La Bioclimatica nella pianificazione urbana: interazione tra edificio e ambiente
La necessità di occuparsi dei cambiamenti climatici dal punto di vista dell’adattamento e della mitigazione impone un considerevole salto di scala, includendo l’approccio globale richiesto dalla mitigazione per l’abbattimento delle emissioni climalteranti, ad uno strettamente urbano ed estremamente localizzato per l’adattamento. Quali approcci al progetto e quali strumenti possiamo utilizzare? Scopriamolo nel dettaglio.
Sostenibilità nella pianificazione: nuovi strumenti
L’adattamento ai cambiamenti climatici è una questione urbana e locale, poiché non esistono politiche e azioni di adattamento adeguate sempre e comunque. L’adattamento è un meccanismo complesso che si basa principalmente sulle specificità geomorfologiche del luogo e sulla comunità locale che lo vive, tenendo in stretta considerazione i sistemi economici locali, le infrastrutture e i flussi che lo caratterizzano.
Specialmente nel contesto italiano, gli aspetti riguardanti una gestione oculata dell’energia in ambito urbano e più in generale temi di resilienza urbana e di “protezione del clima” hanno cominciato timidamente a essere introdotti nei sistemi normativi, anche se le esperienze compiute sono ancora molto contenute e in genere limitate a strumenti di natura volontaria, con risultati ancora lontani dalle aspettative di drastica riduzione dei consumi energetici e di abbattimento delle emissioni climalteranti.
Nonostante i limitati risultati di questi strumenti, non va però sottaciuto che un merito ai piani di natura volontaria finalizzati alla protezione dei sistemi urbani rispetto alle variabilità climatiche vada assegnato: avere avviato un dibattito rilevante a livello istituzionale e locale favorendo l’avvio di sperimentazioni alle varie scale e innovazioni dal punto di vista normativo.
Tali piani, di natura volontaria, hanno l’obiettivo di porre attenzione all’adeguamento della pianificazione territoriale e urbanistica alla gestione delle risorse energetiche e alla riduzione degli impatti locali del “clima che cambia”. In particolare, introducono principi finalizzati ad introdurre:
- il rapporto tra pianificazione urbanistica e cambiamenti climatici, con attenzione alla forma urbana e alla specificità dei sistemi urbani;
- alla descrizione dei fenomeni dell’isola di calore urbano (UHI);
- alle tecniche urbanistiche più adeguate alla calmierazione del surriscaldamento urbano, non trascurando fondamentali relazioni con la tecnologia e con la fisica tecnica per proporre soluzioni praticabili a livello locale.
La pianificazione tradizionale ha fatto in modo che le attività umane sul territorio fossero progettate e dimensionate con il presupposto, esplicito o implicito, che la situazione e le condizioni ambientali e territoriali rimanessero costanti e non mutassero nel tempo.
Il territorio risulta impreparato ai possibili cambiamenti, in cui i sistemi urbani subiscono impatti sempre maggiori. Al centro di questo scenario di incertezza vi sono le città dove si concentra la popolazione mondiale, dove gli effetti negativi del clima si presentano più severi per il prevalere dell’artificiale sul naturale.
L’individuazione dei rischi ai quali sono esposti gli abitanti, la valutazione della vulnerabilità urbana nel suo complesso e la formulazione di strategie atte a contrastare il problema degli impatti locali degli eventi esterni rappresentano un banco di prova importante per una pianificazione che potrebbe essere definita climate proof.
Se da un lato hanno contribuito fortemente al cambiamento climatico, con i loro consumi e le loro emissioni di gas serra, dall’altro le città e i governi locali in senso più ampio sono i centri dell’innovazione economica, politica e culturale, motori delle economie nazionali, e rivestono un ruolo strategico nella sperimentazione di nuove politiche sia per la riduzione delle emissioni climalteranti (strategie di mitigazione), sia per l’aumento della resilienza urbana agli inevitabili impatti che anche con la mitigazione non potranno essere evitati.
Clima urbano: quali politiche?
Se il dibattito professionale e quello all’interno delle amministrazioni, per lo più in Italia, sono attualmente incentrati sull’individuazione e redazione di strumenti riferiti ai cambiamenti climatici e all’efficienza energetica, come i Piani Clima ma ancor più i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), il dibattito accademico riconosce la capacità dell’insieme di politiche già definite nei sistemi di governo locale a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici su sistemi naturali e antropizzati, da un lato e a ridurre le esternalità ambientali che possono favorire le mutazioni climatiche nel medio e lungo periodo dall’altro. Questo attraverso l’applicazione di un approccio di valenza strategica che sia in grado di tenere assieme diversi livelli di gestione, di settori di intervento e di attori.
L’identificazione delle azioni principali è l’elemento chiave della definizione di strategie a lungo e breve-medio termine per il clima urbano. Le aree interessate da un processo di pianificazione consapevole del clima urbano sono da considerare una raccomandazione generale che necessita di essere coordinata rispetto alle sfide più rilevanti della pianificazione a livello comunale.
Le azioni chiave sono relative a molteplici Policy area che insistono principalmente su quelle tradizionalmente legate al governo e alla pianificazione del territorio e precisamente:
- l’uso del suolo;
- la mobilità;
- le attività produttive;
- l’ambiente (aria e acqua).
Appare quindi evidente come all’interno dell’organizzazione di un’amministrazione le politiche per il clima urbano non abbiano un’attribuzione predeterminata, non siano di competenza specifica di una determinata ripartizione/area ma piuttosto i loro contenuti siano una variabile dipendente, che dovrebbe essere declinata nelle differenti aree politiche.
Forma urbana ed energia: verso una progettazione bioclimatica
Secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IE A) si stima per il 2030 una crescita dei consumi energetici su scala mondiale (ottenuta dall’incremento della domanda pro-capite) pari al 60% rispetto al consumo attuale. Considerando che attualmente la popolazione urbana supera il 50 % del totale, con aree in cui la percentuale tocca l’80 %, e il tasso di crescita dei consumi energetici è dell’1,9 % annuo, si prevede che il consumo energetico urbano aumenterà del doppio rispetto all’attuale tasso medio di crescita europeo.
Questo processo di inurbamento della popolazione, unito ai potenziali impatti del cambiamento climatico indotti dalla componente antropica, fornisce un nuovo impulso agli sforzi per comprendere come forme, funzioni e risorse interagiscono all’interno degli ambienti urbani.
In alcune città, infatti, il consumo di energia pro-capite ha registrato un incremento direttamente proporzionale alla loro crescita spaziale. Dato il crescente contributo delle città alle emissioni climalteranti, affrontare il cambiamento climatico globale declinandolo a livello urbano assume una forte rilevanza, in quanto garantisce una maggiore efficacia di intervento.
Il livello locale, che costituisce al contempo “parte del problema” e “parte della soluzione”, diventa in questo senso il punto di partenza ideale per avviare politiche e azioni per la protezione del clima che permettano una reale transizione verso un modello urbano sostenibile capace di combinare il semplice risparmio con investimenti per l’efficienza energetica e l’uso di fonti energetiche rinnovabili.
Consumo energetico, forma urbana, densità e morfologia, se opportunamente messi in relazione, offrono infatti l’opportunità di affrontare localmente, tanto nel policy design quanto nella progettazione urbana, le questioni del clima.
Gran parte della letteratura di riferimento si concentra sul tema della mitigazione considerandola come driver di sostenibilità urbana. Secondo questo approccio, una migliore pianificazione e un miglior design degli spazi e delle forme urbane dovrebbero essere in grado sia di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, sia di garantire un processo graduale di adattamento per attenuarne gli impatti diretti e indiretti.
Finora i processi di mitigazione per ridurre le emissioni GHG hanno ruotato principalmente intorno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, al risparmio energetico degli edifici, alle tecnologie “verdi” di produzione industriale, a carburanti alternativi con una maggiore efficienza per i veicoli e all’aumento della rete di trasporto pubblico.
Ci si è soffermati meno, invece, sullo studio delle forme urbane e sul ruolo che ricoprono all’interno di una strategia energetica per la conservazione e l’uso efficiente di tale risorsa. La delega del comfort interno degli edifici all’impiantistica ha infatti determinato una tendenza di fatto a realizzare edifici e strutture urbane poco relazionati al loro contesto climatico, culturale e materiale.
«Si fanno edifici uguali a Stoccolma e a Nairobi, a Shangai e a San Paolo, spazzando d’un colpo principi costruttivi millenari» (Butera, 2004): una sfida lanciata dall’uomo alla natura, per dimostrare di essere capace di abitare indifferentemente in qualunque contesto e in qualunque clima.
Approccio bioclimatico alla progettazione urbana
Parafrasando l’espressione secondo la quale la casa sarebbe il luogo geometrico dello spreco di energia, si potrebbe considerare, in una visione più ampia, la totalità del territorio come luogo geometrico del consumo di risorse, ivi compresa quella energetica.
Adottando questa prospettiva dove l’attenzione non ricade sul singolo elemento ma sull’efficienza dell’intero sistema, la pianificazione urbana, i cui principi regolatori sposano quelli della sostenibilità ambientale, ricopre un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico.
Questa prospettiva prende realmente corpo quando forme architettoniche e strutture urbane vengono contestualizzate per morfologia, tipologia e uso dei materiali.
Ciò non significa che debbano essere necessariamente architetture vernacolari o tradizionaliste in quanto le soluzioni tipologiche, morfologiche e tecnico-costruttive subiscono un’evoluzione nel tempo in relazione all’emergere di nuovi bisogni, all’introduzione di nuovi materiali e sistemi di edificazione. Bisogna riflettere inoltre sul fatto che l’uso (e lo spreco) di energia di una struttura urbana non dipende soltanto dall’utilizzo che si fa dei singoli manufatti e dei loro impianti, bensì, spesso, dal modo in cui questi sono stati progettati e messi in relazione tra loro.
Parlare di città bioclimatica significa non considerare unicamente la somma degli edifici che incorporano tecniche di condizionamento passivo. A scala urbana vanno considerati altri tipi di interazioni e problematiche che non possono essere affrontate se non con una prospettiva sistemica. In questo senso per la pianificazione generale diventano fondamentali dei criteri bioclimatici come:
- la disposizione sul terreno dell’organismo edilizio,
- il posizionamento dell’edificio rispetto ai venti dominanti e regnanti,
- l’inserimento del manufatto antropico rispetto al percorso del sole,
- la relazione reciproca con altri manufatti circostanti,
- chiudere i cicli ecologici di materia ed energia,
- ridurre l’impronta ecologica degli insediamenti,
- minimizzare gli impatti negativi su aria, acqua e suolo, utilizzando in modo efficiente le energie disponibili.
Assai raramente i regolamenti edilizi o le norme di attuazione degli strumenti urbanistici contengono indicazioni in merito a questi fattori, mentre una pianificazione e progettazione urbana attenta al contenimento dei consumi energetici e al comfort legato alla fruizione degli spazi della città deve adottare un approccio bioclimatico. Questo interviene contemporaneamente su tre livelli di relazioni:
- climatico-ambientale,
- tipologico,
- tecnico-costruttivo
che, se adeguatamente approfonditi possono fornire le seguenti indicazioni: per quanto attiene al controllo degli aspetti relativi al rapporto tra edificio e ambiente, la pianificazione e l’architettura (soprattutto quella legata a climi temperati) si sono da sempre dovute confrontare con un clima caratterizzato da una notevole varietà stagionale (umidità, temperatura, irraggiamento solare, ventosità), che sollecita e impone soluzioni capaci di adattarsi a tali variazioni stagionali. Oltre al clima, le singole costruzioni devono tenere conto anche delle condizioni microclimatiche del sito, ossia di peculiarità dei luoghi quali:
- la forma dell’insediamento urbano, i caratteri ambientali e paesaggistici (che influenzano e a volte modificano le condizioni climatiche “tipiche” di temperatura, umidità, ventosità e irraggiamento solare, caratterizzandole come condizioni specifiche locali);
- per quanto riguarda il controllo degli aspetti tipologici, gli insediamenti devono caratterizzarsi per una ricerca di equilibrio tra forma compatta in inverno (in base al più vantaggioso rapporto tra superficie e volume rispetto alle dispersioni termiche) e aperta in estate (in base alla possibilità di favorire la ventilazione naturale), con spazi ad assetto, aperto-chiuso, tra inverno ed estate (porticati, logge, patii, spazi filtro). Per esempio, la consueta tipologia mediterranea è la casa a patio, compatta ma “porosa”;
- dal controllo degli aspetti tecnico-costruttivi si ricava che la struttura urbana si deve caratterizzare per l’uso passivo dell’energia, grazie allo sfruttamento degli apporti solari in maniera diretta (finestre) o indiretta (accumulatori di calore), e per la presenza di un’adeguata inerzia termica che conservi il calore di tali contributi e smorzi i picchi di temperatura (attenuazione e sfasamento dell’ingresso dell’onda termica) in estate. Orientamento e forma dell’edificio e caratteristiche dell’involucro sono gli aspetti su cui si deve concentrare maggiormente il progettista.
Una costruzione che sfrutta le specificità climatiche del contesto si definisce “passiva” e va distinta da quegli edifici che costruiscono invece artificialmente, tramite gli impianti (e dunque in maniera “attiva”), il comfort all’interno degli ambienti (da non confondersi con il termine passivhaus, che fa riferimento a uno standard energetico).
Una struttura urbana passiva abbina la possibilità di usare fattori climatici favorevoli (captare energia solare in inverno, veicolare flussi di vento in estate) con la capacità di conservare le condizioni favorevoli (immagazzinare calore in inverno e freddo notturno in estate) e di ostacolare quelle sfavorevoli, senza ricorrere a costose ed energivore integrazioni impiantistiche.
È il progettista che deve occuparsi, a diversi livelli di scala, delle questioni legate alla regolazione normativa, alla conformazione delle strutture urbane, all’orientamento degli edifici, al sistema degli involucri e degli impianti, operando verso una riduzione dei consumi energetici e garantendo al contempo un comfort abitativo idoneo.
Una progettazione, quindi, che si definisce bioclimatica e che ha come obiettivo principale quello del risparmio di energia (prevalentemente di origine fossile) e che risponde prima di tutto alle condizioni uniche di ogni clima e di ogni territorio, associando una specifica geografia urbana a una corrispondente geografia climatica, un approccio, questo, che si potrebbe riassumere nel principio: “A cada lugar una planificación”. (Ad ogni luogo una specifica pianificazione)
Risparmio energetico e piani di assetto territoriale
Un primo aspetto del risparmio energetico si riflette sui piani di assetto territoriale e si articola in due obiettivi:
- minimizzare gli spostamenti di cose e persone all’interno dell’area considerata,
- scegliere opportunamente le aree di insediamento in rapporto ai fattori del clima e del microclima.
Minimizzare gli spostamenti significa diminuire i consumi energetici per i trasporti, che sono, com’è noto, molto elevati. L’obiettivo di ridurre i viaggi da un punto all’altro del territorio si può raggiungere disegnando piani urbanistici che contemplino un certo numero di esigenze di contiguità e che dispongano, per quanto possibile, le residenze vicino ai luoghi di lavoro, le industrie vicino alle fonti delle materie prime (o del loro stoccaggio) e le attrezzature presso le residenze, compatibilmente con i raggi di influenza delle medesime. In questo modo si ottiene una riduzione globale della domanda di trasporto, cioè dell’esigenza che è a monte dello spostamento, mentre si può rispondere alla domanda di trasporto residua con piani che contemplino l’uso preferenziale dei mezzi di trasporto collettivi piuttosto che di quelli individuali. Visto che lo sviluppo dei trasporti su mezzi collettivi induce al risparmio solo se l’agglomerato urbano è abbastanza compatto, circostanza che in genere garantisce l’economicità della gestione, il sistema di trasporto non può essere considerato indipendentemente dall’assetto territoriale.
I piani urbanistici o di assetto del territorio che vogliano tenere in considerazione l’esigenza primaria del risparmio energetico devono essere predisposti per favorire una struttura urbana prevalentemente compatta, con abitazioni, servizi e posti di lavoro localizzati con alta prossimità spaziale ove possibile, oppure localizzati in luoghi ben definiti, in modo da diventare nodi di una rete urbana a maglie strette capaci di essere serviti adeguatamente dalle reti di trasporto pubblico.
Un altro modo per limitare la mobilità interna a un’area urbana è quello di incentivare lo sviluppo di un’intensa vita “di quartiere”, così che la popolazione resti legata all’ambito spaziale che può raggiungere a piedi, utilizzando mezzi di traposto (principalmente pubblico) solo per gli spostamenti più lunghi. Il quartiere dovrà però contenere tutte le attrezzature culturali, gli impianti per lo svago e per il tempo libero. Anche la rete commerciale, oggi disciplinata in Italia dai piani di dislocazione dei punti vendita (urbanistica commerciale), dovrà essere calibrata a livello di vicinato e non soltanto per l’acquisto dei generi di prima necessità.
L’altro obiettivo che la pianificazione urbanistica si pone, quale strumento per realizzare un risparmio energetico a livello di Piano di Assetto del Territorio, consiste nella scelta delle aree d’insediamento da effettuare in funzione dei fattori del clima e del microclima.
L’urbanistica delle fonti energetiche alternative
Se la progettazione urbana che tende al risparmio energetico cerca prevalentemente di ridurre la domanda di energia, con un’opportuna progettazione della forma dell’insediamento e con un’idonea dislocazione delle zone destinate allo svolgimento delle varie attività, l’urbanistica che si rivolge alle fonti alternative rispetto a quelle tradizionali (carbone, petrolio e derivati) ha come scopo quello di aumentare l’offerta energetica migliorandola.
Tuttavia, l’ampliamento della disponibilità è un fine che va perseguito insieme alla riduzione dei consumi, pianificando, pertanto, politiche (urbanistiche ed energetiche) che non si escludano a vicenda. È proprio sul tema della qualità e dell’integrazione dell’offerta energetica che si intravedono le linee guida verso le quali si sta già orientando il futuro della progettazione, in rapporto all’uso di fonti alternative, tanto a scala urbana quanto a livello di edificio.
Se, come è stato accennato in apertura, l’aumento dei consumi energetici ha registrato un incremento direttamente proporzionale alla crescita spaziale degli insediamenti in cui si localizza tale domanda, appare chiaro che, fino ad ora, si è prediletta una produzione di energia in forme a elevata “densità energetica”. Questa condizione ha visto adeguarsi reciprocamente insediamenti ad alta densità abitativa e sistemi di alimentazione ad altrettanto elevata densità energetica generando una forte polarizzazione dei luoghi di produzione e di consumo dell’energia e la diffusione di estese reti di distribuzione soltanto per l’energia elettrica.
Un sistema alternativo, basato oltre che sul risparmio anche sul contributo di fonti alternative e diversificate, dovrebbe favorire invece l’instaurarsi di nuovi rapporti tra insediamento e fonti di energia. In particolare, un sistema energetico che utilizza fonti a bassa densità dovrebbe incentivare la formazione di un modello insediativo meno centralizzato e più omogeneo, in cui la periferia acquisti la stessa importanza (o quasi) del centro.
Con la valorizzazione e la diffusione degli usi diretti dell’energia (sia essa solare, eolica, geotermica o proveniente da biomassa) è possibile dunque prevedere l’attenuazione degli squilibri territoriali e l’evoluzione di un assetto urbano da una situazione fortemente polarizzata e discontinua a una in cui il singolo insediamento (urbano o agricolo), il singolo gruppo sociale, l’abitazione individuale e la singola famiglia possano esercitare un maggior controllo sulla produzione e sul consumo dell’energia. Passare, cioè, da territori come luoghi geometrici dei consumi a nuove geografie capillari di produzione sostenibile di energia.
Progettazione urbanistica bioclimatica: elementi chiave e raccomandazioni specifiche
Parlare di progettazione urbanistica bioclimatica significa riferirsi a una progettazione che propone un adeguamento delle strutture urbane alle specifiche condizioni del clima e del territorio in cui esse sono insediate. Secondo questo approccio, pertanto, ogni situazione geografica deve essere capace di generare una specifica progettazione urbana: “ad ogni luogo una pianificazione specifica”. Attualmente la progettazione bioclimatica viene inquadrata all’interno dell’ambito disciplinare afferente alla pianificazione ambientale o, più in generale, alla pianificazione sostenibile, i cui obiettivi principali sono il miglioramento della qualità della vita e delle persone, utilizzando le risorse disponibili e controllando gli effetti dannosi che queste hanno sull’ambiente a tutte le scale (capacità di carico, modifica del clima, spreco di energia ecc.).
Per raggiungere strutture urbane che siano coerenti con i principi della bioclimatica è necessario che i livelli di pianificazione comunale e quelli progettuali relativi alla scala di edificio (regolamenti edilizi e requisiti cogenti) siano capaci di assimilare le indicazioni precedentemente trattate che possono essere sintetizzate nelle seguenti indicazioni.
L’approccio alla pianificazione degli insediamenti urbani va ripensato in maniera globale: le linee di indirizzo di piani e progetti devono essere costruite a partire dalle specifiche situazioni geografiche e climatiche. Evitare soluzioni comuni e indirizzi di carattere generale: ogni territorio, con il suo ambiente, il suo clima e le sue caratteristiche, necessita di progettualità specifiche.
Il quadro conoscitivo – sistema integrato delle informazioni e dei dati necessari alla comprensione delle tematiche svolte dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica – deve essere corredato da “nuove” tipologie di dati legati alle questioni climatiche. Informazioni georeferenziate dell’intero territorio comunale relative all’esposizione, al rischio (idraulico, idrogeologico ecc.), all’incidenza solare, all’intensità dei venti, alla tipologia dei suoli (processi geodinamici) sono alcuni dei dati che possono rivelarsi utili in fase di costruzione di un Piano di Assetto Territoriale e soprattutto di redazione dei successivi Piani degli Interventi (PI).
Tecniche di condizionamento passivo, di architettura bioclimatica e di riqualificazione energetica devono costituire un elemento cardine all’interno della progettazione urbanistica e architettonica locale, definendo le tipologie appropriate di edifici per ogni specifica situazione climatica. In questo senso è importante introdurre nei regolamenti edilizi indici e indicazioni in grado di ridare importanza ai caratteri dell’architettura tradizionale e connessi al benessere climatico.
In questi casi, relativi tanto alle nuove edificazioni quanto ai processi di riqualificazione, appare opportuno seguire le raccomandazioni dettate da un disegno volto al condizionamento passivo, alla ventilazione incrociata, a murature con inerzia termica ecc. Il risultato di questi processi permetterà un grande risparmio energetico e ridurrà i livelli di inquinamento provocati dai sistemi di riscaldamento e rinfrescamento tradizionali.
6 Raccomandazioni specifiche
1. Il pedone deve tornare a essere il protagonista dello spazio urbano fino a ora occupato quasi integralmente dall’automobile, orientando di conseguenza gli interventi progettuali sulla rete viaria delle città in maniera più confacente ai bisogni e alle necessità dei pedoni. I Piani Urbani del Traffico (PUT) dovranno fornire misure di riduzione del traffico. L’inserimento di reti di trasporto pubblico a basso impatto ambientale che mettano in relazione i principali nodi urbani, strade a priorità pedonale con carreggiate per la circolazione automobilistica a sezione ridotta, incroci e strisce pedonali allo stesso livello per i pedoni, strade senza separazione tra carreggiata per automobili e marciapiedi, o la progettazione di parcheggi in superficie con alberatura sono alcune delle soluzioni più consigliate.
2. La filosofia dello zoning dovrebbe essere abbandonata, potenziando, al contrario, gli usi misti e la diversità delle attività concentrate nelle aree urbane più centrali in modo da ridurre gli spostamenti e il conseguente consumo di energie nei trasporti e incentivare l’uso di percorsi pedonali sicuri e gradevoli per tutti.
3. Andrebbero promossi l’integrazione, l’ampliamento e la nuova progettazione della rete degli spazi liberi urbani. In questo senso è necessaria una condivisione degli obiettivi tra diversi settori all’interno di un’amministrazione comunale, tradotta nella redazione di piani del traffico, piani della manutenzione urbana, piani del verde, piani energetici ecc. capaci di disegnare spazi in grado di correggere e moderare le esternalità negative legate ai sempre più frequenti fenomeni climatici estremi.
4. Considerando che il 70% dei comuni italiani ha una dimensione medio-piccola (meno di 5.000 abitanti) e che la capacità di questi comuni di integrare piani e politiche settoriali verso obbiettivi condivisi legati alla bioclimatica urbana è maggiore rispetto alle grandi realtà comunali, i livelli di pianificazione sovraordinata (PTCP e PTRC) dovrebbero essere capaci di favorire questi processi di integrazione al fine di massimizzarne l’efficacia e l’efficienza.
5. È fondamentale sostenere piani e progetti legati alla valorizzazione dei servizi ecosistemici forniti da infrastrutture verdi (cicli biologici vegetali e acquatici), riconoscendone il molteplice valore di assorbimento delle radiazioni solari, di stoccaggio di CO2, di laminazione delle acque e di altri sevizi connessi alla riduzione degli impatti del cambiamento climatico.
6. Dovrebbe essere favorito il coinvolgimento attivo dei cittadini al fine di supportare processi bottom-up individuali che garantiscano maggiore sostenibilità alle politiche urbane in materia di efficienza energetica. A questo proposito la costruzione di specifiche agende locali è uno strumento di grande efficacia per raggiungere questi obbiettivi.
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