Restauro e Conservazione | Architettura
Data Pubblicazione:

La qualità del progetto nel Restauro del Moderno

La conservazione del patrimonio del Moderno richiede all’architetto esperto di restauro una “speciale” sensibilità: si tratta di conoscere, comprendere e restaurare architetture complesse, caratterizzate dall’adozione di forme e materiali innovativi. Aprire poi lo sguardo ai grandi complessi del Moderno, come la Mostra d’Oltremare a Napoli, moltiplica i livelli di complessità legati al restauro architettonico, richiedendo un approccio multiscalare.

Il Restauro del Moderno: una sfida complessa

Il Tempo del Patrimonio del Moderno

L’architetto che concepisce e progetta l’opera, scegliendone accuratamente forme e materiali, seguendone il processo costruttivo in cantiere subisce sempre, alla fine, un distacco dalla sua “creazione”: egli la consegna al tempo e ai posteri che dovranno fruirne ed averne cura. Ciò avviene, tuttavia, nel caso in cui i futuri fruitori vi riconoscano un valore, individuando nell’opera di architettura un luogo in cui riconoscersi o riconoscere una fase della propria storia.

Se da un lato il tempo infligge al patrimonio costruito le plurime forme di degrado, dissesti e alterazioni, dall’altro gli conferisce una “nuova vita” e significati inediti. L’architettura del passato ha superato questo ampio processo di storicizzazione e adattamento, resistendo, in molti casi egregiamente, alla “prova del tempo”: basti pensare agli apparecchi murari di età romana che permangono nei territori dell’ex Impero Romano, dimostrandosi resilienti a distanza di millenni.

La questione si pone in modo più problematico quando si parla della durata nel tempo di architetture afferenti al Patrimonio del Moderno, spesso caratterizzate da un’ampia sperimentazione di nuovi materiali, fragili e deperibili, impiegati nella definizione di nuove finiture e di inedite strutture portanti; materiali usati peraltro al limite della loro resistenza, al fine di ottenere risultati di leggerezza e snellezza anche formale. Altrettanto delicata è l’adozione nell’architettura moderna di elementi di finitura artistici, al limite tra produzione industriale e artigianato.

È dunque negli aspetti legati all’originalità, alla distinguibilità e alla sostituibilità delle parti che si ritrovano alcune delle “questioni” che rendono problematica la durata nel tempo di molte architetture della modernità e complesse le scelte per il loro restauro. Anche quando l’architetto/costruttore le ha ideate per durare nel tempo, le architetture della modernità presentano inedite forme di degradazione e alterabilità, anche più specifiche rispetto a quelle legate al patrimonio costruito storico tradizionale.

Figura 1 – Il Teatro Mediterraneo, Mostra d’Oltremare (NA). Articolazione del prospetto principale (foto di Sara Iaccarino, 2021). (Crediti foto: Sara Iaccarino)

Il progetto di Restauro del Moderno: caratteristiche ed aspetti critici

La complessità della conservazione dell’architettura del Moderno è per lo più ascrivibile al ricorso a materiali innovativi, come quelli autarchici - introdotti durante il fascismo - oggi in gran parte scomparsi dal mercato edilizio, e che richiedono sforzi di conoscenza e comprensione significativi per operare un loro restauro.

Altro aspetto critico è legato all’autorialità delle opere architettoniche del Moderno, condizione che avvicina il tema del restauro di opere di architettura moderna a quello dell’arte contemporanea: in questo ultimo campo si ha a che fare con pezzi “unici”, la cui autenticità artistica risulta sostanzialmente legata ai materiali costitutivi, anche quando questi sono fragili e deperibili e anche nei casi in cui l’autore ha previsto e teorizzato per la sua opera una vita effimera, nonché all’importanza dell’azione del tempo su di esse.

Ebbene, in questi casi – al di là dell’esplicita intenzionalità progettuale – se l’opera ha ormai acquisito un suo autonomo valore storico o culturale tale da essere riconosciuta come luogo della memoria collettiva, ciò è sufficiente a motivarne il restauro: inteso quale operazione tecnica volta a rallentarne il degrado e a preservarne il più a lungo possibile quei valori che la connotano, ormai riconosciuti dalla comunità.

Sicuramente esistono dal punto di vista tecnologico significative discontinuità tecnico-operative nelle modalità e nelle tecniche di intervento tra l’arte contemporanea, l’architettura antica e quella moderna – non foss’altro per la co-attualità dell’oggetto da restaurare con i materiali contemporanei, tranne nei casi di tecniche costruttive ed artistiche divenute desuete - ma non al punto da scardinare l’impalcato teorico e metodologico che sostanzia la disciplina del Restauro nelle sue declinazioni contemporanee; non al punto da considerare il restauro del moderno come una problematica “altra” rispetto alla consolidata disciplina del restauro architettonico.

Intervenire sul patrimonio architettonico della modernità presenta dunque criticità derivanti dalla consistenza materica e dalle soluzioni tecnologiche altamente sperimentali adoperate al tempo della costruzione. Basti pensare che i sistemi costruttivi che caratterizzano le architetture della modernità si basano sul principio della scomposizione e dell’eterogeneità degli elementi: in queste architetture si verifica una netta divisione tra componenti strutturali, componenti di “tamponamento” con proprietà isolanti, elementi di finitura e di rivestimento, richiedendo una lettura attenta del manufatto al fine di individuarne le più specifiche caratteristiche tecnico-formali.

La “separazione” tra le parti dell’edificio, pone al restauratore contemporaneo problemi complessi, che riguardano in modo simultaneo ma non univoco, tutte le componenti di queste architetture, e che richiedono da un lato competenze pluridisciplinari - in grado di affrontare la specificità dei singoli materiali sperimentali impiegati e dei loro comportamenti e meccanismi ricorrenti di degradazione – e dall’altro capacità di sintesi e di “visione d’insieme” dell’edificio, inteso come organismo unitario, in cui non è possibile scindere il comportamento della struttura da quello della sua “pelle” superficiale, tra loro interagenti.

Figura 2 - Il Padiglione dell’America Latina, Mostra d’Oltremare (NA). Articolazione del prospetto principale (foto di Sara Iaccarino, 2021). (Crediti foto: Sara Iaccarino)

Tale separazione tra gli elementi costituenti l’architettura della modernità porta a dover spesso intervenire da un lato sulle componenti strutturali – costituite per lo più da ossature in calcestruzzo armato che iniziano oggi, a distanza di 50/70 anni dalla loro realizzazione, a manifestare fenomeni di carbonatazione derivanti dall’ossidazione delle armature - e, dall’altro, sulle soluzioni di rivestimento, rappresentanti probabilmente la parte più fragile di questo patrimonio.

A destare i problemi maggiori sono proprio gli elementi di “arricchimento artistico” dell’architettura cosiddetta moderna, che divengono componenti connotanti quella fase che va dalla stagione del Liberty europeo, alle opere di Gaudì e Soleri, fino alle architetture moderniste italiane degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Raffinate membrature, esili ringhiere in ferro forgiato, arditi trattamenti cromatici, luminosi rivestimenti maiolicati, pannelli a mosaico, coperture in ferro e vetro, rivestimenti in piombo, pareti in “bottiglie” di laterizio trascendono, in queste architetture, la propria natura di ornamento per diventare parte irrinunciabile dei manufatti cui appartengono.

Tali elementi presentano oggi plurime problematiche di conservazione e restauro: a distanza di circa un secolo dalla loro realizzazione, essi si rivelano assai fragili a fronte di condizioni ambientali del tutto diverse e più nocive rispetto a quelle per le quali furono progettati. Eppure, un restauro inconsapevole o meramente sostitutivo finirebbe per comprometterne la sopravvivenza, annullando irreversibilmente quegli aspetti materici, superficiali, tattili e visivi che connotano tanto gli elementi decorativi stessi, quanto l’opera a cui appartengono.

LEGGI ANCHE: Qualità nel progetto di Restauro: il Convegno SIRA “ha innescato virtuose collaborazioni”
Lo dichiara la prof.ssa Renata Picone, Direttrice SSBAP - Università Federico II di Napoli in questa intervista realizzata in occasione del Convegno SIRA “Restauro dell’architettura. Per un progetto di qualità” (Napoli, 15-16 giugno 2023).

I materiali dell’architettura del Moderno

Fondamentale azione propedeutica di ascolto per un restauro culturalmente consapevole e tecnicamente avveduto è il riconoscimento delle caratteristiche e dei plurimi valori degli elementi e materiali costruttivi che compongono le architetture del moderno e le parti di finitura che connotano le superfici architettoniche all’insegna di un nuovo linguaggio, di una nuova espressione pienamente coerente con gli indirizzi politici e sociali del tempo.

L’impiego da parte dei più grandi architetti del Novecento italiano di materiali edili sperimentali è strettamente dipendente dal momento storico in cui essi vengono prodotti: si tratta in molti casi di materiali nati dalla forte spinta produttiva promossa dal regime fascista a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento, che mirava a rendere la nazione completamente indipendente dal punto di vista economico e produttivo, promuovendo e incentivando la produzione interna. Il risultato fu il sorgere di numerose industrie - molte delle quali attualmente inattive o riconvertite in altri cicli produttivi - che, anche con il supporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, avviarono la produzione di innumerevoli materiali edili sperimentali dalle più variegate caratteristiche.

Questi furono impiegati, come è noto, sia nel mondo del Design e dell’arredo, che nei sistemi costruttivi e di rivestimento delle nuove architetture, senza che si potesse contare su una loro ampia e collaudata sperimentazione: ciò ha poi condotto a una serie di problematiche relative a dissesti e a degrado di difficile risoluzione, data la non scontata reperibilità di questi materiali e la loro “unicità”.

Un progetto di restauro su un edificio in cui sono stati impiegati tali materiali comporta, dunque, innanzitutto la presa di coscienza, da parte di chi opera, di tale unicità; quindi, richiede un’approfondita fase di conoscenza delle loro specificità fisico chimiche e della loro stabilità nel tempo. Solo ciò può guidare una valutazione “cauta” e condivisa tra i possibili interventi di conservazione e restauro e, in casi estremi, di sostituzione, vagliati necessariamente ad hoc.

In questo quadro, proprio questi elementi di finitura, meno resistenti alla “prova del tempo” per loro stessa natura e direttamente esposti ai fattori di degrado, sono quelli che vengono spesso disinvoltamente sostituiti con materiali analoghi, con gravi perdite in termini anche di qualità dei risultati. Certo è che un restauro che miri alla conservazione anche materica di questi elementi dovrà da un lato utilizzare le tecniche diagnostiche più avanzate per conoscere i meccanismi di degrado e dissesto per poterli prevenire o controllare e, dall’altro, postula la rinuncia al “pieno rinnovamento” del loro stato di conservazione; richiede l’accettazione anche per il patrimonio del Moderno dei segni della patina del tempo.

Ciò significa puntare su operazioni restaurative intese quali cure preventive e manutentive costanti nel tempo, fatte di operazioni minime ripetute ciclicamente, anche da manodopera non necessariamente specializzata: significa spostare l’attenzione dall’intervento di restauro come “gesto autoriale” ad un progetto di qualità che punta sul “processo”.

Figura 3 – Il Cubo d’oro, Mostra d’Oltremare (NA). Articolazione del prospetto principale (foto di Sara Iaccarino, 2021). (crediti immagine: Sara Iaccarino)

Operazioni di questo tipo, studiate declinando ad hoc, rispetto al caso specifico, tecniche tradizionali o innovative di conservazione testimoniano in Italia un’accresciuta consapevolezza della necessità di affrontare il restauro di queste opere “fragili” dell’architettura moderna con interventi non sostitutivi, ma orientati alla massimizzazione della permanenza del materiale autentico.

Esili strutture portanti in calcestruzzo sapientemente disegnate e realizzate con cura, intonaci storici, superfici decorate, sottili elementi in ferro, rivestimenti musivi o pavimenti in maiolica non possono più essere considerati “superfici di sacrificio” ciclicamente rinnovabili, bensì elementi connotanti e irripetibili nella loro essenza fisica e materiale, ancorché segnata dal tempo, e, forse proprio per questo, più ricche e significanti, in quanto valore testimoniale della storia dell’uomo.


.. CONTINUA LA LETTURA NEL PDF.

SCARICA* E LEGGI L'ARTICOLO INTEGRALE

Nel pdf si trova anche:

  • La Mostra d’Oltremare a Napoli: restaurare un complesso urbano del XX secolo
  • Restaurare la Mostra d’Oltremare oggi: una sfida complessa

Articolo integrale in PDF

L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
Il file PDF è salvabile e stampabile.

Per scaricare l’articolo devi essere iscritto.

Iscriviti Accedi

Renata Picone

Professore Ordinario di Restauro Architettonico – Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

Scheda

Architettura

L'architettura moderna combina design innovativo e sostenibilità, mirando a edifici ecocompatibili e spazi funzionali. Con l'adozione di tecnologie avanzate e materiali sostenibili, gli architetti moderni creano soluzioni che affrontano l'urbanizzazione e il cambiamento climatico. L'enfasi è su edifici intelligenti e resilienza urbana, garantendo che ogni struttura contribuisca positivamente all'ambiente e alla società, riflettendo la cultura e migliorando la qualità della vita urbana.

Scopri di più

Restauro e Conservazione

Con il topic "Restauro e Conservazione" vengono raccolti tutti gli articoli pubblicati che esemplificano il corretto approccio a quel sistema di attività coerenti, coordinate e programmate, dal cui concorso si ottiene la conservazione del patrimonio culturale.

Scopri di più

Leggi anche