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La Nozione di Collaborazione tra le Parti Contrattuali, i Documenti e il BIM

Il prof. Angelo Ciribini, alla luce del nuovo Codice degli Appalti, fa un'analisi sullo stato dell'arte del BIM in ambito di collaborazione, coordinamento e condivisione documentale segnalando le criticità attuali che possono ostacolare la transizione digitale.

Collaborazione e coordinamento emblemi del BIM

Nonostante, a partire dalla legislazione relativa ai Contratti Pubblici, a partire dal D. Lgs. 50/2016 e s.m.i. sino al D. Lgs. 36/2023 e s.m.i., i metodi siano, assieme ai processi, risultati protagonisti assoluti, la maggior parte degli operatori della domanda e della offerta seguita a guardare principalmente agli strumenti e alle tecnologie, poiché le prassi prevalgono sulle teorie. Al contempo, queste ultime generano una specie di nemesi, laddove, in loro assenza, l’operatività cieca non conduce agli esiti previsti.

D’altra parte, vi è ora il concreto rischio della banalizzazione dell’argomento, nel senso che la formulazione dei requisiti informativi, da effettuarsi sempre più secondo un approccio articolato e con contenuti tendenzialmente interpretabili dagli algoritmi, si sta riducendo a – spesso acritici e replicati – documenti formali, contraddistinti da modi destrutturati.

È palese che questa modalità non possa generare gli attesi ritorni sugli investimenti (anzi, al contrario, potrebbe introdurre ulteriori criticità), così come è evidente che la necessaria maturità digitale implichi una forte azione informativa e formativa presso gli attori del mercato, pubblico e privato.

In ogni caso, tra gli aspetti teorici che il cosiddetto BIM, ovvero il Building Information Modeling, ha sempre evidenziato quali fondamentali, il lavoro collaborativo appare al primo posto. In un certo senso, sono i dispositivi a essere stati sviluppati al fine di richiedere una costante interazione tra i diversi soggetti coinvolti, tanto che tra le attività di maggior successo emerge il coordinamento tra i modelli informativi, così come lo stesso capitolato informativo e, soprattutto, il piano di gestione informativa nascono dall’esigenza di mettere a sistema i diversi eterogenei contributi.

Semmai, anche facendo riferimento agli accordi collaborativi, il quesito investe la capacità dei dispositivi ad assicurare una flessibilità nelle interazioni.

Collaborazione e coordinamento sorgono, quindi, come emblemi del BIM, ma davvero si può acriticamente parlare di integrazione tra entità e culture differenti, oltreché tra sistemi di convenienza e di responsabilità diversi, tanto più in assenza di dizionari dei dati e di altri criteri di normalizzazione delle prassi? La controversia annosa relativa all’appalto integrato ne è una testimonianza quasi iconica, a prescindere dalla attribuzione di pareri favorevoli o contrari.

Il solo fatto che il Design-Build, formula riconosciuta a livello internazionale come sinonimo di soluzione ispirata a una cultura industriale, incontri tali opposizioni e generi sovente tensioni palesa lo stato dell’arte. Chiaramente, la formula in sé non può risultare decisiva, in assenza del raggiungimento di un equilibrio tra i soggetti in campo.

Il tema della collaborazione, supportato dal coordinamento, non è, tuttavia, semplice da essere inverato. Un conto, infatti, è utilizzare soluzioni tecnologiche che mettano in relazione contenuti informativi (oggetti informativi), un altro è fare sì che i loro autori o utilizzatori siano disponibili a condividerli, o meglio, a condividere dati e informazioni sensibili.

A ciò si aggiunga il fatto che la condivisione, per così dire, incondizionata dei modelli informativi inerisce anche alla sicurezza del dato, alla proprietà dello stesso e, infine, ovviamente, alla tutela della proprietà intellettuale.

Sinora, comunque, non di rado in assenza di una forte capacità di formulazione delle proprie richieste da parte della committenza, e di governo del processo, i soggetti maggiormente coinvolti sono stati gli attori professionali impegnati nei servizi di ingegneria e di architettura.

Conseguentemente, l’attenzione e l’operatività si è concentrata sui metodi e sugli strumenti relativi alla fase di committenza e, soprattutto, spesso, appunto, senza bidirezionalità, a quella di concezione degli interventi e dei lavori.

Ciò ha comportato sovente una sorta di circoscrizione della sfida digitale, nel senso che l’esito della elaborazione di dati, più o meno strutturati, si esauriva nella produzione di documenti tradizionali che giungevano al luogo di produzione, la fabbrica (con maggiore sofisticazione, grazie alle macchine a controllo numerico) e il cantiere, in forme analogiche e documentali.

Digitalizzazione dei cantieri: soluzioni e dispositivi oltre il BIM

Paradossalmente, gran parte della produzione e del governo dei dati attinenti alle fasi precedenti alla realizzazione delle opere, secondo logiche, in alcuni casi, digitalmente mature, si risolvevano nella generazione di risultati analogici, semplicemente dematerializzati, allorché, al contrario, in linea prospettica, l’obiettivo avrebbe dovuto consistere nella estraneazione delle attività dai documenti, per arrivare ad azioni data driven. Non a caso, il tema si pone, ora, con maggiore virulenza laddove il cantiere diviene sempre più digitalizzato e, di conseguenza, logiche e operati degli ideatori e dei realizzatori devono accordarsi coerentemente o confliggere in maniera antagonista.

Non solo: la digitalizzazione del cantiere comporta, in misura ben maggiore, una estensione delle soluzioni e dei dispositivi digitali, ben oltre il cosiddetto BIM.

Evoluzione normativa sul livello di fabbisogno informativo

La cartina da tornasole più efficace per capire questa transazione dalla ideazione alla realizzazione, che è anche una transizione, è, infatti, offerta dalla evoluzione normativa del concetto di livello di fabbisogno informativo. Per prima cosa, è opportuno osservare come la normativa internazionale e sovranazionale si preoccupi di evitare l’eccesso informativo, vale a dire l’ipertrofia dei dati, mentre la legislazione nazionale, basata sui documenti, si cura di assicurarne l’esaustività, temendo la difettosità.

In secondo luogo, tale normativa, presto denominabile come serie UNI EN ISO 7817, allontana il ricorso ad acronimi convenzionali quali LOD, LOG, LOI e così via, per indicare che la configurazione delle richieste informative debba essere caratterizzata dalla specializzazione e dalla contestualizzazione delle finalità e delle situazioni. La distinzione proposta tra requisiti informativi di scambio e requisiti di scambio pone, ancora, in luce quanto le transazioni siano rilevanti, siano nei loro contenuti sia nella loro impostazione.

Tale condizione richiede, però, una maturità digitale attualmente difficilmente reperibile in un mercato in cui ci si illude di risolvere una delle questioni più delicate nella trasformazione digitale, il passaggio dal documento al dato, utilizzando acronimi e sigle.

La serie normativa a cui si allude correla in sostanza una formulazione dedicata e articolata dei requisiti informativi a una loro soddisfazione nella differenziata progressione geometrico dimensionale, alfa numerica e documentale tra fasi della committenza, della progettazione e della realizzazione, all’interno delle logiche della catena di fornitura, interagendo con le previsioni temporali di produzione e di consegna dei contenitori informativi e con le dislocazione degli attori entro le catene di fornitura.

Tutto questo, tuttavia, mette in risalto due aspetti fondamentali: la sussistenza della categoria documentale, vale a dire il fatto che la componente più analogica del processo non possa facilmente venire meno e la necessità di collocare la produzione, il coordinamento e la condivisione dei dati o delle informazioni, in termini contrattuali, entro un ambiente di condivisione che, oltre a essere, appunto, sensibile dal punto di vista della pattuizione, trasla la partita dai modelli informativi alla connessione e alla interrogabilità dei dati presenti nei diversi contenitori informativi, ivi inclusi quelli più prettamente documentali.

È da tutti comprensibile che se, da un lato, ciò sposta la scommessa su un altro piano, da un altro canto, l’eterogeneità delle fonti sarà ben superiore all’interno della fase di esecuzione, nelle fabbriche, nei cantieri e nella logistica, rispetto a quanto possa accadere nelle fasi che la precedono.

Il ricorso a soluzioni che permettano di collegare tra loro dati e contenitori eterogenei entro l’ambiente di condivisione (che diviene ambiente di connessione e di predizione) mette inevitabilmente il cosiddetto BIM in posizione ancillare, nel senso che esso diventa un importante, ma lungi dall’essere esclusivo, veicolo di transazione.

L’ingresso della digitalizzazione nel cantiere, ben più che nella fabbrica dell’indotto, suscita, pertanto, alcuni fattori da considerare:

  • la produzione digitalizzata nel cantiere sarà asservita agli indicatori prestazionali relativi agli obiettivi di sostenibilità estesa e di circolarità totale, obbligando tutti gli attori a dare evidenza computazionale delle prassi conformi;
  • l’ambiente contrattuale di condivisione dei contenitori informativi diverrà il luogo virtuale di interazione tra gli attori della committenza, della erogazione dei servizi e di produzione dei lavori, accrescendone il monitoraggio in tempo reale in remoto;
  • la centralità si trasferirà dall’interoperabilità tra i modelli informativi al collegamento tra i contenitori informativi e i dati in essi situati, per favorire un migliore utilizzo di serie adeguate di dati ai fini della mitigazione del rischio;
  • la progressiva interpretabilità dei dati da parte degli algoritmi e la graduale marginalità dei documenti metterà in evidenza la difficile coerenza nella configurazione delle strutture di dati da parte del ceto professionale e di quello imprenditoriale, costringendo a una riflessione comune inevitabile per progredire nei lavori;
  • le fonti di produzione dei dati aumenteranno il loro grado di eterogeneità, richiedendo architetture dei processi avanzati ai fini della business intelligence e il loro utilizzo potrebbe permettere approcci predittivi e forme di controllo eterodiretto;
  • la finalità ultima della fase di realizzazione dei lavori consisterà nella sua idoneità a favorire l’operatività successiva del cespite.

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