 1341/2025 funge da esempio emblematico, confermando l'obbligo di demolizione per una sopraelevazione realizzata in violazione delle norme sulle distanze, perché tale violazione pregiudica la privacy nelle proprietà limitrofe.

Sopraelevazioni e distanze dai confini

Le sopraelevazioni e le distanze dai confini sono due aspetti fondamentali in ambito edilizio. Esse vengono regolati dal Codice Civile, dai regolamenti edilizi locali e dalle normative antisismiche.

Per sopraelevazione si intende un intervento edilizio che consiste nell’aggiunta di uno o più piani sopra ad un edificio esistente, aumentando l’altezza complessiva della costruzione.
Essa non si può configurare come una semplice ristrutturazione perché comporta un ampliamento dell’edificio in senso verticale, con variazione di sagoma e prospetto.

L’art. 1127 Codice Civile chiarisce quando sia consentita una sopraelevazione, in particolare specifica che “il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare. La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.

I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti. Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un'indennità pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare.”.

Naturalmente quando un proprietario di un edificio decide di intraprendere un lavoro di soprelevazione, il tecnico deve sempre garantire che:

  • non si comprometta la stabilità dell’edificio;
  • non si alteri il decoro architettonico;
  • non sia arrecato danno o pregiudizio agli altri condomini e portatori di interesse (proprietà limitrofe).

Per quanto riguarda le distanze, queste vanno rispettare per garantire sicurezza, igiene e tutela della privacy.
In tal caso esistono varie norme da considerare, tra cui:

  • l’art. 873 Codice Civile che regola la distanza minima tra costruzioni;
  • il D.M. 1404/68 che disciplina le distanze minime a protezione del nastro stradale (fuori dal perimetro urbano);
  • il D.M. 1444/68 che disciplina i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti;
  • disposizioni locali in materia di urbanistica.

Quando una sopraelevazione comporta, quindi, una violazione delle norme sulle distanze (per giunta con un aumento volumetrico) si incorre in una violazione che può comportare anche la demolizione della stessa, come chiarito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1341/2025.

Condanna per l'innalzamento abusivo

La sentenza della Corte di Cassazione n.1341/2025 conferma l’obbligo di demolizione di una sopraelevazione, realizzata in violazione delle norme sulle distanze tra fabbricati.

Il caso discusso ha inizio da una lite tra due proprietari di immobili confinanti, in particolare il ricorrente, proprietario di una villetta, aveva denunciato nel 2015 la sopraelevazione realizzata dalla controparte sull’adiacente immobile, sostenendo che la stessa violasse gli art. 872 e 873 c.c., nonché le norme regolamentari locali sulle distanze minime dal confine.

L’immobile della controparte, costruito nel 1976, originariamente presentava due piani fuori terra (piano terra, primo piano e un sottotetto non abitabile), in seguito nel 2015, il proprietario aveva deciso di innalzare la falda del tetto, trasformando il sottotetto esistente in una mansarda abitabile, con un aumento di cubatura e un’alterazione delle quote di gronda e di colmo.

Il caso ha avuto vari sviluppi prima dell’arrivo in Cassazione. Infatti in prima battuta il Tar Tribunale di Siracusa aveva accertato la violazione delle distanze, ordinando la demolizione della sopraelevazione e il ripristino dello stato originario, così come la Corte d’Appello di Catania aveva respinto l’appello del ricorrente, confermando che l’intervento del 2015 avesse modificato sostanzialmente i volumi, rendendo abusivamente abitabile uno spazio prima inutilizzabile.

Per ultima la Cassazione, analizzato il caso, ha ritenuto infondato l’appello in quanto “(…) sino alla sopraelevazione del 2015 la seconda elevazione era un sottotetto non abitabile, mentre la maggiore volumetria in conseguenza della sopraelevazione l’ha trasformata in una mansarda abitabile, come verificato dal consulente tecnico d'ufficio; con l'innalzamento delle quote il piano è venuto ad avere una nuova altezza media di più di due metri così da fargli assumere rilievo nel computo dei volumi, determinando un aumento della cubatura realizzata.”

La Corte chiarisce che sebbene la struttura originaria risalisse agli anni ’90, la sopraelevazione del 2015 aveva modificato significativamente l’immobile, trasformando un sottotetto non abitabile in una mansarda residenziale, con un aumento di cubatura e un’alterazione delle linee di gronda, violando palesemente le norme urbanistiche. Quindi la violazione ha ragion d’essere in virtù dell’aumento di volumetria dopo il 2015, che ha alterato l’assetto originario.

La sentenza presenta un secondo punto relativo alla realizzazione di una “fascia di muratura realizzata in epoca successiva a quella della costruzione originaria del fabbricato”, la quale presenta una distanza dai confini inferiore a quanto previsto dalla normativa locale.

I giudici della Corte di Cassazione sottolineano che l’art. 2058 c.c., adotto dalla controparte come giustificativo per evitare la demolizione, non può essere accolto, in quanto l’eccessivo onere prodotto dalla demolizione non può giustificare la lesione di diritti reali altrui soprattutto se per il reato in essere è prevista la rimozione. Infatti, nella sentenza si specifica come “in ogni caso, la giurisprudenza costante di questa Corte di Cassazione esclude l’applicazione in materia dell’art. 2058 (…), comma 2 c.c., che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anziché la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest'ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso”; negli stessi termini, più di recente, v. Cass. 19942/2020).”

La sentenza sottolinea quindi come le violazioni delle distanze legali non possono essere sanate con il semplice risarcimento economico quando è previsto il ripristino dello stato iniziale.

 

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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