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La bozza di Decreto dei nuovi requisiti igienico-sanitari in edilizia pone qualche criticità

Approfondimento su tutte le criticità del nuovo schema di decreto sull'agibilità degli edifici: incidenza delle politiche energetiche e requisiti igienico-sanitari, coesistenza di prestazioni e prescrizioni, destinatari delle norme, problema dell'efficacia.

Il punto dello stato attuale della norma igienico-sanitaria in edilizia lo abbiano già presentato nel precedente commento (“La transizione delle norme igienico-sanitarie in edilizia”) in cui l’Autore ha anticipato anche il prossimo venturo assetto della Bozza del nuovo decreto che dovrebbe sostituire le attuali norme.

In quel commento si rinviava ad un successivo approfondimento l’analisi della Bozza che qui viene proposta all’attenzione degli operatori al fine di poter essere preparati alla sua eventuale applicazione che, da quanto si evince, pone più d’una difficoltà operativa.


E’ stata redatta la bozza di decreto del Ministero della Sanità sui “requisiti igienico-sanitari degli edifici” previsto dall'articolo 20, comma 1–bis del Testo Unico dell’Edilizia (introdotto dal d.lgs. n. 222 del 2016 in Gazzetta Ufficiale del 26 novembre) che aveva annunciato che sarebbe stato adottato entro 90 giorni...

Come recita la lettera di trasmissione sarà posto all’esame della Conferenza Unificata Stato-Regioni “con ogni consentita urgenza“.

Tempestività a parte dovrebbe sostituire il d.m. 5 luglio 1975 il quale (in soli 9 articoli) aveva disciplinato le caratteristiche dimensionali degli edifici e delle singole sue articolazioni (stanze).

L’incidenza delle politiche energetiche e i requisiti igienico-sanitari

Ricorderemo incidentalmente che una delle più vistose innovazioni apportate 43 anni fa dall’ancor attuale d.m. 05.07.1975 era stata la diminuzione delle altezze interne (dai 3,00 metri abitualmente imposti dalle previgenti regolamentazioni ai 2,70 metri); frutto della crisi energetica del 1973 a testimonianza della stretta incidenza e correlazione tra requisiti igienico-sanitari “minimi” e politiche energetiche in generale.

In altri termini i requisiti igienico-sanitari non sono dati assoluti, ma figli del livello di comfort atteso e … possibile. Una contaminazione tra due contestuali obiettivi: la salute e il risparmio energetico; o, se preferite, una ottimizzazione dei due aspetti.

Era dunque implicito attendersi anche in questa nuova versione la riproposizione di un più aggiornato contemperamento delle finalità.

Nella lunga elencazione dei “visto” introduttivi della bozza di decreto si nota che l’ambizione del nuovo regolamento è di ampio spettro e si estende:

  • da tematiche specialistiche (puntuali e misurabili)
  • a requisiti prestazionali degli edifici
  • finanche alla verifica di esercizio degli impianti termici e di climatizzazione inerenti gli edifici
  • per ampliarsi anche alla definizione e alla ricerca di requisiti e prestazioni che esulano dell’edificio per abbracciare ambiti di progettazione urbanistica.

E qui già si rileva una sua incongrua collocazione: in sede di rilascio del titolo abilitativo possiamo controllare i dati di progetto dell’edificio, non certo i requisiti del suo intorno che già sono stati definiti in sede urbanistica.

Requisiti, questi ultimi, che si elencano già negli articoli da 3 a 6 in cui si raccomanda attenzione all’inserimento dell’edificio nel contesto circostante che evidentemente sta a monte della progettazione architettonica del manufatto singolo; per i requisiti dell’edificio oggetto di atto abilitativo (questi soli a modifica dell’attuale d.m. del 1975) bisogna arrivare all’articolo 7.

La struttura del nuovo Decreto

Viene allora da chiedersi a chi sia rivolto il nuovo adottando decreto ministeriale perché, se andiamo alla sua fonte giuridica che abbiamo dianzi rammentato, è stato previsto dal Testo Unico dell’Edilizia sotto il titolo dell’articolo 20 che recita: “Procedimento per il rilascio del permesso di costruire” e dunque pareva dovesse riferirsi a quella fase istruttoria.

Ma vediamone un esame più dettagliato.

  • Parametri esterni (qualitativi)

Nel rilascio del permesso del singolo manufatto l’analisi del sito (articolo 3), il rapporto tra edificio e contesto (articolo 4), gli spazi verdi e il controllo del microclima (articolo 5), l’orientamento degli edifici, degli ambienti interni e della visione esterna (articolo 6) si dovranno limitare entro il “lotto” già reso edificabile da qualcun altro in precedenza (la pianificazione urbanistica) e ben poca libertà progettuale potranno esprimere.

Sono parametri che dovevano essere ricercati prima.

Il che non vuol dire che siano errati come elementi di attenzione e valutazione, ma forse sono posti nel momento sbagliato (sono tardivi).

  • Parametri interni (qualitativi)

Fin qui i parametri di inquadramento; poi ci sono parametri prestazionali – per così dire – interni – che però non danno prescrizioni oggettive, ma solo suggerimenti di buona prassi progettuale del tipo: Garantire il benessere psicofisico, la percezione di sicurezza degli spazi, il recupero dell’identità e il valore di uno specifico paesaggio, ricercare l’equilibrato rapporto con i caratteri naturali ed insediativi, corretto impiego dell’energia solare …. e via discorrendo ….

Belle intenzioni, condivisibili e inconfutabili, che però non vanno oltre buoni suggerimenti che (diciamoci la verità) dovrebbero già essere patrimonio di cultura progettuale di un professionista medio.

Se però il Decreto non ne dà criteri misurabili e oggettivi quei suggerimenti non possono essere poi oggetto di contestazione di mancato recepimento in sede di rilascio del titolo abilitativo (sia esso un permesso o – peggio - una dichiarazione di parte).

Se poi procediamo con la disamina della bozza di decreto e andiamo ai successivi articoli troviamo suggerimenti progettuali del tipo:

  • deve essere mantenuta una certa omogeneità della temperatura minimizzando gradienti termici tra i diversi spazi di vita (articolo 8);
  • garantita una buona qualità dell’aria, .. individuando soluzioni tecniche e localizzative per l’intallazione degli impianti e dei condotti che minimizzino il disturbo per i residenti e l’impatto visivo (articolo 9);
  • assicurate le condizioni di benessere visivo riducendo il ricorso a fonti di illuminazione artificiale (articolo 10);
  • ridotta l’esposizione dei recettori all’inquinamento acustico e adottati accorgimenti tecnico-progettuali in grado di minimizzare il rumore esterno negli ambienti interni (articolo 11);

e addirittura …

  • la progettazione degli edifici residenziali deve essere finalizzata a garantire la presenza di idonei spazi per la gestione dei rifiuti solidi urbani attraverso strategie progettuali coerenti con la raccolta differenziata dell’Ente gestore (!?!) (articolo 12)
  • e si deve garantire la gestione integrata dell’edificio (?) (articolo 13).

Suggerimenti progettuali dunque e non norme cogenti e … misurabili.

In sostanza la bozza di regolamento non è neppure un manuale di progettazione ma al più una collazionatura di buoni suggerimenti progettuali generici (corredata qua e là da alcune norme di settore), ma in genere non controllabili in modo oggettivo.

Ma una norma è utile se produce effetti verificabili che consentano di negare l’esecuzione dell’opera qualora non siano rispettati e per questo devono essere tradotti in dati oggettivi e “misurabili” non soggetti ad interpretazioni individuali.

  • Parametri interni misurabili

Vero è che all’articolo 8 e 9 sono richiamati anche il rispetto di alcune norme UNI (con tanto di citazione: UNI EN ISO 7730:2006 – UNI EN 16798-1:2019), ma questo non fa salire il livello qualitativo del futuro decreto, perché le norme tecniche se ci sono valgono di per sé anche senza richiamarle e se le si richiamano e poi mutano il richiamo diventa obsoleto, inutile e fuorviante.

Gli unici parametri quantitativi misurabili li troviamo all’articolo 7 (“Requisiti dimensionali degli spazi di vita”) in cui sono riportate le Prescrizioni di effettiva modifica del d.m. – 1975.

Da un decreto sostitutivo del d.m. di quarantacinque anni fa (e dopo sette anni e mezzo di gestazione) onestamente mi sarei aspettato di più.

La duplice natura delle norme: la coesistenza di prestazioni e prescrizioni

Ed in effetti - in esordio all’articolo 2 “definizioni” - il decreto-bozza anticipa che il nuovo regolamento contiene:

  • prestazioni sanitarie” che altro non sono che “buone pratiche” suggerite e
  • prescrizioni sanitarie” che invece sono norma cogente.

Diciamo che molte sono le prime, poche le seconde.

Integrano la bozza di decreto fin qui commentato due altri documenti denominati: “Analisi tecnico-normativa” e “Analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.)”.

Il primo Allegato ripropone l’elencazione analitica delle prestazioni e indica “gli strumenti di verifica” che – confermando le ipotesi che già si deducono leggendo il testo dell’articolato - sono in sostanza affidate ad una serie di relazioni:

  • relazioni descrittive del progettista per gli aspetti del “rapporto edificio/contesto “ (punto 4); “spazi verdi e microclima” (punto 5), “orientamento degli edifici” (punto 6);
  • relazione di “analisi del sito” (punto 3 che è l’unica di cui si prescrive il rinvio di valutazione agli organi competenti dell’attività di controllo (e le altre a chi vanno ??);
  • relazioni tecniche di conformità dei materiali e calcolo del fattore di luce per i punti 8, 9, 10 (dunque da spostare alla fine lavori (leggasi abitabilità);
  • relazione di rispetto dei requisiti di protezione acustica da certificare con la procedura dell’articolo 47 del DPR 445/2000 che è la “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà” (che, a dire il vero appare impropria perché più coerente sarebbe stata una certificazione asseverata che è altra cosa !);
  • piano di gestione dei rifiuti urbani (p.to 12 - che appare invero un po’ eccessivo e mutevole in ragione di modifiche nel sistema di raccolta comunale) e piano di manutenzione da allegare al regolamento di condominio (p.to 13).

Questi gli “strumenti di verifica”, ma quali sono i parametri di valutazione (e di confutazione) che non possono essere discrezionali?

Il che ci porta a chiarire i destinatari delle norme: chi le applica e chi le controlla.

I destinatari delle norme e il problema dell’efficacia

Si è visto infatti che il decreto tratta una commistione di adempimenti i cui destinatari (dice testualmente) sono “soggetti pubblici e privati. Tra i primi i Comuni con i relativi uffici edilizia mentre tra i secondi vi sono tutti i professionisti e le imprese del settore edile” (come recita la lett. E della Sezione 1 dell ‘Allegato 2 “Modalità attuative dell’intervento regolatorio”); dunque i destinatari sono:

  • professionisti e imprese per l’onere del rispetto in fase di progettazione ed esecuzione (e fin qui va bene);
  • i comuni per la fase di controllo, demandato espressamente “agli Uffici tecnici dei comuni” come soggetti responsabili (come si legge nella Sezione 7 dell’ allegato 2, lett. A.

I quali – si ingiunge tassativamente - eserciteranno tali poteri con le “ordinarie procedure di controllo” oggi in essere (!) (Sezione 7, lett. C).

Affermazione, questa, che dimostra la non conoscenza del funzionamento di una amministrazione comunale media e lo stato di attuale difficoltà operativa in cui versa la generalità dei comuni e che dovrebbe far tremare i polsi degli addetti ai lavori per una serie di motivi:

  • perché gli Uffici tecnici dei comuni in sede di rilascio degli atti abilitativi sono in grado di verificare norme cogenti e misurabili e non anche disposizioni di obiettivi qualitativi che non possano essere contestati nel concreto (non riesco ad immaginare un permesso negato per insufficiente disamina progettuale dell’inserimento e della valorizzazione degli aspetti paesaggistici). E questo è un aspetto procedurale di applicabilità;
  • Se poi il titolo fosse acquisito per silenzio-assenso o peggio ancora se il titolo abilitativo fosse per autocertificazione (s.c.i.a. o c.i.l.a.) sarebbero esposti ad una discutibile verifica ex post;
  • perché mancano – nella generalità dei comuni italiani - negli uffici tecnici dell’edilizia le professionalità tecnico-tecnologiche adeguate ad eventuale siffatto controllo di merito per cui è velleitario affermare che si adotteranno i normali metodi di controllo oggi in uso quando il complesso di requisiti prestazionali previsti non è oggi né richiesta né verificata. E questo è un dato di fatto;
  • perché solo le prescrizioni sarebbero in sostanza contestabili in concreto, mentre le prestazioni resterebbero un auspicabile comportamento virtuoso dei progettisti;
  • perché molte previsioni prestazionali sarebbero accertabili solo a fine lavori e non certo alla fase di rilascio e andranno semmai rinviate all’agibilità (e dunque all’articolo 24 e non all’articolo 20 del DPR 380/01); non si sa poi quando accertare le prestazioni di natura manutentiva.

Tra le finalità la bozza pone anche quello di ridurre le controversie tra Stato e Regioni (Sezione 5, lett. A) e la previsione che “potrebbe determinare una revisione dei titoli edilizi già concessi” (?) per cui “è ipotizzabile un aumento delle istanze agli SUE .. nel breve termine” (?).

Affermazioni quanto meno unilaterali.

In sintesi si tratta di un regolamento certamente animato da molte buone intenzioni, ma con poco realismo applicativo, a volte generico nelle disposizioni, difficili se non impossibili da verificare.

Per essere applicabile ed efficace – sia a beneficio dei controllori che dei futuri asseveratori – la norma deve essere oggettiva, misurabile, univocamente interpretabile.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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