Impermeabilizzazione | Coperture | Edilizia | Particolari Costruttivi | Progettazione
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La corretta sigillatura delle sormonte delle membrane in bitume polimero e qualche “Amarcord”

In questo articolo parliamo di impermeabilizzazione, nello specifico della Regola dell’Arte riguardante la posa delle membrane in bitume polimero. Con grande attenzione, l’articolo affronta un tema spinoso nel settore: il problema delle sigillature delle sormonte, purtroppo troppo spesso ignorato o sbagliato nell’esecuzione dei lavori. Qui una serie di immagini e di dettagli tecnici spiegano la corretta esecuzione di questo particolare costruttivo.

Sono stato in grande difficoltà nel decidere come intitolare questo mio nuovo articolo: “Amarcord?” oppure “C’era una volta?” oppure “L’evoluzione della posa delle membrane in bitume polimero?” oppure “La realizzazione delle giunzioni delle membrane in bitume polimero?”. Alla fine, ho deciso di parlare un po’ di tutto, pertanto ho ripreso la mia prima e ultima idea di titolo.

 

Impermeabilizzazione: la storia di un architetto che ha scelto di specializzarsi in questo settore

Era il lontano 1976, quando “per sbaglio” io “Architetto dello Studio Giò Ponti” (dove lavoravo già dal 1969, mentre ero ancora studente), avendo compreso che ormai lo Studio, per età avanzata del Titolare, stava per chiudere l’attività, risposi ad un annuncio sul Corriere della Sera, dove si cercava “un laureato in Ingegneria o Architettura, per ufficio tecnico commerciale di primaria a Impresa, specializzata nel settore edile”.

In quel periodo noi poveri Architetti, che avevamo frequentato Architettura e ci eravamo laureati in un periodo “considerato buio” (1968-1972), non eravamo per nulla amati e/o tantomeno ricercati, per essere assunti, indipendentemente dalle nostre esperienze personali, anche importanti come la mia; quindi, in qualche modo dovevamo “adattarci e accontentarci di quello che passava il Convento”.

Quell’Impresa specializzata che aveva pubblicato l’annuncio era la “Vicenzi Asfalti” di Milano che forse con i suoi (oltre) 500 dipendenti e 6 filiali in Italia, era allora la “maggior Impresa Europea nel settore Impermeabilizzazioni”.

Ma cos’erano le impermeabilizzazioni? In Università non me ne avevano mai parlato. All’epoca io pensavo - ma qualcuno lo pensa anche oggi e l’ho pure incontrato qualche volta - che per mantenere fuori l’acqua dagli edifici bastassero le piastrelle e le loro stuccature.

Chi mi accolse e mi fece il colloquio, per suddetta assunzione, fu proprio l’ing. Gino Vicenzi, titolare dell’Impresa; era una persona piuttosto anziana - aveva infatti la mia età odierna -, una persona simpatica e in qualche modo addirittura affascinante e riuscì - oggi posso dire fortunatamente - a convincermi ad essere assunto “in prova”.

Ricordo che, quando rientrai a casa, dissi a mia moglie (anche Lei aveva lavorato nello Studio di Giò Ponti), con cui ero sposato da soli tre anni, “senti ora vado lì, poi intanto cercherò con calma un vero lavoro d’Architetto, presso qualche Studio importante, sarà questione di qualche mese…abbi pazienza!”

Da allora, sono passati quasi cinquanta anni (!!!) e io sono ancora qui a settantacinque anni d’età ad occuparmi d’impermeabilizzazioni (il tutto per aver letto un annuncio sul Corriere della Sera)!!!

Tutto sommato gli Architetti non dovrebbero occuparsi di “Archi” e Tetti”! Ebbene, io sono uno di quelli che ha deciso di occuparsi solo di “Tetti”; spero che ci sia qualche mio Collega che si occupi anche di “Archi”, così chiudiamo il cerchio.
A consolazione di tutti, vi assicuro che almeno il fatto che non sono le stuccature delle piastrelle a tenere l’acqua delle coperture, ci ho messo un po’ di tempo, ma finalmente poi l’ho capito.

Ritornando alla Vicenzi Asfalti, dove poi rimasi fino al 1981, bisogna ammettere che era davvero un’impresa eccezionalmente organizzata; laboratori di ricerca, magazzini, grandi tecnici e soprattutto una grande “Scuola d’Impermeabilizzazione”.

I primi sei mesi di lavoro (periodo che ricordo sempre con grande simpatia), li passai in cantiere a vedere/imparare cosa erano le impermeabilizzazioni e come si posavano. La mattina in giacca e cravatta (si usava così allora per gli impiegati, e quanti vestiti ho fatto fuori…per la gioia di mia Moglie!) mi recavo presto in un cantiere, dove di solito incontravo i migliori “Caposquadra” della Vicenzi da cui “prendevo lezione”.

Ricordo in particolare “Ravasio di Bergamo” che mi aveva preso in simpatia e che mi insegnava con grande pazienza tutti i passaggi più importanti, riguardanti la posa dei cartoni e delle spalmate di bitume ossidato fuso (perché quelli su usavano ancora nel 1976!!!).

Era così gentile che, per passare il tempo, mi lasciava persino “scopare” il piano di posa su cui bisognava operare, il tutto ovviamente sempre in giacca e cravatta.

Successivamente, Ravasio si mise in proprio e per decenni si vantò con tutti - effettivamente aveva ragione - di essere stato il mio primo “maestro”.

Dopo il cantiere, ogni pomeriggio rientravo in ufficio dove venivo istruito, anche dal punto di vista teorico, riguardo gli aspetti più tecnici e progettuali di quel mestiere.

Alla fine “mi innamorai davvero di questo settore specializzato” e ne sono ancora innamorato dopo ben 48 anni di attività (accidenti come sono fedele!).

Quello è stato un periodo davvero magico, oltre ad avere io un’età magica, dove la voglia e l’entusiasmo di apprendere era davvero tanta.

 

Fig. 01 - I sistemi impermeabili di altri tempi (da fine 1800 al 1980), utilizzati prima della diffusione delle membrane flessibili, prefabbricate, in bitume polimero, erano realizzati con “cartoni e/o veli di vetro bitumati”, inframmezzati con spalmate di bitume (fuso all’interno di caldaie o bonze). Prima della diffusione del motore a scoppio, nei primissimi decenni del 1900 e quindi prima della diffusione capillare della benzina e del “bitume” (quale conseguente prodotto di scarto della distillazione del petrolio), veniva utilizzato, per incollare i “cartoni catramati”, il “catrame fuso” che era il prodotto di scarto della distillazione del carbone, in fase di produzione del “gas illuminante di città”.
(© Antonio Broccolino)

 

L’evoluzione della posa delle membrane in bitume polimero prefabbricate

A fine anni Settanta, le membrane in bitume polimero c’erano già e cominciavano ad essere sempre più utilizzate in cantiere.

All’inizio della mia esperienza lavorativa, ricordo che venivano soprattutto utilizzate per realizzare i risvolti verticali e i giunti di dilatazione e solo dal 1979 - almeno io ho cominciato a vederle utilizzare in Vicenzi - per realizzare intere coperture.

A titolo di curiosità, ricordo che una membrana bituminosa, di alta gamma, in spessore 4 mm, armata con NT di poliestere, costava circa 3.000 lire/metro quadro, corrispondenti a circa 15,00 € del valore attuale (all’epoca, il costo orario di un operaio si aggirava sulle 5.000 lire/ora).

Il grande vantaggio che ho avuto è di vivere intensamente quegli anni di passaggio dai sistemi bituminosi multistrato (cartoni e spalmate) ai sistemi bituminosi con membrane prefabbricate flessibili.

Sono stato anche fortunato nell’avere, come insegnanti d’applicazione, dei veri Maestri Operai che da generazioni facevano quel mestiere e che non solo erano in grado di realizzare un particolare esecutivo complesso in modo “tecnicamente ed esteticamente perfetto”, ma erano anche in grado, grazie alla loro grande esperienza, di “inventare” soluzioni di posa fino ad allora praticamente sconosciute, anche riguardo l’applicazione delle nuove membrane prefabbricate; soluzioni che ancora oggi fanno parte del mio bagaglio tecnico culturale riguardante le impermeabilizzazioni.

L’avvento, quasi improvviso, delle membrane bituminose prefabbricate nel mondo delle impermeabilizzazioni, non solo sconvolse le metodologie di posa dei prodotti, ma cambiò nel giro di pochissimi anni (dal 1979 al 1983) il mercato stesso delle impermeabilizzazioni in Italia e anche la “struttura organizzativa” delle Imprese di posa.

Le membrane erano, come prodotti, sicuramente molto più costose dei cartoni bitumati, ma erano davvero più semplici da trasportare e da posare; non necessitavano dell’uso di caldaie e di altri accessori complessi e non necessitavano neppure di grandi magazzini di stoccaggio, perché potevano essere fatte consegnare direttamente in cantiere, ecc.

Le grandi Imprese (come la stessa Vicenzi Asfalti) soffrirono enormemente questi cambiamenti e dovettero ridimensionare la loro struttura o in alternativa chiudere (come purtroppo successe a troppi…tra cui anche alla Vicenzi asfalti nella seconda metà degli anni Ottanta).

I “Maestri operai”, più intraprendenti, ne approfittarono giustamente, per mettersi in proprio, come “Imprese Artigiane” e poco più avanti anche come “Imprese d’applicazione strutturate”.

In brevissimo tempo, si perse soprattutto il “passaggio generazionale del mestiere”, per cui in una decina d’anni, i figli dei “Maestri Operai” spesso cambiarono totalmente attività e negli anni Novanta gli stessi “Maestri Operai”, per raggiunti limiti d’età, andarono in pensione, chiudendo l’attività o lasciandola purtroppo a “Tecnici meno esperti” di loro.
Come ho già accennato, suddetta “rivoluzione tecnico generazionale” avvenne proprio nel momento critico di passaggio da un sistema impermeabile “ampiamente conosciuto” e adottato da almeno novant’anni, da gente esperta, ad un sistema sconosciuto che era “tutto da inventare” e di questo ne paghiamo purtroppo ancora le conseguenze.

Inizialmente, salvo poche e fortunate eccezioni, chi spiegava la “nuova regola dell’arte” riguardante la posa delle membrane bituminose prefabbricate, ai Clienti Applicatori, erano gli stessi Produttori delle membrane bituminose, tramite la loro “Rete Vendita” che ovviamente “era ed è ancora” poco esperta di progettazione e cantieristica.

“Inventare la nuova regola dell’arte” diventava quindi un compito che spettava soprattutto agli stessi Applicatori, ma salvo I “Maestri Operai” e i pochi “Tecnici Esperti” sopravvissuti alla “rivoluzione delle membrane bituminose”, anche questi ebbero molte difficoltà in mancanza di “regole ben chiare” e anche “voglia d’imparare”.

Vorrei ricordare tutta una serie di nomi di miei “amici colleghi impermeabilizzatori” che nel periodo anni 80-90, insieme anche a me, inventarono e sperimentarono “sulla loro pelle”, le nuove metodologie di posa, allo scopo di cercare di creare “una regola d’arte”, il più comune possibile, almeno nei “concetti base”, ma non lo farò in questo documento, perché sarebbe troppo lungo e noioso e sicuramente potrei dimenticarmi involontariamente qualche nome.

 

Impermeabilizzazione: il Codice di Buona Pratica delle Coperture Continue IGLAE

Nella seconda metà degli anni ‘80, mi sono iscritto, all’IGLAE (Istituto per la Garanzia dei Lavori Affini all’edilizia, in ambito Ance, Associazione Nazionale Costruttori Edili) e come è mio solito mi sono reso “Socio attivo” (chi mi conosce bene sa che sono “iperattivo” e non sono mai stato capace di “stare con le mani in mano”) riguardo l’attività dell’Associazione, per cui, insieme a Carlo Galeazzi (bravissimo Titolare d’Impresa d’Applicazione), entrai come delegato in UNI (il più giovane commissario UNI di quel periodo, mentre oggi sono il più vecchio… purtroppo!) e fummo anche incaricati di scrivere, in forma di norma UNI, il Codice di Pratica delle Coperture Continue (impermeabilizzazioni), con la consulenza di Giuseppe Barbesino (incaricato dall’associazione dei Produttori di membrane bituminose) e di Pier Maria Sartori (incaricato dall’ICITE - CNR).

Ci mettemmo qualche anno di lavoro per scrivere il Codice di Pratica; forse nessuno credeva che saremmo riusciti a scriverlo o meglio, forse molti speravano addirittura che non ci riuscissimo.

Per la prima volta, in un documento tecnico dedicato alle membrane bituminose prefabbricate, si indicavano i dati riguardanti i “minimi prestazionali dei prodotti”, per individuare le membrane bituminose più idonee ad essere utilizzate nei sistemi impermeabili.

Tutto questo evidentemente non piacque però molto ai Produttori di Membrane che, nonostante avessero partecipato alla Commissione di studio con l’Ing. Barbesino, si tirarono indietro, in Commissione UNI, durante la votazione finale, per l’approvazione della Norma.

Fu per noi una vera fortuna perché a quel punto fummo liberi di indicare davvero nel “Codice di Pratica” tutti quei “riferimenti tecnici” che, per questioni soprattutto di carattere commerciale, i Produttori non gradivano e salvo eccezioni, mal gradiscono ancora oggi.

Il Codice di Pratica venne quindi pubblicato alla fine del 1992 e dopo numerose riedizioni e ristampe, sono orgoglioso di dire che, ancora oggi, è il “manuale tecnico d’Impermeabilizzazioni” più venduto e utilizzato in Italia da Progettisti, Società di verifica di conformità e Assicurazioni (a titolo informativo e di chiarezza, io non prendo provvigioni sulle vendite del Codice di Pratica).

In qualche modo bisogna ammettere che la mia “vita/carriera professionale” è stata indirizzata da una serie di “sfortune che poi si sono rilevate, in qualche modo, fortune!”.

Purtroppo, pochissimi anni dopo la pubblicazione della prima edizione Codice di Pratica, gli altri Autori (Galeazzi, Barbesino e Sartori) ci lasciarono prematuramente (tutti nel giro di due anni) e io quasi d’improvviso mi sono ritrovato “solo” a proseguire il lavoro di aggiornamento.

Fortunatamente fui comunque poi aiutato da altri Tecnici di Settore (poi nominati e ringraziati nelle varie edizioni del volume), per continuare le ricerche, teoriche e tecniche, riguardanti la “regola dell’arte” per progettazione e posa dei sistemi impermeabili, in membrane prefabbricate flessibili, da riportare puntualmente nel Codice.

Separatamente e fortunatamente, ma nello stesso periodo in cui ho operato io, sempre riguardo gli stessi argomenti riportati nel Codice di Pratica, ci ha lavorato anche il mio amico Mario Piccinini (più giovane di me di ben 7 giorni quindi mancante di questo “lungo” periodo d’esperienza), il quale, con una storia professionale abbastanza simile alla mia, ma con una visione dell’argomento, sicuramente “meno teorica” della mia, ma “molto più cantieristica” è comunque giunto alle stesse “regole basi” che rappresentano, secondo noi e tanti altri, la “regola dell’arte” riguardante progettazione e posa dei sistemi impermeabili in membrane prefabbricate flessibili.

 

Impermeabilizzazione: Cosa è la regola dell’arte?

Si trovano molte definizioni sul web; io vorrei adottare - leggermente modificata da me nella compilazione per renderla più chiara - quella riportata nella Norma UNI 11540, riguardante la manutenzione dei sistemi impermeabili:

La regola dell’arte è l’insieme delle tecniche considerate corrette dagli specialisti del settore (in base anche alle proprie esperienze personali), per l’esecuzione di determinate lavorazioni del sistema di copertura.
Possono essere considerati “riferimenti utili alla regola dell’arte” e costituiscono interpretazione referenziale e riconosciuta delle regole dell’arte:

  • Le leggi Statali e/o Regionali, quale riferimento primario alla regola dell’arte;
  • In assenza completa o parziale di riferimenti legislativi, le Norme prodotte da Enti di normazione (es. UNI, EN, ISO);
  • In assenza completa o parziale di quanto sopra, le linee guida promosse da Associazioni professionali o industriali (es. Il Codice di Pratica IGLAE);
  • In assenza completa o parziale di quanto sopra, le linee guide emesse da singoli Produttori, ma solo per l’applicazione dei materiali prodotti dal Produttore stesso e indicati nelle linee guida.

Proprio il concetto che la regola d’arte non è solo un riferimento alle norme e leggi, ma anche (e conta molto) la conoscenza ed esperienza del Tecnico (ovviamente se riconosciuto e preparato) che deve progettare e/o far eseguire il lavoro.

Interessante è constatare come sia io che Mario Piccinini, nonostante piccole divergenze d’interpretazione tecnica (derivanti appunto dalle diverse esperienze lavorative) di alcuni fenomeni e prodotti (comunque non più che virgole nell’ambito dell’insieme dei concetti), scambiandoci però sempre informazioni ed esperienze, dopo più di 40 anni che ci conosciamo e che operiamo separatamente, poi, come già detto, alla fine, siamo arrivati ad “un’uniformità di regole basi, riguardanti la regola dell’arte per la progettazione e realizzazione dei sistemi impermeabili”.
Sempre come già accennato, per propria esperienza lo Scrivente ha una visione più teorica del problema, mentre Mario Piccinini ce l’ha più cantieristica.

Entrambi siamo “Progettisti Specializzati” e operiamo normalmente in cantiere e quindi siamo anche in grado di spiegare ad un Operatore (che abbia ovviamente un minimo d’esperienza) quali sono le “giuste sequenze di lavorazione” per realizzare un particolare esecutivo, anche complesso.

Io non avendo alcuna manualità, devo ammettere che comunque non sono in grado di eseguire il particolare direttamente (quando ci ho provato ho fatto solo delle grandi schifezze!), Mario Piccinini ha invece un’ottima manualità ed è quindi in grado anche di costruirlo.

Vorrei concludere l’argomento “regola dell’arte” citando una frase che diceva sempre il mio primo Maestro Ing. Gino Vicenzi: “l’impermeabilizzazione (tenuta idraulica degli edifici) non è una scienza esatta, ma una scienza logica, non bastano le regole (Normative e regole basi) per progettarla correttamente, ma è necessario anche metterci la propria personale esperienza, l’intuito e un po’ di fantasia”.

Concordo ovviamente con suddetta frase, perché l’impermeabilizzazione è uno degli aspetti più complessi della progettazione edilizia, tanto che da ricerche eseguite da ASSIMP Italia (Associazione Impermeabilizzatori) è risultato che su 100 contenziosi, nati nel settore edilizio, ben il 50% sono dovuti a problemi di “tenuta idraulica dell’edificio” e di questi ben il 54% è dovuto ad errori progettuali originari riguardanti i sistemi impermeabili.

All’estero non è comunque che stiano meglio di noi e in qualche modo suddette percentuali, almeno in Europa si ripetono anche negli altri paesi.

Ora dopo questa lunga premessa in stile “Amarcord”, dove mi sono lasciato andare, forse per l’età piuttosto avanzata, a ricordi e considerazioni del mio passato professionale, cominciamo “FINALMENTE” (diranno in molti!) a parlare di cose serie e quindi di argomenti tecnici.

 

La realizzazione delle giunzioni delle membrane in bitume polimero

Questo argomento è estremamente delicato e purtroppo, quando si va in cantiere, si vedono “applicazioni da brivido”; credo che Mario Piccinini scandalizzato, più volte, abbia strappato di mano, ad un Operatore inesperto, bruciatore e cazzuolino, per mostrargli dal vivo, come avrebbe dovuto essere eseguito il lavoro.

Io purtroppo mi sono dovuto limitare a riprenderli e a “schizzare” cosa avrebbero dovuto fare.

Come ho già detto i “Maestri Operai” si sono (salvo rarissime eccezioni) ormai estinti; i figli dei “Maestri Operai, non fanno più il “duro mestiere dell’Impermeabilizzatore” (sono Impiegati, Avvocati, Ingegneri, ecc.); ormai gli Applicatori, sempre più difficili da trovare, provengono da altre nazioni e/o da altre esperienze lavorative non edilizie e spessissimo vengono incaricati di applicazioni complesse, sin dai primi mesi di assunzione, senza ricevere alcuna istruzione preventiva adeguata.

In particolare, nella “sezione tecnica” di questo documento, prenderò in esame il problema spinoso delle sigillature delle giunzioni delle membrane in bitume polimero.

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