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La fiscalizzazione dell'abuso tra giurisprudenza e prassi applicativa - Parte Seconda

Nella Prima Parte si è affrontato il “come” e il “quando” sia possibile applicare la “fiscalizzazione” dell’abuso in luogo della demolizione; in questa Seconda si affronta il tema del “quanto costa”.

Anche qui l’applicazione del disposto legislativo non è sempre pacifica nonostante il Legislatore si sia preoccupato di definirne in maniera più puntuale le modalità operative. Pur nella costante finalità di colpire l’incremento di valore conseguente al mantenimento della porzione abusiv restano però alcuni elementi di indeterminazione relativi al momento della quantificazione e alle specificità regionali.

Dall’analisi delle norme e delle risoluzioni giurisprudenziali l’Autrice trae utili orientamenti per una corretta applicazione.

*presentazione di Ermete Dalprato


Nella prima parte della trattazione dedicata alla c.d. fiscalizzazione dell’abuso si è discusso dei presupposti per accedere alla sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione, appurata la sussistenza dei quali, occorre dare corso al procedimento volto alla quantificazione delle somme spettanti a tale titolo.

Si tratta di un procedimento attivato d’ufficio da parte della Pubblica Amministrazione ma i cui esiti hanno notevole interesse anche per le parti private che spesso si trovano a dover valutare il complessivo costo dell’operazione.

La fiscalizzazione dell'abuso tra giurisrudenza e prassi applicativa - Parte Seconda

Riferimenti normativi

Il Testo unico per l’Edilizia individua chiaramente le ipotesi in cui, in alternativa alla rimozione delle opere abusive, sia possibile applicare una sanzione pecuniaria sostitutiva limitando la nostra analisi alle opere relative ad immobili ad uso residenziale.

In particolare viene previsto all’art. 33 DPR 380/01, dedicato agli interventi di ristrutturazione in assenza o difformità dal titolo, che il dirigente o il responsabile dell’ufficio, irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione.

Il successivo art. 34 DPR 380/01, dedicato invece agli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla SCIA, tipizza un’ulteriore ipotesi in cui è ammessa l’alternativa demolizione/sanzione, prevedendo che il dirigente o il responsabile dell’ufficio applichi una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire.

 

Valutazioni per immobili ad uso residenziale

Il procedimento di stima della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione in caso di usi residenziali, muove dalla valutazione del costo di produzione stabilito dalla L. 392/78.

L’art 33 DPR 380/01 fornisce anche alcuni elementi temporali utili per individuare questo specifico parametro statuendo che:

  1. l’aumento di valore venale dell’immobile derivante dalle realizzazioni abusive deve essere determinato con riferimento alla data di ultimazione dei lavori in base ai criteri previsti dalla L 392/78;
  2. il costo di produzione da cui partire è l’ultimo costo di produzione determinato con Decreto Ministeriale;
  3. tale costo deve essere aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

Diversamente l’art. 34 DPR 380/01 si limita a chiarire che la sanzione va determinata sulla base del costo di produzione stabilito sempre in riferimento alla L 392/78.

Pur nella differente formulazione letterale non vi è alcuna distinzione tra le modalità di calcolo della sanzione nelle due fattispecie, così come per altro riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza amministrativa (Tar Emilia Romagna 321/2018).

Va evidenziato poi che il Legislatore fa riferimento alla L. 392/78 e, sebbene tali disposizioni siano state abrogate dalla L 431/98, il rinvio disposto dagli articoli in trattazione deve essere inteso in senso materiale, quale richiamo ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, da utilizzare anche dopo l’intervenuta modifica del regime delle locazioni abitative (TAR Puglia n 877/2018; Cds sez IV 1203/2007)

In giurisprudenza viene peraltro evidenziata la natura rigidamente vincolata del procedimento di quantificazione della sanzione pecuniaria per cui non sono ammessi atti discrezionali che modifichino i criteri predeterminati per legge(Cds Sez IV 3633/2018, Tar Piemonte sez I n 44/2019).

Diversi ed ulteriori criteri di stima possono invece essere previsti da normative regionali, a cui occorrerà pertanto fare rinvio, prestando particolare attenzione anche alle disposizioni transitorie eventualmente previste che possono distinguere diverse modalità di calcolo a seconda del periodo di realizzazione dell’abuso.

La L. 392/78 prevede una serie di disposizioni in cui viene chiarito come si calcolano:

  • la superficie convenzionale dell’intervento a seconda degli usi di specifici spazi  (art 13 L 392/98 - es la superficie delle autorimesse è calcolata al 50 %);
  • il costo di base (artt 14 e 22 L 392/78);
  • i coefficienti correttivi del costo di base (art 15 e ss  L 392/78)

 

La determinazione del costo di produzione

Se non si pongono particolari questioni sulla determinazione del primo e terzo punto sopra indicati, rinviando pertanto al testo normativo, va rilevato che è tuttora acceso il dibattito in ordine alle modalità di determinazione del costo di  base,  rispetto a cui si contrappongono due tesi:

  • la prima, in linea con la lettera della norma, ritiene che il costo di produzione sia quello sussistente al momento dell’abuso;
  • la seconda considera invece il costo vigente al momento in cui viene applicata la sanzione.

Trattasi di scelta non indifferente sia per gli oneri imposti al privato sia per gli introiti percepibili dalle Amministrazioni su cui neppure la Corte dei Conti è riuscita a fornire una soluzione univoca.

Con la deliberazione n 324 del 2018, la Sezione Regionale di Controllo per il Veneto della Corte dei Conti, ha infatti statuito che il quesito posto da un’amministrazione comunale, che chiedeva appunto di dirimere il conflitto sopra esposto,  non era di sua pertinenza “La presenza di pronunce di organi giurisdizionali di diversi ordini, come si è rilevato per la specifica tematica in esame, può costituire un indicatore sintomatico dell’estraneità della questione alla “materia di contabilità pubblica”.

Si tratta, evidentemente, di fattispecie in cui i profili contabili, se non marginali, non sono comunque preminenti rispetto ad altre problematiche di ordine giuridico che più propriamente devono essere risolte in diversa sede.

La deliberazione conclude osservando che la Sezione regionale di controllo, nella sua veste di organo esterno e neutrale, non può essere chiamata a esprimere un “parere qualificato” nella risoluzione di conflitti giurisprudenziali (riconosciuti pertanto come esistenti) né, tanto meno, a formulare un avallo di un’interpretazione circa l’esercizio del potere amministrativo e ciò al fine di evitare possibili interferenze con le funzioni giurisdizionali di altre articolazioni della Corte o di altre Giurisdizioni e un’ingerenza nell’attività amministrativa dell’Ente.

In funzione “collaborativa” la Sezione integra la copiosa giurisprudenza citata dall’Amministrazione richiedente, con due recenti pronunce in tema, ovvero la sentenza n 3633/2018 della sezione VI del Consiglio di Stato e la sentenza n. 321/2018 della prima sezione del Tar Emilia Romagna che avremo modo di analizzare nel prosieguo.

Va anticipato che, pur se le pronunce da ultimo richiamate convergono sulla seconda delle tesi prospettate, ovvero che si debba fare riferimento al tempo di comminazione della sanzione, i casi risolti presentano una serie di variabili che, di fatto, incidono sulla concreta quantificazione della sanzione e pertanto non consentono di rinvenire una tesi dominante in senso assoluto.

 

Tesi in conflitto

Le sentenze citate “in funzione collaborativa” dalla Corte dei Conti condividono il principio secondo cui la sanzione va parametrata al costo di produzione determinato con riferimento al tempo di sua comminazione ovvero utilizzando sempre il costo di produzione determinato dall’ultimo DM emanato.

Dm 18/12/1998 pubblicato in GU n 303 del 30/12/1998

Costo di base in lire

Regioni settentrionali                Regioni meridionali
1450000 (748,87 euro)                1346000 (695,15 euro)

Le stesse tuttavia utilizzano due diversi metodi di stima:

  1. il Consiglio di Stato (3633/2018) per un abuso contestato nel 2000 (non è noto se sia anche l’anno di commissione dello stesso) e sanzionato nel 2002, ritiene legittimo l’utilizzo dell’ultimo costo di produzione scaturente dal Dm 18/12/1998 senza applicare maggiorazioni derivanti dall’indice mensile Istat per raccordare tale importo all’anno di effettiva comminazione della sanzione (1997-2002);
  2. il TAR Emilia Romagna per un abuso realizzato nel 1964 applica i valori del costo di produzione indicati dall’art 14 L 392/78 per gli immobili edificati ante 1975 (129,11 €), applicando il coefficiente di rivalutazione ISTAT di 927,20 % per rapportare tale importo al 2006, anno di fiscalizzazione dell’abuso. In merito all’indicizzazione è lo stesso Tar a concludere che «l’esigenza di adeguamento del costo di produzione corrisponde alla finalità reintegratoria, per equivalente, della violazione delle regole urbanistiche propria della sanzione in esame, oltre alla necessità di non premiare mediante l’irrogazione di una sanzione attenuata in conseguenza della svalutazione verificatasi nelle more, l’autore dell’abuso».

Sintetizzando le differenze tra le due pronunce si ha:

Cds 3633/2018

  • Irrilevanza dell’epoca di realizzazione dell’abuso
  • Ultimo costo di produzione DM 18/12/1998
  • No maggiorazione indice istat del costo di costruzione

 

Tar ER 321/2018

  • Rilevanza dell’epoca di realizzazione dell’abuso
  • Costo di produzione del tempo di realizzazione dell’abuso
  • Sì maggiorazione indice istat del costo di costruzione per il periodo temporale che va dalla data di commissione dell’abuso all’epoca di fiscalizzazione dello stesso.

Alle due ipotesi sopra distinte se ne aggiunge una terza offerta dal Tar Veneto (sez II 473/2013 in senso conforme Tar Piemonte sez II 44/2019; Tar Puglia sez III 877/2015; Valle d’Aosta n 83/2002; CdS sez V 4257/1998) in cui per un abuso realizzato nel 1990 viene emessa, e valutata come legittima, una sanzione parametrata sulla base dei valori forniti dal DM 18/12/1998 indicizzati al 2009, anno di emissione dell’ordinanza d’ingiunzione al pagamento.

In questa ipotesi:

  • il costo di produzione a prescindere dall’epoca di realizzazione dell’abuso è quello determinato dall’ultimo DM emanato per le finalità di cui alla L 392/78 ovvero il DM del 18/12/1998;
  • i valori devono essere indicizzati al momento di determinazione della sanzione pecuniaria (applicazione della maggiorazione ISTAT);
  • il “fattore” tempo (ovvero il periodo intercorrente tra la data di realizzazione dell’abuso e quella in cui viene stimata la sanzione) rileva anche quale coefficiente correttivo, previsto dall’art 20 L 392/78, in ordine alle riduzioni previste per la vetustà dell’immobile.

 

Tesi preferibile e ragioni

A parere di chi scrive la terza tesi si pone in linea con il dettato normativo, anche alla luce di una serie di consolidati principi mutuati dalla giurisprudenza amministrativa in tema di misure repressive di contrasto all’abusivismo edilizio.

In primo luogo il regime sanzionatorio concretamente applicabile, in conformità al principio del tempus regit actum, è solo quello in vigore al momento della sanzione e non quindi quello vigente all’epoca di consumazione dell’abuso. 

Ciò in quanto la natura permanente dell’illecito edilizio impedisce che la sanzione possa essere ascritta al genus delle pene afflittive, non trovando pertanto applicazione per questa il divieto di retroattività (Tar Toscana sez III 1029/2018; Cds sez IV 4943/2016; TAR Campania sez  III n 2620/2017; Consiglio di Stato 3281/2014; 3242/2014).

Tale assunto in tema di sanzioni pecuniarie si traduce, secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, nella valutazione dell’abuso al momento in cui le stesse vengono concretamente irrogate, poiché queste ultime  si pongono in alternativa alla demolizione e mirano ad eliminare il plus valore economico conseguente all’abuso realizzato.

L’applicazione del principio richiamato tiene infatti conto della natura permanente dell’illecito edilizio rispetto a cui la c.d. fiscalizzazione dell’abuso (ovvero il suo mantenimento previo pagamento di una sanzione pecuniaria alternativa), rappresenta l’epilogo di una situazione di abusività che si è protratta solitamente per anni e della quale comunque i privati interessati si sono avvantaggiati, ottenendo il mantenimento in essere dell’opera abusiva (in senso conforme TAR Puglia sez III 877/2015; Tar Veneto 473/2013; Valle d’Aosta n 83/2002; CdS sez V 4257/1998).

Ne consegue che ai fini della determinazione della sanzione da infliggere per la realizzazione di opere edilizie abusive, deve tenersi conto del valore delle stesse al tempo della relativa irrogazione e non di quello corrente al momento della commissione dell’abuso, atteso che solo così operando l’autore dell’abuso non gode di un lucro rispetto all’alternativa sanzione della demolizione.

Parametrare la sanzione al valore dell’immobile al momento della sua comminazione consente di evitare “che il responsabile dell’abuso possa ritrarre un indebito arricchimento per effetto dell’incremento del prezzo della costruzione successivo all’ultimazione dell’abuso e che la sanzione pecuniaria si concreti in un vantaggio economico rispetto all’alternativa costituita dalla sanzione demolitoria” (Tar Milano, sez. II, n. 568/2018; Tar Veneto, sez II, n. 1114/2017; Tar Bari sez. III, n. 877/2015; Cons. St., sez. IV n. 4943/2016).

Altro argomento a favore della conclusione prospettata, riguarda il richiamo alle disposizioni contenute nel DPR 380/01 che distinguono i criteri di stima tra gli immobili ad uso residenziale (per i quali opera il meccanismo in discussione) e quelli ad uso non residenziale per i quali la sanzione viene parametrata sulla base del valore venale determinato dall’Agenzia del territorio, evidentemente all’attualità.

Se si facesse applicazione unicamente per gli abusi ad uso residenziale dei valori esistenti al momento della commissione dell’abuso, si realizzerebbe un’incomprensibile disparità di trattamento tra immobili ad uso non residenziale (valorizzati all’attualità) ed immobili ad uso residenziale il cui costo di costruzione resterebbe cristallizzato a valori oggi spesso datati (Tar Piemonte 44/2019).

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